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Comportamento di un lavoratore: quando non è eccentrico o esorbitante

Comportamento di un lavoratore: quando non è eccentrico o esorbitante
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

15/04/2024

Il comportamento di un lavoratore non è esorbitante dall’area di rischio del titolare della posizione di garanzia qualora un infortunio occorsogli sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro.


Il principio richiamato dalla Corte di Cassazione in questa sentenza e già espresso in sue precedenti pronunce è quello secondo cui qualora un evento infortunistico sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro.

 

La suprema Corte è stata chiamata in questa circostanza a decidere su di un ricorso presentato da un amministratore di una società nonché responsabile del servizio di prevenzione dell’impresa gestita dalla stessa, condannato dal Tribunale con sentenza che è stata poi confermata dalla Corte di Appello, sia pure  nel trattamento sanzionatorio, per le lesioni subite da un lavoratore dipendente della società il quale, incaricato a recarsi in una villetta per la verifica di eventuali infiltrazioni di acqua piovana dal tetto, per potere salire sullo stesso ha utilizzato una scala rinvenuta sul posto, risultata poi inidonea e non correttamente utilizzata, dalla quale era caduto dall’altezza di nove metri. L’amministratore della società aveva basata la sua difesa sul fatto che il lavoratore aveva agito di propria iniziativa e aveva tenuta una condotta abnorme e esorbitante dall’area di rischi posta sotto la sua garanzia comunque tale da interrompere il nesso causale fra le omissioni contestategli e l’evento.

 

La suprema Corte ha rigettato il ricorso richiamando il principio sopra illustrato sostenendo quindi che nel caso in esame il comportamento del lavoratore non poteva essere considerato eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del datore di lavoro in quanto l'assenza di qualsiasi forma di tutela da parte di quest’ultimo aveva determinato un ampliamento della sfera di rischio sottoponendo il lavoratore stesso a una maggiore probabilità di subire un infortunio.


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Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni

La Corte di Appello ha parzialmente riformato, riducendo il trattamento sanzionatorio, la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale nei confronti di un amministratore unico di una società e responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una impresa edile dalla stessa gestita, imputato del delitto di cui all'art. 589 cod. pen. perché, per colpa consistita nella violazione degli artt. 111, comma 1, e 113, comma 5, del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, aveva cagionato il decesso di un lavoratore dipendente, muratore specializzato dipendente dall'impresa stessa, incaricato di effettuare un sopralluogo presso una villetta per la verifica di eventuali infiltrazioni di acqua piovana dal tetto, a seguito di una caduta dall'altezza di circa nove metri. L’amministratore era stato accusato in particolare di avere consentito che lo stesso effettuasse un lavoro in quota, in assenza delle condizioni di sicurezza e delle condizioni ergonomiche adeguate, in quanto si era posizionato in un luogo inadatto allo scopo e privo delle attrezzature idonee a garantire le condizioni di sicurezza dell'operazione (ad esempio piattaforma mobile, c.d. cestello), atteso che la villetta presso cui si era infortunato non presentava alcuna predisposizione o scala specifica per accedere al tetto spiovente; e ancora, per aver omesso di fornire al lavoratore una scala adeguatamente assicurata o trattenuta al piede da altra persona, tanto che questi aveva utilizzato una scala incongrua rispetto all’altezza del muro sul quale l'aveva appoggiata e quindi soggetta a sbandamenti. La Corte di Appello ha invece, in relazione alla data dell’evento accaduto, dichiarate prescritte le contravvenzioni di cui agli artt. 111, comma 1, e 113, comma 5, del D. Lgs. n. 81/2008.

 

L’imputato ha proposto ricorso contro la sentenza della Corte di Appello adducendo alcune motivazioni. Con un primo motivo la difesa ha evidenziato come il giudice di merito avesse espressamente e ripetutamente riconosciuto la colpa della vittima nella causazione dell'infortunio qualificando come gravemente colposa la sua condotta. Essa, considerato che con l'atto di appello era stato affermato che tale condotta, ai sensi dell'art. 41, comma 2, cod. pen., era stata da sola sufficiente a determinare l'evento, avrebbe quindi dovuto spiegare nella sentenza impugnata se all'imputato potesse rimproverarsi di aver creato un rischio originario e se l'intervento del lavoratore con la propria condotta gravemente colposa non avesse soppiantato tale rischio.

 

La difesa ha sottolineato altresì che il lavoratore era stato incaricato di recarsi presso la villetta per effettuare solo un sopralluogo e che quindi si sarebbe dovuto limitare a verificare se all'interno dell'abitazione vi fossero infiltrazioni e non avendo bisogno di fare altro e dovendo, anzi, rinviare a un successivo momento ulteriori approfondimenti. Il lavoratore invece, imprudentemente, in condizioni di improvvisazione, come anche affermato nella sentenza impugnata, ha deciso di salire autonomamente sul tetto con una scala reperita sul posto di altezza incongrua rispetto all'altezza tra il tetto e il piano di appoggio, ha deciso di salire autonomamente sul tetto. Secondo la difesa, quindi, la condotta altamente imprudente e deliberatamente rischiosa della vittima aveva messo in atto un rischio eccentrico e esorbitante rispetto alla sfera di rischio che il datore di lavoro poteva governare e aveva quindi escluso il nesso causale tra la condotta omissiva addebitata all'imputato e l’evento, rappresentando una condizione sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento stesso.

 

Come altra motivazione la difesa si è lamentata perché la Corte di Appello, pur riconoscendo gravemente colposa e imprudente la condotta del lavoratore, ha posto a suo carico una percentuale di colpa solo del 30% né di ciò era stato tenuto conto al momento della determinazione della pena. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, concludendo per l'inammissibilità del ricorso e analogamente i difensori delle parti civili hanno depositato memoria, concludendo per l'inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione , dopo avere premesso che non sono ammissibili i motivi di ricorso tendenti a sollecitarla a riesaminare le acquisizioni istruttorie in quanto è un compito rimesso al giudice di merito, ha evidenziato che le conformi sentenze di merito avevano ritenuto provato che il lavoratore dipendente della società di cui l'imputato era amministratore unico, si fosse recato nella villetta allo scopo di effettuare alcuni lavori di manutenzione connessi a infiltrazioni verificatesi in essa escludendo l'ipotesi dell'iniziativa autonoma della vittima in orario di lavoro; che il lavoratore aveva utilizzato una scala appoggiata sul balcone del secondo piano della medesima villetta, non essendovi altro accesso al tetto; che il decesso era stata una conseguenza della caduta da tale scala da un'altezza di circa 9 metri; che la scala impiegata risultava inidonea a essere utilizzata senza l'ausilio di altro soggetto che avrebbe dovuto reggerla; che sul posto non erano stati rinvenuti altri dispositivi di sicurezza, ad eccezione delle scarpe antinfortunistiche; che, in ogni caso, i dispositivi di protezione individuali messi a disposizione dalla ditta risalivano ad alcuni anni prima e non erano mai stati revisionati; che dal proprietario dell’abitazione era stata inviata alla società una missiva nella quale il medesimo aveva sollecitato l'intervento di riparazione per infiltrazioni a seguito di numerose richieste verbali e telefoniche e che la vittima era stata già sul posto in precedenza per eseguire un sopralluogo.

 

Non era risultato vero, inoltre, ha così proseguito la Sezione IV, che la Corte di Appello non si fosse fatta carico di indicare sulla base di quali elementi fosse stato accertato il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'evento. I giudici di merito, infatti, con logica motivazione, hanno descritto su quali acquisizioni istruttorie si fosse fondato il giudizio che, in quell'occasione, il lavoratore fosse stato incaricato dalla ditta, essendo tale valutazione in linea con il modus operandi dell'impresa, che inviava gli operai per risolvere autonomamente i problemi lamentati dagli inquilini degli appartamenti costruiti dalla medesima impresa edile.

 

La Corte Territoriale inoltre aveva anche espressamente escluso che la condotta imprudente del lavoratore potesse qualificarsi come abnorme, dal momento che l’imputato, in qualità di amministratore unico e di responsabile del servizio di prevenzione protezione della società, aveva consentito che l'operaio edile svolgesse lavori in quota in assenza di condizioni di sicurezza idonee e adeguate e aveva consentito di eseguire tale lavoro in assenza di qualsiasi prova circa la scelta o predisposizione di adeguate istruzioni in merito ai presìdi da adottare o circa la predisposizione di protocolli di intervento o circa una valida delega dei suoi obblighi a terzi.

 

Contrariamente, inoltre, a quanto dedotto nel ricorso, nella sentenza era stato espresso che l'evento dannoso avesse concretizzato il pericolo che le norme cautelari contestate all'imputato erano volte a evitare. Nello stesso si legge che se l'imputato avesse ottemperato agli obblighi previsti dalla normativa antinfortunistica, l'evento morte non si sarebbe verificato secondo un giudizio di elevata credibilità razionale in quanto si sarebbe evitato di lasciare che il lavoratore operasse in condizioni di improvvisazione accedendo al tetto con una scala reperita sul posto di altezza incongrua rispetto all'altezza tra il tetto e il piano di appoggio e semplicemente appoggiata, senza alcuna attrezzatura idonea a prevenire le cadute dall’alto. Va, inoltre sottolineato, ha così aggiunto la suprema Corte, che i giudici di merito hanno ben evidenziato che la causa prima dell'evento fosse da individuare nella marcata superficialità nell'organizzazione del lavoro, nell'assenza di attrezzature idonee e nell'assenza di qualsiasi istruzione di carattere generale e particolare, ossia nell'inottemperanza a obblighi specificamente gravanti sul datore di lavoro, dunque rientranti nell'area di rischio della quale egli è costituito per legge gestore e garante.

 

Occorre poi ricordare, ha sottolineato la Corte di Cassazione, il principio già espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di reati colposi omissivi impropri, "l'effetto interruttivo del nesso causale può essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare” citando in merito come precedenti le indicazioni fornite nella sentenza della Sezione IV n. 33976  del 15/09/2021, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ Un caso di colpa esclusiva del lavoratore infortunato” e la sentenza della Sezione IV n. 123 del 03/01/2019, pubblicata e commentata nell’articolo “La responsabilità per un infortunio dovuto a un cancello non a norma. L’imputazione non sarà però comunque esclusa, ha aggiunto la suprema Corte, “qualora l'evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro”. Conseguentemente quindi, secondo la Corte di Cassazione, non può ritenersi che la sentenza impugnata, come ha preteso il ricorrente, non avesse chiarito le ragioni della mancata interruzione della serie causale attivata proprio dalla condotta colposa dell’imputato,

 

Con riferimento poi alla motivazione riguardante l'incidenza del grado della colpa sulla misura della pena, la suprema Corte ha osservato che tale pena era stata determinata con un giudizio insindacabile da parte della Corte territoriale. Ritenute infondate anche le altre motivazioni, in conclusione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione, in solido con il responsabile civile della società, delle spese di giudizio sostenute dalle parti civili che ha liquidate complessivamente in 5.700 euro oltre accessori come per legge.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Scarica la sentenza di riferimento:

Cassazione Sezione IV penale - Sentenza n. 12332 del 26 marzo 2024 (u. p. 28 febbraio 2024) -  Pres. Di Salvo  – Est. Serrao – Ric. omissis. - Il comportamento di un lavoratore non è esorbitante dall’area di rischio del titolare della posizione di garanzia qualora un infortunio occorsogli sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro.

 


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