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Il RSPP non è responsabile perché non ha potere decisionale

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Datore di lavoro

08/11/2010

La Corte di Cassazione si esprime ancora sulla annosa tematica della responsabilità del RSPP: è un ausiliario del datore di lavoro e la sua designazione non equivale a delega di funzioni. A cura di G.Porreca.

 
 
 
Commento a cura di G. Porreca.
 
Se ancora sussistono dei dubbi sul tema della responsabilità del RSPP la Sezione feriale della Corte di Cassazione Penale con questa sentenza ha ribadito che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è un ausiliario del datore di lavoro ed opera come consulente dello stesso e che inoltre la sua designazione non equivale ad una delega di funzioni. Il RSPP è, infatti, considerato solo uno “strumento” del datore di lavoro che si avvale della sua opera per meglio ottemperare agli obblighi di cui è esclusivo destinatario e lo stesso non può venire chiamato a rispondere direttamente del suo operato proprio perché difetta di un effettivo potere decisionale.
 

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Il caso
Il responsabile dei lavori ed il delegato alla sicurezza di una ditta appaltatrice nonché il titolare di una impresa subappaltatrice, operanti in un cantiere edile oggetto di alcuni lavori di ristrutturazione di un fabbricato, sono stati ritenuti responsabili, per colpa generica e specifica, di un infortunio sul lavoro occorso ad un lavoratore dipendente della ditta subappaltatrice il quale, scivolando su di una scala in muratura posta a ridosso dell'area di cantiere e sprovvista di corrimano, precipitava da un'altezza di circa tre metri rovinando violentemente al suolo procurandosi lesioni dalle quali derivava una malattia ed un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni.
 
Nel corso delle indagini veniva accertato che il lavoratore aveva preferito utilizzare tale scala per scendere a terra per raccogliere il berretto strappatogli da una folata di vento anziché servirsi di quella di cantiere appositamente predisposta all'interno dell'impalcatura. La responsabilità degli imputati veniva ravvisata a causa della riscontrata pericolosità della scala in muratura, sulla quale l'infortunato stava lavorando, scala posta a ridosso immediato dell'impalcatura di cantiere, composta di gradini in pietra parzialmente sconnessi e priva di qualsiasi ringhiera o parapetto di protezione dal rischio di caduta ed utilizzata tra l’altro, sia pure saltuariamente, anche da altri lavoratori.
 
La sentenza di condanna degli imputati è stata confermata dalla Corte di Appello la quale, nel raccogliere in toto l'impostazione fatta dal Tribunale, ha affermato che la scala suddetta, alla luce delle sue caratteristiche, era in concreto funzionale al cantiere per cui sussisteva l'obbligo di metterla in sicurezza contro il rischio di cadute di persone e l’obbligo di adottare le cautele prescritte dalla normativa di prevenzione che se, tempestivamente adottate, avrebbero certamente evitato l'evento lesivo.
 
I due imputati hanno fatto ricorso alla Corte di Cassazione ponendo innanzitutto in evidenza che nella circostanza doveva riconoscersi l' abnormità del comportamento imprudente del lavoratore il quale, in maniera del tutto inopinata, per andare a prendere il cappello che era volato via a causa del vento, si era servito di una scala non ricompresa nel cantiere ed esterna ad esso. Gli stessi hanno fatto, altresì, presente, a scarico delle loro responsabilità, che nell'istruttoria espletata era stato escluso l'utilizzo della scala suddetta da parte degli altri operai ed era stato anzi dimostrato che ai lavoratori era stato vietato di usare la stessa in quanto dovevano servirsi delle scale interne all'armatura. Era risultato, altresì, che il legale rappresentante dell'impresa subappaltatrice, dalla quale dipendeva il lavoratore infortunato, aveva nominato, quale "consulente" e RSPP, il coimputato che aveva ricevuto dalla ditta appaltatrice anche l'incarico di capo cantiere per cui doveva ritenersi che allo stesso fosse stata attribuita una delega di funzioni.
 
I ricorsi degli imputati sono stati però ritenuti infondati dalla Corte di Cassazione  la quale in primis ha tenuto a ricordare in proposito “il principio, assolutamente pacifico, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, l'addebito di responsabilità formulabile a carico del datore di lavoro non è in effetti escluso dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio, giacché al datore di lavoro, che è ‘garante’ anche della correttezza dell'agire del lavoratore, è imposto (anche) di esigere da quest'ultimo il rispetto delle regole di cautela (cfr. Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 8, articolo 18, comma 1, lettera f)”. “In altri termini”, prosegue la Corte di Cassazione, “il datore di lavoro, quale diretto responsabile della sicurezza del lavoro, deve operare un controllo continuo e pressante per imporre che i lavoratori rispettino la normativa prevenzionale e sfuggano alla tentazione, sempre presente, di sottrarsi ad essa anche instaurando prassi di lavoro magari di comodo, ma non corrette e foriere di pericoli (cfr., di recente, Sezione 4, 28 febbraio 2008, Leonardi; nonché, Sezione 4, 8 ottobre 2008, Proc. gen. App. Venezia in proc. Dal Tio)” e quindi “in questa prospettiva, si esclude tradizionalmente che presenti le caratteristiche dell'abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto, essendo l'osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore (cfr. Sezione 4, 5 giugno 2008, Stefanacci ed altri)”
 
D’altra parte, ha sostenuto ancora la Sezione feriale penale, “l'ipotesi tipica di comportamento ‘abnorme’ è quella del lavoratore che violi ‘con consapevolezza’ le cautele impostegli, ponendo in essere in tal modo una situazione di pericolo che il datore di lavoro non può prevedere e certamente non può evitare” e, sempre in merito alla interruzione del nesso causale, la stessa Sezione ha formulata un’altra ipotesi che è “quella del lavoratore che provochi l'infortunio ponendo in essere, colposamente, un'attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento ‘esorbitante’ rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile (ed evitabile) per il datore di lavoro (come, ad esempio, nel caso che il lavoratore si dedichi ad un'altra macchina o ad un altro lavoro, magari esorbitando nelle competenze attribuite in esclusiva ad altro lavoratore; ovvero nel caso in cui il lavoratore, pur nello svolgimento delle mansioni proprie, abbia assunto un atteggiamento radicalmente lontano dalle ipotizzatali e, quindi, prevedibili, imprudenze comportamentali) (cfr., tra le altre, di recente, Sezione 4, 22 gennaio 2007, Pedone ed altri)”. Un infortunio sul lavoro è pur sempre da addebitare al datore di lavoro, secondo la Corte di Cassazione, anche in presenza dell'imprudenza del lavoratore, nel caso di una mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio del comportamento imprudente e eziologicamente ricollegato al verificarsi dell'infortunio così come si è verificato nel caso posto all’attenzione della suprema Corte in questa sentenza allorquando è stato accertato che il direttore dello stabilimento nonché delegato alla sicurezza aveva omesso di predisporre o di far predisporre, in presenza di un rischio di caduta dall'alto, la necessaria misura di prevenzione.
 
“In effetti”, prosegue la suprema Corte, “dalla normativa di settore (cfr., in particolare, Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, articolo 8, commi 3 e 10; ora, Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 31, commi 2 e 5), emerge che i componenti del servizio di prevenzione e protezione, essendo considerati dei semplici ‘ausiliari’ del datore di lavoro, non possono venire chiamati a rispondere direttamente del loro operato, proprio perché difettano di un effettivo potere decisionale. Essi sono soltanto dei ‘consulenti’ e i risultati dei loro studi e delle loro elaborazioni, come in qualsiasi altro settore dell'amministrazione dell'azienda (ad esempio, in campo fiscale, tributario, giuslavoristico), vengono fatti propri dal vertice che li ha scelti sulla base di un rapporto di affidamento liberamente instaurato e che della loro opera si avvale per meglio ottemperare agli obblighi di cui è esclusivo destinatario”.
 
Quindi, prosegue la Sezione feriale, “la ‘designazione’ del RSPP, che il datore di lavoro è tenuto a fare, non equivale a ‘ delega di funzioni’ utile ai fini dell'esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perché gli consentirebbe di ‘trasferire’ ad altri - il delegato - la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori. Posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore di lavoro in quanto ex lege onerato dell'obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all'espletamento dell'attività lavorativa”. In altre parole  “la designazione del RSPP non ha nulla a che vedere con l'istituto della ‘delega di funzioni’ (cfr. ora Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 16) e non può quindi assumere la stessa rilevanza ai fini dell'esonero della responsabilità del datore di lavoro”.
 
La Corte di Cassazione ha, infine, colta l’occasione con questa sentenza per richiamare i compiti ed i relativi poteri attribuiti dalla legge al RSPP tra i quali rientra l'obbligo dell'individuazione dei fattori di rischio e delle misure da adottare per la sicurezza e la salubrità dell'ambiente di lavoro, e per ribadire che “il RSPP opera ‘per conto’ del datore di lavoro, svolgendo solo un' attività di ‘consulenza’ nella materia della prevenzione dei rischi in ambiente lavorativo, di guisa che i risultati della sua attività sono destinati al datore di lavoro, cui compete, poi, di ottemperare alle indicazioni offertegli rimuovendo le situazioni pericolose” e conclude affermando che “il datore di lavoro, quindi, è e rimane il titolare della posizione di garanzia nella subiecta materia, dovendosi escludere che possa invocarsi impropriamente l'istituto della delega di funzioni in presenza della mera nomina del RSPP”.
 
 


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Rispondi Autore: Siri Gian Paolo - likes: 0
08/11/2010 (10:56:45)
delegato alla sicurezza!!!! ma chi è e chi può essere ?
Rispondi Autore: Raffaele Giovanni Ispettore del Lavoro - likes: 0
08/11/2010 (18:33:05)
Ci mancava anche questa, un giorno la Magistratura dice che gli RSPP sono oggettivamente responsabili e altro giorno dicono il contrario. Behhhh necessiterebbe un chiarimento legislativo o una sentenza della Suprema Corte a Sezioni Riunite.

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