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Stress e lavoro: il codice civile e le sentenze significative

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Rischio psicosociale e stress

13/10/2011

Una rassegna degli elementi significativi del Codice civile, delle misure generali di tutela del D.Lgs. 81/2008 e della letteratura giurisprudenziale in relazione allo stress lavoro-correlato.


Bologna, 13 Ott –Con l’obiettivo di favorire la formazione e il miglioramento della professionalità dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza ( RLS), PuntoSicuro conclude la presentazione degli interventi che si sono tenuti al seminario “Il ruolo del RLS nella valutazione dello stress lavoro-correlato”; un seminario organizzato dal Servizio Informativo per i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza ( SIRS-RER) insieme ad altri enti e organizzazioni (Provincia, Comune e  AUSL di Bologna, AUSL di Imola, DPL di Bologna, INAIL e DSP di Bologna, CGIL-CISL-UIL, …).
 
Dopo aver esaminato la normativa storica e vigente relativa al tema dello stress lavoro correlato ( intervento di Rolando Dubini) e i percorsi e metodologie di lavoro per la valutazione dello stress ( intervento di Graziano Frigeri), ci soffermiamo su alcuni aspetti giurisprudenziali presentando i contenuti dell’intervento di Anna Guardavilla. 
 
L’intervento dal titolo “Stress e codice civile” passa in rassegna - sempre in relazione al tema dello stress lavoro correlato nei luoghi di lavoro - alcuni aspetti relativi al Codice civile, alle misure generali di tutela e alla letteratura giurisprudenziale riportando testualmente articoli di legge e  sentenze. 
 

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Codice civile 
La relatrice ricorda che l’Art. 2087 del codice civile indica che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. A questo proposito la Cassazione (Cass. 2 maggio 2000 n. 5491)  scrive che “l’obbligo che scaturisce dall’art. 2087 non può ritenersi limitato al rispetto della legislazione tipica della prevenzione, riguardando altresì il divieto, per il datore di lavoro, di porre in essere, nell’ambito aziendale, comportamenti che siano lesivi del diritto all’ integrità psicofisica del lavoratore”.
Inoltre il datore di lavoro è tenuto a tutelare la dignità del lavoratore che è “la condizione di onorabilità e nobiltà morale che nasce dalle qualità intrinseche di chi ha dignità e si fonda propriamente sul suo comportamento, sul suo contegno nei rapporti sociali, sui propri meriti e consiste in un rispetto di sé, che suscita ed esige negli altri, in forza di tale esemplarità etica” (Cass. Sez. Un., 29 maggio 1993 n. 6031). 
 
Misure generali di tutela 
Vengono sottolineati due punti dell’articolo 15 (Misure generali di tutela) del Decreto legislativo 81/2008. Le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro sono:
- (…) “programmazione della prevenzione mirando ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell’azienda nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e dell’ organizzazione del lavoro” (lett. b);
- “il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo” (lett. d).  
 
Giurisprudenza
La relatrice riporta una sentenza del Pretore di Milano del 14 dicembre 1995: “il danno psichico puro, anche quando non comporti un’apprezzabile riduzione della capacità lavorativa, è comunque lesivo del diritto alla salute, da intendersi come l’insieme degli aspetti che riguardano la specifica soggettività di ogni persona, caratterizzata proprio dal suo modo di porsi e di essere, nonché dalle specifiche caratteristiche della sua personalità”. 
Alcuni estratti di altre sentenze significative della Cassazione:
-  “Poiché nella nozione di causa violenta rientra anche lo stress emotivo ricollegabile al lavoro svolto, si deve ritenere infortunio sul lavoro quello che ha provocato la morte di un soggetto con cardiopatia preesistente per effetto dell’usura e dello stress” (Cass. Lav., sent. n.  13741 del 2000); 
- “Anche una condizione lavorativa stressante, nella specie per sott’organico, può costituire fonte di responsabilità per il datore di lavoro” e pertanto “non si può escludere che vi sia un nesso causale, per un lavoratore obbligato all’uso di autoveicolo, tra le condizioni di stress e l’incidente stradale”  (Cass. Lav., sent. n. 5 del 2002).
 
In particolare la D.essa Guardavilla si sofferma su tre diverse sentenze.
 
Cass. Lav., sent. n. 26231 del 2009:
-  “Un infarto, anche in soggetto già sofferente di cuore ed iperteso, può costituire infortunio sul lavoro, ma occorre la prova che tale evento, normalmente ascrivibile a causa naturale, sia stato causato o concausato da uno sforzo, ovvero dalla necessità di vincere una resistenza inconsueta o un accadimento verificatosi nell’ambito del lavoro il quale abbia richiesto un impegno eccedente la normale adattabilità e tollerabilità”;
- “Nella fattispecie però i giudici di appello mettono in evidenza che non vi sono prove sulle circostanze in cui avvenne la morte, mentre le circostanze anteriori non risultano assurgere a cause scatenanti un vero e proprio scompenso morbigeno. Il riferimento alle condizioni climatiche è rimasto generico e l’asserita insalubrità del posto di lavoro è sfornita di prova”; 
- “Sulla base degli accertamenti in fatto, correttamente il giudice di appello si è uniformato alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha citato, finendo per concludere che manca la prova dell’evento anormale, il quale era l’unica possibilità di ricondurre l’infarto a infortunio sul lavoro”. 
 
Cass. Lav., sent. n. 7663 del 2010:
- “La Corte di Appello è pervenuta alla motivata conclusione che le Poste avevano dotato l’Agenzia delle misure di sicurezza e, specificamente, delle misure antirapina espressamente previste nel proprio regolamento interno ed estese a tutti gli uffici di analoghe dimensioni e dislocazioni”; 
- “Dette misure erano, ad ogni modo, compatibili con quelle di protezione previste dall’art.
 2087 c.c. dovendosi avere riguardo alle caratteristiche dell’attività dell’impresa e delle mansioni svolte dal lavoratore, nonché alle condizioni dell’ambiente esterno a quello di lavoro, sicché vi sia una apprezzabile probabilità, oggettivamente valutabile, di verificazione del rischio lamentato”;
- “L’ambito di applicazione dell’art. 2087 c.c., pur se ampio, non può essere dilatato fino a comprendervi ogni ipotesi di danno e non può essere esteso a tutti quei casi in cui il danno non si sarebbe verificato in presenza di migliori e diversi accorgimenti atti ad impedirne la verificazione, perché in tal modo si perverrebbe ad un vero e proprio principio di responsabilità oggettiva”; 
- “Non può contestarsi il convincimento del Giudice di appello, secondo cui la società aveva improntata la propria condotta a tali principi, giacché aveva tenuto conto delle piccole dimensioni dell’Ufficio postale in esame e, soprattutto, della densità criminale notoriamente tra le più basse d’Italia, nonché della scarsa incidenza di rapine nell’Ufficio in esame”. 
 
Cass. Lav., sent. n. 18278 del 2010:
- “Se pure al datore di lavoro faccia capo la facoltà di predisporre, anche unilateralmente, sulla base del potere di organizzazione e di direzione che gli compete ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., norme interne di regolamentazione attinenti all’organizzazione del lavoro nell’impresa, tale potere non è privo di limiti…”; 
- “… occorrendo a tal fine che il suo esercizio sia effettivamente funzionale alle esigenze - tecniche, organizzative e produttive - dell’azienda, e comunque non si traduca in una condotta che possa risultare pregiudizievole per l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori d’opera”; 
- “Ciò in quanto, nell’equo bilanciamento dell’esigenza di funzionalità dell’impresa e di tutela delle condizioni di lavoro e del lavoratore, il legislatore ha chiaramente privilegiato, con la disposizione di cui all’articolo 41 Cost., ripresa dall’articolo 2087 c.c., quest’ultimo profilo”;  - “Nel caso di specie, nell’ambiente unico di lavoro in cui veniva effettuata l’ attività di stireria, era stato apposto un paravento di cartone che delimitava lo spazio in due zone, l’una più ampia, entro la quale lavorava il personale e l’altra, più angusta e priva di luce autonoma, al cui ambito vennero destinate le lavoratrici ribelli”; 
- “Il dato obiettivo emerso è, pertanto, unicamente l’apposizione del paravento in cartone, che non solo creava scompenso di luce ed aria nell’ambiente di lavoro - in quanto chiudeva le ribelli in una sorta di angolo del preesistente unico spazio - ma determinava l’ulteriore, grave scompenso di natura psicologica, separando l’attività lavorativa delle une da quella delle altre dipendenti”; 
- “La peculiare tipologia del lavoro svolto - attività di stiro industriale - di evidente aggravio fisico, per le emanazioni di vapore a flusso continuativo, è stata così ulteriormente appesantita dall’ulteriore, duplice ed ingiustificata circostanza dell’angustia spaziale e della separazione dal residuo contesto ambientale, alternativamente destinato alle lavoratrici acquiescenti”; 
- “Il punto nodale dell’intera vicenda è costituito dal divieto, posto in capo al datore di lavoro, di adottare provvedimenti che, se pur funzionali alle esigenze organizzative dell’azienda, si traducano in una condotta che possa risultare pregiudizievole per l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori d’opera”; 
- “E tale divieto, avendo contenuto immediatamente precettivo, prescinde dall’esistenza o meno di un intento punitivo da parte del datore di lavoro, che si appalesa quindi del tutto irrilevante, trovando il proprio fondamento nella normativa, di rango costituzionale, concernente il rispetto delle condizioni di lavoro dei dipendenti, oltre che nella consequenziale normativa codicistica”.
 
La relazione si conclude con la citazione di una sentenza del TAR del Lazio (sent. n. 35028 del 2010) che approfondisce la tematica della dimostrazione dell’evento causativo e del nesso di causa:
- “I ricorrenti, appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, sostengono violazione da parte della loro Amministrazione dell’art. 2087 c.c.: secondo le prospettazioni degli interessati l’uso continuativo dei videoterminali per oltre venti ore la settimana comporta un danno da stress, che chiedono venga accertato anche tramite CTU”;
- sostengono di aver “subito una esposizione diretta e continua, comunque superiore alle quattro ore al giorno ad onde elettromagnetiche in grado di produrre danni irreversibili sulla vista, sul sistema nervoso, provocando alterazioni anche psicosomatiche”;
- secondo il TAR, “non può essere accolta la pretesa al risarcimento del danno alla salute, derivante dallo stress di espletare la propria attività lavorativa tutti i giorni usando i computers per più di 4 ore al giorno, in posizioni posturali e di luminosità precarie, pure richiesto dai ricorrenti, a causa della carenza di dimostrazione del pregiudizio subito”;
- “I ricorrenti hanno prodotto la Circolare del Ministero del Tesoro n. 11/1989 recante ‘Problemi di sicurezza ed igiene del lavoro per il personale adibito all’uso di video terminali’, una ricerca dell’ISPESL del 1995-1996 nonché un opuscolo dell’INAIL intitolato ‘ Il medico competente e gli addetti ai videoterminali’ contenente una raccolta di norme, circolari e studi sulle conseguenze dell’esposizione a dette apparecchiature”;
- “Ancorché tale corposo apparato documentale possa tornare utile ad un aggiornamento sulle problematiche in questione, esso non appare sufficiente a provare il danno che ciascun ricorrente possa avere tratto dalla adibizione a videoterminali e PC, dal momento che affronta la problematica in generale”;
-  invece “la prova del danno passa, secondo i principi civilistici, per la dimostrazione anzitutto dell’evento causativo, del nesso di causa e dell’elemento soggettivo presente in chi tale danno avrebbe prodotto. Allo stato nessuno di questi elementi appare sufficientemente dimostrato, con conseguente reiezione della relativa domanda”. 
   
 
Stress e codice civile”, a cura di Anna Guardavilla (Dottore in Giurisprudenza, specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro), relazione al convegno “Il ruolo del RLS nella valutazione dello stress lavoro-correlato” (formato PDF, 59 kB).
 
 
 
 
Tiziano Menduto


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