Sul lavoratore che svolge mansioni non attribuite e senza formazione
La valutazione del comportamento abnorme o meno di un lavoratore infortunato, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli, è un tema ricorrente nelle sentenze che la Corte di Cassazione emette in occasione dei ricorsi presentati da soggetti che, condannati perché ritenuti responsabili di infortuni sul lavoro accaduti nelle loro aziende, si sono rivolti alla stessa per l’annullamento della sentenza di condanna, In questa occasione la suprema Corte, nel rigettare il ricorso presentato dal titolare di una ditta, ha sostenuto ancora una volta che non è esorbitante la condotta del lavoratore rispetto alla sfera di rischio governata dal datore di lavoro se l'infortunio accadutogli si sia verificato nell'ambito di mansioni, non formalmente attribuite, ma esercitate di fatto e costantemente dal lavoratore con la consapevolezza e la tolleranza del datore di lavoro stesso e per le quali il lavoratore non ha ricevuto alcuna formazione professionale specifica.
L’infortunio di cui alla sentenza in argomento era accaduto a un lavoratore che benché assunto come autista, interveniva spesso sostanzialmente ad effettuare lavori di manutenzione su autocarri senza che fosse stato formato per l’effettuazione di tali operazioni. Il lavoratore. nel giorno dell’infortunio, alzato il cassone ribaltabile di un automezzo utilizzato per la raccolta di rifiuti, era intervenuto autonomamente per effettuare la sostituzione di un filtro per il carburante posto al di sotto dello stesso allorquando, mossa involontariamente la leva di comando per la discesa del cassone, lo stesso è caduto schiacciandolo mortalmente, in assenza di cavalletti o aste di sicurezza.
Il datore di lavoro aveva basato il suo ricorso sul fatto che il lavoratore era stato destinato nel giorno dell’infortunio ad attività esterna all’azienda e che comunque non era stato adeguatamente tenuto conto del dato rappresentato dall’eccentricità del comportamento del lavoratore. La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha citato il fondamentale principio della giurisprudenza di legittimità secondo cui deve ritenersi che sia interruttiva del nesso di condizionamento la condotta del lavoratore nel solo caso in cui la stessa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso e che non possa discutersi di responsabilità o anche solo di corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio accadutogli quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
La Corte di Appello ha parzialmente riformata la sentenza emessa dal GUP del Tribunale nei confronti del titolare di una ditta, imputato del reato previsto dall'art. 589 c.p., commi 1 e 2, nonché delle fattispecie previste dal D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 29 e art. 17, lett. a), art. 71, art. 18, comma 1, lett. b), art. 18 comma 3-bis, rideterminando la pena in otto mesi di reclusione e due mesi e venti giorni di arresto, con assoluzione in ordine agli altri capi di imputazione, e lo ha condannato altresì al pagamento di una provvisionale determinata in 8.000 euro in favore di ciascuna delle parti civili costituite.
Era stato contestato all'imputato di avere, con colpa specifica consistente nella violazione delle norme in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro sopra indicate, cagionato la morte di un lavoratore impegnato nella pulizia e sostituzione del filtro carburante di un mezzo utilizzato per la raccolta dei rifiuti e dotato di cassone-vasca ribaltabile.
La Corte territoriale ha pregiudizialmente ritenuto condivisibile la ricostruzione dell'evento operata dal giudice di primo grado in base alla quale, il giorno dell'incidente, il lavoratore, venuto a conoscenza di anomalie a carico del sistema carburante del predetto mezzo, si era prodigato per la soluzione del problema procedendo alla pulizia e alla sostituzione del filtro del carburante stesso, allocato nella parte del telaio sita sotto la vasca ribaltabile. Era quindi stato dato atto che lo stesso aveva necessariamente azionata la leva di sollevamento della vasca per poi lavorare a motore spento, il tutto in assenza di cavalletti di portata o di aste di sicurezza e che, pertanto, l'incidente si era verificato, in assenza di plausibili ricostruzioni alternative, in quanto il lavoratore aveva inavvertitamente toccato la leva di salita e discesa del cassone, determinandone la chiusura immediata. Il Tribunale aveva rilevato numerosi elementi di incompletezza nel documento di valutazione dei rischi nonché la violazione di norme specifiche in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro in connessione causale diretta con l'infortunio, non essendo stati messi a disposizione del lavoratore l'attrezzatura idonea e strumenti di sicurezza quali cavalletti di portata o aste, da utilizzare nel corso delle opere di manutenzione del veicolo, rilevando altresì come il lavoratore fosse stato assunto come autista e avesse, di fatto, svolto le mansioni di meccanico, senza essere stato sottoposto alla necessaria formazione professionale.
Il Giudice d'appello ha ritenuto infondate le deduzioni con le quali l'appellante aveva inteso sostenere che il lavoratore fosse deceduto svolgendo mansioni esorbitanti rispetto a quelle affidategli e dando quindi luogo a un comportamento del tutto imprevedibile e inevitabile da parte del datore e ha ritenuto che, sulla base del materiale di indagine vagliato dal giudice di primo grado, fosse invece emerso che la persona offesa svolgesse ordinariamente le mansioni di meccanico e che il mezzo sul quale era stata svolta l'operazione non era dotato dei necessari dispositivi di sicurezza, ovvero dell'asta di bloccaggio del cassone.
Avverso la predetta sentenza l’imputato ha presentato ricorso per cassazione tramite il proprio difensore, articolandolo con alcuni motivi di impugnazione.
Con un primo motivo ha dedotto che le due sentenze di merito si sarebbero sottratte al confronto con gli elementi probatori apportati dalla difesa e, in particolare, con le sommarie informazioni testimoniali acquisite in sede di indagini difensive; dalle quali, in particolare, sarebbe emerso che il lavoratore, il giorno dell'incidente, era stato destinato ad attività esterna rispetto alla sede all'azienda; deducendo, quindi, che il lavoratore si sarebbe sottratto alle direttive imposte dal datore. Con un altro motivo ha dedotto che i giudici di merito non avrebbero tenuto adeguato conto del dato rappresentato dall'eccentricità del comportamento del lavoratore, atteso che lo stesso era stato assunto e formato con le mansioni di autista e non di meccanico, fatte salve le sole opere di riparazione rientranti nella manutenzione ordinaria.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Con riferimento a quanto sostenuto dalla difesa secondo cui l’evento sarebbe stato conseguenza di un comportamento del lavoratore eccentrico rispetto alle mansioni allo stesso affidate, in modo da dare luogo a una condotta connotata dall'attributo dell'abnormità, la suprema Corte ha sottolineato che il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia qualificabile come abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli. In particolare, ancora più specificamente, la giurisprudenza di legittimità ha rilevato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.
In sostanza, ha così proseguito la suprema Corte, sulla base dell'esame sinottico dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che sia interruttiva del nesso di condizionamento la condotta del lavoratore nel solo caso in cui la stessa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso, rilevando altresì che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel sostenere che non possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l'infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, citando, come riferimento precedente, la sentenza della Sezione IV n. 16888 del 04/05/2012, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “Sulla responsabilità del preposto in materia di salute e di sicurezza sul lavoro”. Ciò in quanto le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli, citando, fra le altre, la sentenza della Sez. IV n. 32357 del 26/08/2010, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “Il RSPP non è responsabile perché non ha potere decisionale”.
Le argomentazioni espresse dalla Corte territoriale, quindi, ha sottolineato la Sezione IV, si sono quindi adeguatamente confrontate con i predetti principi, in adesione a quelle formulate nella motivazione della sentenza di primo grado, con una motivazione immune dal denunciato vizio di contraddittorietà. In particolare, la stessa Corte ha rilevato che, sulla base delle dichiarazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, e in particolare dai colleghi della vittima escussi tanto dal Pubblico ministero quanto in sede di indagini difensive, la persona offesa, pure impiegata con la qualifica di autista, non si limitava, come ritenuto nella prospettazione difensiva, a eseguire piccole e occasionali opere di manutenzione dei mezzi ma eseguiva costantemente e in autonomia mansioni di meccanico, nella piena consapevolezza del datore di lavoro oltre che da tempo assai risalente, circostanza in ordine alla quale la sentenza impugnata ha rilevato come la stessa fosse stata dedotta nello stesso atto di appello, in cui era stato argomentato che il lavoratore "per pregresse conoscenze di meccanica (...) veniva considerato come punto di riferimento (per la) manutenzione dei mezzi" (come peraltro testualmente riferito dai due suddetti soggetti escussi).
Al fine di rafforzare gli elementi di fatto suddetti, ha aggiunto ancora la Sez. IV, la Corte territoriale ha altresì sottolineato il dato logico ricavabile dalla circostanza che, in occasione delle operazioni di manutenzione che avrebbero poi portato all'incidente mortale, il lavoratore non si fosse limitato a segnalare il guasto del mezzo ma, proprio in virtù delle sue competenze, avesse provveduto direttamente alla riparazione. Tali univoci elementi di fatto hanno quindi indotto la Corte territoriale, con motivazione non contraddittoria e non manifestamente illogica, a ritenere che l'incidente mortale si fosse verificato in occasione dello svolgimento, da parte della vittima, di mansioni alle quali il lavoratore era stato già costantemente adibito all'interno dell'organizzazione datoriale; rimanendo quindi, sul punto, del tutto inidonei a intaccare il percorso argomentativo delle sentenze di merito i richiami agli esiti delle sommarie informazioni acquisite in sede di indagini difensive nella parte in cui i soggetti escussi hanno riferito che, durante la giornata in cui si è verificato il sinistro, il lavoratore avrebbe dovuto eseguire un incarico all'esterno della sede della ditta.
Si deve quindi escludere, ha così concluso la suprema Corte, che il datore di lavoro possa invocare la propria assenza di responsabilità per carenza del nesso causale quando, come nel caso in esame, “l'incidente si sia verificato nell'ambito di mansioni, non formalmente attribuite, ma esercitate costantemente e di fatto dal lavoratore con la consapevolezza e la tolleranza del datore medesimo e per le quali quest'ultimo non aveva ricevuto alcuna formazione professionale specifica”; essendo, in tal caso, evidentemente carente, in coerenza con i predetti principi, il dato dell'esorbitanza della condotta del lavoratore rispetto alla sfera di rischio governata dal datore di lavoro.
Al rigetto del ricorso è seguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca
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Rispondi Autore: fabiola.mazzoli - likes: 0 | 14/10/2024 (12:58:56) |
molto interessante |