C’era una volta - la direttissima e la grande galleria - parte seconda
Continuiamo il discorso intrapreso con la puntata precedente andando ad analizzare il volume scritto dall’Ing. Enrico Marone e pubblicato dagli Stabilimenti Poligrafici Riuniti di Bologna nel 1935 che tratta e racconta la storia dei lavori di costruzione della galleria dell’appennino sulla direttissima Bologna Firenze e nelle sue pagine troviamo tantissima documentazione tecnica e fotografica.
Dopo aver analizzato gli aspetti legati ai provvedimenti adottati per “eliminare i pericoli e le soggezioni del gas”, nella prima parte dell’articolo “ C’era una volta – Direttissima Bologna Firenze e grande galleria dell’Appennino”, in questa puntata andiamo ad approfondire gli aspetti collegati agli “ impianti per i servizi igienico-sanitari nei cantieri”.
In particolare, per organizzare e vigilare l’applicazione del decreto legge n. 998 del 25 luglio 1913 che aveva stabilito norme per assicurare il buon governo igienico nei cantieri delle opere pubbliche e in special modo per i grandi lavori in galleria, venne nominata una Commissione con lo scopo “essenzialissimo di organizzare la difesa contro l’anchilostoma e la tutela della salute degli operai e delle loro famiglie”.
Per fare ciò vennero assunti “medici specializzati, con l’obbligo di provvedere ai primi soccorsi e alla cura degli infortunati, alla tutela igienica dei cantieri e particolarmente anche a tutte le misure profilattiche contro l’anchilostomiasi secondo le istruzioni della Commissione sanitaria” che era stata nominata dalla Direzione Generale della Sanità pubblica.
L’ufficio dirigente di Bologna per la costruzione, anche per “eliminare le difficoltà eventuali delle imprese assuntrici dei lavori per l’osservanza delle prescrizioni sanitarie”, assunse direttamente “la gestione e tutte le spese per il funzionamento dei servizi sanitari nei cantieri”.
“In prossimità degli imbocchi della grande galleria e dei pozzi di Cà Landino, vennero costruiti locali per l’ambulatorio di pronto soccorso, fornito di quanto potesse occorrere per le visite e i soccorsi d’urgenza”.
Vennero anche costruiti due ospedaletti ed un’infermeria, “forniti di laboratorio di analisi, camera di operazione, vasche da bagno, docce, latrine a water closet, illuminazione elettrica, stufe, cucina, un piccolo riparto di isolamento per malattie infettive, coll’aggiunta di una camera mortuaria”.
“Vennero assunti infermieri, in aiuto ai medici dei cantieri; e questi prestavano l’opera sanitaria anche per le famiglie operaie”
“Con impianti speciali di condotte si provvedeva l'acqua potabile, derivata da sorgenti, nei cantieri di Lagaro e di Cà Landino; a Vernio si utilizzavano le acque provenienti da sorgenti nella grande galleria.
In ogni cantiere vennero eseguiti impianti di bagni, docce, lavandini, con acqua calda e fredda, di essicatoi ad aria calda per il prosciugamento degli abiti da lavoro, di lavanderia meccanica, con l’aggiunta in tali locali di latrine per gli operai e per il personale addetto ai lavori.
Un guardiano fisso ne curava la pulizia e il funzionamento.
Nelle gallerie erano adottate latrine speciali mobili, collocate sopra piattine, colle quali venivano trasportate all'esterno, lavate e disinfettate.
I baraccamenti per gli operai con famiglia o scapoli, i refettori, magazzini viveri, erano costruiti (sopra una platea di muratura), parte in legno, sovente rivestito in mattoni, parte in selenit, eternit, o in muratura.
Presso i baraccamenti erano costruite latrine isolate, lavatoi, immondezzai e apposite fognature; e si provvedeva ad una periodica disinfezione delle abitazioni.
A mezzo di fontanelle l'acqua potabile era distribuita presso i baraccamenti e i cantieri di lavoro.
In galleria era stabilito un posto munito di cassette di medicazione, allacciato telefonicamente coll'ambulatorio di pronto soccorso all'esterno, e con le infermerie, per l'avvertimento tempestivo del medico e del personale sanitario nel caso di infortuni gravi.
Erano pure a disposizione barelle portaferiti, maschere di protezione contro il gas, tubi di ossigeno 10 compresso a 120 atmosfere.
Gli infortunati, ricevute le prime cure nei locali di pronto soccorso, erano subito trasportati nelle infermerie, oppure se la gravità delle lesioni lo richiedeva” negli ospedali di Bologna o Prato.
Tutti gli operai hanno avuto, in ogni caso di malattia, e di infortunio, assistenza medica e medicinali completamente gratuiti.
Gli operai venivano sottoposti ad una visita preventiva prima di essere ammessi al lavoro, e successivamente ad altre visite periodiche, con ripetuto esame delle feci, e alla timolizzazione periodica per la profilassi contro l'anchilostomiasi, secondo le istruzioni della Commissione sanitaria ministeriale, che dispose pure l'istituzione di schede individuali con la registrazione di tutti i risultati delle operazioni profilattiche trascritte nel registro generale.
Questa tessera sanitaria, consegnata all’operaio quando lasciava il lavoro, doveva servirgli per essere ammesso in altri cantieri”.
Certamente i provvedimenti adottati, la consapevolezza riguardante le eventuali difficoltà delle imprese assuntrici dei lavori per l’osservanza delle prescrizioni sanitarie, le scelte effettuate relativamente alla tutala della salute dei lavoratori, ci fanno capire come, pur con tutti i limiti dovuti all’epoca in cui vennero svolti i lavori, la sensibilità verso gli aspetti igienico-sanitari del cantiere di costruzione della galleria erano non solo presenti, ma anche gestiti in modo diffuso.
Naturalmente i problemi ed i limiti non mancavano, ad esempio, leggendo il volume, il pensiero va ai rivestimenti in eternit ed a quelle che potrebbero essere state le conseguenze per la salute dei lavoratori e dei loro famigliari. Pericoli oggi conosciuti, ma allora totalmente ignorati.
Anche per questa puntata ci fermiamo qui, con l’impegno di continuare ad analizzare altri paragrafi del volume nelle prossime settimane.
A cura Geom. Stefano Farina, Consigliere Nazionale AiFOS
Fonte: www.sicurezza-ceraunavolta.it
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