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Un caso di colpa esclusiva del lavoratore infortunato

Un caso di colpa esclusiva del lavoratore infortunato
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

14/03/2022

Non è responsabile il datore di lavoro per l'infortunio accaduto a un lavoratore che per delle lavorazioni non ha utilizzato un macchinario previsto nel dvr ma uno scelto di sua iniziativa che ha determinato il rischio che ha portato all’infortunio.

E’ un caso di colpa esclusiva del lavoratore infortunato e di non responsabilità del datore di lavoro quello che emerge dalla lettura di questa sentenza della Corte di Cassazione. Non accade frequentemente in realtà che la Corte suprema attribuisca una colpa specifica al lavoratore che è stato vittima di un evento infortunistico e che scagioni da ogni responsabilità il suo datore di lavoro. Questa volta lo ha fatto annullando la sentenza di condanna inflittagli nei due primi gradi di giudizio in quanto il lavoratore infortunato, per effettuare delle operazioni di pulitura di un terreno agricolo, non aveva utilizzato il macchinario previsto nel DVR ma un altro, scelto di sua iniziativa e ad insaputa del datore di lavoro stesso, che durante il suo utilizzo ha generato il rischio che ha poi portato all’evento mortale.

 

La suprema Corte, infatti, pur richiamando una serie di precedenti sentenze che hanno affermato il principio secondo il quale non è da intendersi interrotto il nesso di causalità fra una condotta omissiva della figura o delle figure cha avevano assunto una posizione di garanzia nel caso in cui  il rischio che aveva portato all’infortunio era comunque sottoposto al loro controllo, ha ritenuto invece che il datore di lavoro, che aveva regolarmente svolto un'adeguata analisi ed una corretta valutazione dei rischi, era del tutto impossibilitato, nel caso particolare, a prevedere che il lavoratore avrebbe adoperato un altro macchinario diverso da quello indicato nel DVR, più pericoloso e tra l’altro non disponibile in azienda.


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Il fatto e l’iter giudiziario.

La Corte di Appello, in riforma della sentenza del Tribunale, ha ridotto ad un anno di reclusione la pena, già condizionalmente sospesa, inflitta nei confronti del datore di lavoro di una azienda agricola in relazione al reato di cui all'art. 589, commi primo e secondo, cod. pen., per avere cagionata la morte di un lavoratore dipendente per colpa generica nonché per violazione delle disposizioni di cui agli artt. 3 e 4, comma 1, del D. Lgs. n. 626 del 1994; in particolare, i lavoratore, operaio comune di V livello addetto all'allevamento dei bufali all'interno dell'azienda, stava effettuando operazioni di trinciatura utilizzando un trattore con annessa macchina trinciatrice su un terreno erboso non lavorato da diverso tempo e non precedentemente ripulito allorquando, durante le operazioni di taglio dell'erba, un filamento metallico, presente sul sito, si era avvolto al rotore della trinciatrice ed una particella, dopo essersi spezzata, era stata proiettata in alto ed in avanti verso il posto guida del trattore condotto dal lavoratore e lo aveva colpito all'altezza dell'occhio destro, penetrando in profondità e provocando un'emorragia celebrare che ne aveva determinato il decesso. Era stato inoltre riscontrato a suo carico una violazione dell'art. 89, commi 1 e 2, in relazione all'art. 4, commi 1 e 2, dello stesso D. Lgs. n. 626 del 1994, poiché non aveva effettuata la corretta valutazione dei rischi e del pericolo presenti sul luogo di lavoro mediante apposito sopralluogo e non aveva individuate le misure di prevenzione in modo da pianificare la bonifica del terreno, prima che sullo stesso fosse svolta qualsivoglia attività omettendo di scegliere attrezzature da lavoro appropriate alla lavorazione da effettuare, in modo tale da eliminare il rischio.

 

Il Tribunale aveva osservato che il terreno in questione non aveva formato oggetto di falciatura da molti anni e che su di esso erano disseminati residui di metallo riconducibili a strutture in cemento armato disgregate e pezzi di calcestruzzo di discrete dimensioni. Il tecnico dell'A.S.L. intervenuto per le indagini aveva riferito che sul terreno erano depositati materiali provenienti soprattutto da lavorazione edilizia, dall'esterno dell'azienda, e aveva confermato che il terreno presentava materiale di risulta, quali tondini in ferro, porzioni di cordoli in cemento, filamenti metallici costituenti l'armatura dei cordoli stessi e pietre di diverse dimensioni.

 

Secondo il Tribunale, il compimento di un sopralluogo preventivo, finalizzato a valutare l'effettiva conformazione dei luoghi e ad una ripulitura o bonifica preliminare atta all'eliminazione di eventuale materiale ferroso nonché lo svolgimento di un'adeguata formazione del lavoratore sulla natura delle operazioni da espletare e sui rischi connessi, la predisposizione di cautele e di attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ed idonee ai fini della sicurezza e della salute del dipendente, la vigilanza del datore di lavoro sull'esecuzione dell'opera, se adottate dall'imputato, avrebbero impedito la verificazione dell'evento lesivo. Il datore di lavoro, infatti, deve attivarsi per organizzare le attività lavorative in sicurezza, garantendo anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi (es. dispositivi di protezione individuale).

 

Né, aveva sostenuto il Tribunale, la responsabilità dell’imputato poteva essere esclusa dal concorrente comportamento del lavoratore in quanto le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, avendo lo scopo di impedire l'insorgere di pericoli, anche se eventuali e remoti, sono dirette a tutelare il lavoratore anche contro gli incidenti derivanti da un suo comportamento colposo e dei quali, conseguentemente, l'imprenditore è chiamato a rispondere per il semplice fatto del mancato apprestamento delle idonee misure protettive, pure in presenza di condotta imprevidente e negligente del lavoratore.

 

Anche la Corte di Appello aveva ritenuta correttamente accertata la sussistenza della colpa specifica concretatasi nella violazione degli artt. 3 e 4, comma 1, del D. Lgs. n. 626 del 1994 e aveva giudicato non abnorme il comportamento del lavoratore infortunato perché aveva deciso di utilizzare uno strumento adatto alla lavorazione affidatagli. A prescindere dalla potenza dell'attrezzo utilizzato, secondo la stessa Corte, il datore di lavoro, in un apposito sopralluogo, avrebbe dovuto verificare la presenza dei materiali estranei al terreno e disporne la rimozione, al fine di consentire lo svolgimento dell'operazione di ripulitura del terreno in assenza di pericoli. Né ha ritenuto condivisibile il rilievo secondo cui, al momento dell'evento, nel terreno non erano presenti altri residui ferrosi oltre quelli rinvenuti, perché invece vi erano numerosi residui (strutture in cemento armato disgregate e di pezzi di calcestruzzo di discrete dimensioni) per cui un attento controllo dei luoghi avrebbe consentito di individuare e di rimuovere i tondini di ferro finiti negli ingranaggi della trinciatrice.

 

Il ricorso per cassazione e le motivazioni.

L’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale proponendo alcuni motivi di impugnazione. Lo stesso nel ricorso ha fatto presente di avere preventivamente programmato con il lavoratore l'intervento di ripulitura del terreno dopo aver effettuato con lui un sopralluogo durante il quale, constatata l'elevata altezza dell'erba, avevano convenuto di effettuare la pulitura utilizzando un Ripper che, trainato da un trattore, essendo munito di "zanne" che si infilano nel terreno, avrebbe predisposto lo stesso ad una migliore falciatura delle erbe ripulendo il terreno da eventuali materiali inerti e ha sottolineato, altresì che il lavoratore infortunato, nonostante la sua giovane età, era dotato di superiori capacità sul lavoro, tanto da farlo ritenere un elemento fondamentale nell'organizzazione del lavoro quotidiano proprio e degli operai da lui diretti e godeva di ampia autonomia nell'organizzazione del lavoro costituendo il punto di riferimento per i lavoratori dell'azienda. Ciò lo aveva indotto ad escludere che il lavoratore potesse porre in essere condotte impreviste ed imprevedibili, al di fuori di quanto concordato, tali da mettere a repentaglio la sua vita.

 

Il giorno della disgrazia, ha precisato ancora il ricorrente, l’operaio aveva deciso autonomamente di ripulire il terreno, avvalendosi, anziché del Ripper, di una trinciatrice, non presente in azienda ma del proprietario di una azienda confinante al quale l’aveva richiesta mezz'ora prima dell'incidente, a riprova dell'estemporaneità della decisione, assunta dalla vittima, nell'immediatezza degli eventi, a sua insaputa. Non avrebbe quindi mai potuto adottare le necessarie misure di sicurezza in relazione all'impiego di una trinciatrice non presente in azienda, deciso all'ultimo istante dal lavoratore in violazione delle direttive impartitegli. Non poteva quindi prevedere l'evento lesivo verificatosi, essendosi concretizzato un rischio diverso da quello da lui evitabile con la diligenza, la prudenza e la perizia richieste. L'adozione del Ripper, come concordato, avrebbe comportato una bonifica "morbida" del terreno, prima di procedere al concordato sfalcio dell'erba alta.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Il ricorso del datore di lavoro è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione. La stessa ha dato rilievo alla questione prospettata dalla difesa circa il comportamento abnorme del lavoratore, tale da escludere il nesso di causalità tra la condotta a lui ascritta e l'evento infortunistico. Ha richiamato in merito la suprema Corte dei principi riscontrabili nella giurisprudenza della Corte di legittimità e più in particolare

-  nella sentenza  n. 7188 del 10/01/2018 della Sez. IV penale secondo la quale il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro;

- nella sentenza n. 5794 del 26/01/2021 della Sez. IV penale secondo la quale in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (vedi articolo Sulla responsabilità per una macchina priva dei requisiti di sicurezza);

- nella sentenza n. 27871 del 20/03/2019 nella Sez. IV penale secondo la quale perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante;

- nella sentenza n. 25532 del 23/05/2007 della Sez. IV penale secondo la quale in linea di principio, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio proprio della lavorazione svolta e di conseguenza il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione ricevute.

 

Nel caso di specie, ha così proseguito la suprema Corte, andava dunque valutato se la condotta tenuta dalla vittima fosse o meno prevedibile per il titolare della società coinvolta nell'attività di lavoro, sì da attribuire efficacia causale alle sue eventuali omissioni per cui la soluzione offerta dalla Corte di Appello non è stata ritenuta sufficiente ed adeguata a sostenere la pronuncia di responsabilità dell'imputato, non avendo fatto buon governo dei principi sopra riportati.

 

Il datore di lavoro e l’operaio infortunato, ha evidenziato la Sez. IV, avevano preventivamente svolto un sopralluogo nell'appezzamento di terreno, al fine di stabilire le modalità di esecuzione dell'intervento di ripulitura dell'appezzamento di terreno; constatata l'elevata altezza dell'erba i due avevano concordato di eseguire tale lavorazione mediante un macchinario presente in azienda chiamato Ripper, un attrezzo agricolo, che permette il taglio verticale dell’erba in profondità (anche fino ad un metro), senza comportare il rimescolamento degli strati del terreno; esso, infatti, trainato da un trattore, essendo munito di zanne che si infilano nel terreno, avrebbe predisposto lo stesso ad una migliore falciatura delle erbe, ripulendo il terreno anche da eventuali materiali inerti. Il lavoratore, dipendente capace ed affidabile tanto da trovarsi in una posizione preminente rispetto agli altri operai, solo mezz'ora prima dell'evento letale, di sua iniziativa e senza avvertire il datore di lavoro si era rivolto a un vicino chiedendogli in prestito una trinciatrice, macchina agricola trasportata e messa in movimento da un trattore usata per abbattere e triturare residui vegetali (erba incolta, residui di coltivazione), non disponibile in azienda.

 

La trinciatrice utilizzata dall’operaio è progettata e costruita per potere lavorare su un terreno agrario/vegetale, cioè libero da materiale metallico del tipo di quello ritrovato sul terreno dell'azienda agricola sul quale stava lavorando. L'eccessiva potenza della trinciatrice aveva comportato il tranciamento del filo metallico e la sua espulsione ad elevatissima velocità; il Ripper invece avrebbe pulito il terreno con una azione di rastrellamento, per cui non avrebbe potuto provocare la situazione di rischio che aveva determinato l'evento dovuto alla proiezione a velocità di materiale metallico.

 

Alla luce di tale ricostruzione dei fatti, quindi, i giudici di merito avevano ritenuto sussistente una culpa in vigilando del datore di lavoro, perché aveva consentito l'utilizzo di un macchinario non adatto alla tipologia di terreno da trattare, contenente materiali di risulta che potevano essere rilanciati ad elevata velocità e colpire il manovratore del trattore. Effettivamente, ha aggiunto la suprema Corte, incombe sul datore di lavoro il compito di vigilare, anche mediante la nomina di un preposto, sulle modalità di svolgimento del lavoro in modo da garantire la corretta osservanza delle disposizioni atte a prevenire infortuni sul lavoro, in quanto il datore di lavoro deve vigilare per impedire l'instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche (sentenza n. 10123 del 15/01/2020 della Sez. IV).

 

Nel caso in esame, però, il datore di lavoro era del tutto impossibilitato a prevedere la pericolosità del macchinario adoperato dal lavoratore, perché aveva condiviso assieme a quest'ultimo la scelta di uno di tipologia del tutto diversa (avente l'effetto di trascinare i residui e non di ruotare, col rischio di espellerli ad elevata velocità). Né il datore di lavoro poteva immaginare che il lavoratore avrebbe adoperato un macchinario (la trinciatrice), senza il suo consenso, di potenza tale da determinare l'espulsione di detriti e di corpi metallici ad elevata velocità. Il datore di lavoro aveva svolto un'adeguata analisi ed una corretta valutazione del rischio e. aveva ragionevolmente escluso da ogni valutazione la possibilità di utilizzo di un macchinario imprevisto, più potente, diverso da quello stabilito e non disponibile in azienda.

 

In conclusione, secondo la suprema Corte, l'utilizzazione il giorno dell’infortunio di un macchinario pericoloso per il tipo di terreno su cui operare, diverso da quello concordato, acquisito solo pochissimo tempo prima della lavorazione e all'insaputa del datore di lavoro, da parte di un dipendente di notevole esperienza, avevano costituito fattori, complessivamente considerati, di natura eccezionale ed imprevedibile, frutto di un'iniziativa autonoma, che si era svolta in un ambito del tutto eccentrico rispetto alle mansioni affidate e che aveva introdotto un rischio nuovo non preventivabile ed evitabile. La natura abnorme della condotta del lavoratore ha, pertanto, interrotto nel caso particolare il rapporto di causalità tra le omissioni contestate nell'imputazione e l'evento mortale, per cui la sentenza impugnata è stata annullata dalla Corte di Cassazione senza rinvio perché il fatto non sussiste.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 33976 del 15 settembre 2021 (u.p. 17 marzo 2021) - Pres. Fumu - Est. Esposito - Ric. V A. - Non è responsabile il datore di lavoro per l'infortunio accaduto a un lavoratore che per delle lavorazioni non ha utilizzato un macchinario previsto nel dvr ma uno scelto di sua iniziativa che ha determinato il rischio che ha portato all’infortunio.

 

Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 5794 del 15 febbraio 2021 (u. p. 26 gennaio 2021) -  Pres. Menichetti – Est. Tanga – P.M. Fimiani - Ric. C.F.M. - La eventuale responsabilità del costruttore per avere progettato o fabbricato un macchinario privo dei requisiti di sicurezza non esclude quella del datore di lavoro che lo utilizza sul quale grava comunque l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo.





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Rispondi Autore: raffaele scalese - likes: 0
14/03/2022 (06:10:30)
Mi domando se la trinciatrice fosse stata in dotazione all'azienda agricola (caso per altro diffusissimo) e pertanto PRESENTE nel parco macchine, la decisione della Suprema Corte sarebbe stata la stessa ?
Nonostante il sopralluogo, la scelta del metodo di lavoro ed il DVR fatto a regola d'arte.
Credo, purtroppo di no.
Il principio di NON interruzione del nesso di causalità è molto spesso. a mio avviso, inteso in modo estremamente rigido.
Ma allora la formazione (seria); l'attribuzione di responsabilità formale (leggi nomina preposto); l'impegno nella stesura dei DVR ed i richiami continui alle condotte di sicurezza hanno proprio valore marginale?

Mi piacerebbe sentire qualche commento da altri colleghi.

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