C’era una volta – Direttissima Bologna Firenze e grande galleria dell’Appennino
È sempre piacevole sfogliare vecchi volumi che presentano la realizzazione di grandi opere perché al suo interno si trovano sempre informazioni importanti legate alla sicurezza.
Il volume che presento oggi è stato scritto dall’ Ing. Enrico Marone e pubblicato dagli Stabilimenti Poligrafici Riuniti di Bologna nel 1935. Esso tratta e racconta la storia dei lavori di costruzione della galleria dell’appennino sulla direttissima Bologna Firenze e nelle sue pagine troviamo tantissima documentazione tecnica e fotografica.
Certamente una premessa è importante, parlando di sicurezza dei lavoratori non si può prescindere dall’epoca e dalle tecnologie utilizzate che comunque portavano a contare numerosi morti (nel tratto in questione furono più di 50) ed infortuni gravi, ma comunque comprendere cosa si faceva al tempo per ridurre tali numeri è comunque importante.
Ecco allora il capitolo dedicato alle “emanazioni e afflussi di gas”, dove – a seguito di scoppi con conseguenze mortali, la condotta dei lavori venne assunta dall’Ufficio dirigente, in sostituzione dell’Impresa. [n.d.r. Forse potremmo considerare questa situazione l’antecedente della “ direttiva Cantieri”].
Da quel momento per “eliminare i pericoli e le soggezioni del gas, si è provveduto continuamente ad aumentare e perfezionare la ventilazione in modo da diluirlo coll’immissione di grandi volumi d’aria; e nel cantiere della calotta il gas veniva anche eliminato con ventilatori aspiranti e con accensioni a distanza a mezzo di esploditori elettrici, ad intervalli di tempo di circa una o due ore (talvolta anche ogni mezz’ora)”.
Inoltre “una condotta d’acqua in pressione veniva prolungata sino alla fronti d’attacco per spegnere eventuali incendi”.
Altro aspetto rilevante riguarda i lavoratori per i quali “l’assuntore dei lavori aveva l’obbligo di provvedere perché apposite squadre di operai fossero istruite nell’impiego delle maschere di protezione contro i gas mediante frequenti esperienze”.
“L’assuntore aveva pure l’obbligo di attenersi alle seguenti disposizioni:
- Far esplodere le mine ed accendere il gas infiammabile ad una distanza tale da garantire la sicurezza degli operai;
- Mantenere nella massima efficienza l’esercizio di tutti i ventilatori, sia prementi che aspiranti, e farli funzionare in continuazione;
- Eseguire a regola d’arte le murature di riempimento in malta fra la calotta e il terreno, ed eseguire a brevi intervalli iniezioni di cemento dietro le murature di calotta per evitare un eventuale efflusso di gas verso i cantieri di lavoro;
- Adottare l’illuminazione elettrica in tutti i cantieri, oltre all’impiego continuo delle lampade di sicurezza;
- Adottare tutti i provvedimenti più moderni e più perfetti che valgano ad evitare pericoli e danni in conseguenza dell’accensione e dello scoppio del gas; l’assuntore all’inizio di ogni turno di lavoro, non doveva permettere che gli operai entrassero nei cunicoli di avanzata prima che questi fossero stati ispezionati da un proprio agente di fiducia;
- Provvedere all’impianto della condotta d’acqua in pressione e alla posa in opera delle tubazioni per la ventilazione prolungandole sino alle fronti di avanzamento”.
Forse oggi questi obblighi possono esser considerati ordinari, ma per il tempo erano certamente innovativi ed andavano nella direzione di contrastare le scelte dell’assuntore verso il massimo profitto a scapito della sicurezza.
Per questa puntata ci fermiamo qui, con l’impegno di continuare ad analizzare nelle prossime settimane altri passaggi di questo interessante volume.
A cura Geom. Stefano Farina, Consigliere Nazionale AiFOS
Fonte: www.sicurezza-ceraunavolta.it
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