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Un’indagine sul disagio nelle relazioni lavorative

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Dati e statistiche

17/11/2010

Una rilevazione Istat sui problemi relativi al disagio nelle relazioni lavorative. I comportamenti vessatori, il demansionamento, la privazione di compiti, le cause del disagio lavorativo, le conseguenze fisiche e psicologiche.


Il disagio nelle relazioni lavorative è un ampio tema che non deve essere confuso con lo stress da lavoro. Di questa esperienza di disagio si è occupata l’ Istat, Istituto Nazionale di Statistica, che ha inserito un modulo relativo a questi problemi all’interno dell’indagine sulla Sicurezza dei Cittadini 2008-2009, iniziando così ad indagare, come raccomandato dall’ ILO (International Labour Organization), su questo tema di grande rilevanza sociale.
 
Nel documento Istat “ Il disagio nelle relazioni lavorative – Anni 2008-2009” si indica che tale disagio può essere imputato a diversi motivi, “secondo che questo si qualifichi orizzontalmente (nelle relazioni tra colleghi di pari grado gerarchico) o verticalmente (tra lavoratori di grado gerarchico differente).  Quest’ultimo a sua volta è distinto in discendente – quello più comune, che il superiore esercita sul sottoposto – e ascendente – meno comune, che uno o più sottoposti esercitano su un superiore”.
Nel primo caso – continua il documento - il disagio “può trovare origine nelle difficoltà dei rapporti interpersonali tra i lavoratori, ad esempio gelosie, competizione sul posto di lavoro, inimicizie”. Mentre nel secondo caso “possono prevalere anche motivi legati alla situazione aziendale, che mirano all’allontanamento del lavoratore dal posto di lavoro attraverso un licenziamento volontario”.
 
L’indagine Istat per rilevare il disagio si è basata su due particolari esperienze: il comportamento vessatorio e il demansionamento.
 

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Il comportamento vessatorio è caratterizzato da “un inequivocabile intento persecutorio o discriminatorio rivolto ad un soggetto, ripetuto nel tempo, con una frequenza superiore o uguale a più volte al mese e di durata sufficientemente lunga (superiore almeno ai sei mesi)”. Sono comunque considerate “vittime” coloro che “hanno dichiarato di aver subito azioni vessatorie con una frequenza giornaliera o plurisettimanale anche se per una durata inferiore ai sei mesi”.
In particolare nella definizione di disagio lavorativo “sono state considerate cinque differenti dimensioni inerenti:
- gli attacchi alla libertà di espressione e alla comunicazione;
- gli attacchi alle relazioni sociali, incluso l’isolamento sistematico;
- gli attacchi alla situazione professionale;
- gli attacchi all’immagine sociale e alla reputazione;
- gli attacchi alla salute”.
 
Il demansionamento (o la privazione totale di compiti) si verifica quando, ad esempio, “la vittima è privata all’improvviso del personale che aveva sempre gestito e di ruoli per lei importanti, come quelli di gestione o di coordinamento di attività, quando viene spostata a fare cose non di sua competenza o, addirittura, privata di qualsiasi compito svolto in precedenza”. E si caratterizza “per il fatto di determinare un effetto duraturo nel tempo”.
 
Vediamo i principali risultati ed entriamo poi nello specifico di qualche dato particolarmente rilevante.
 
Degli oltre 29 milioni di lavoratori che nel corso della loro vita lavorativa hanno avuto superiori o colleghi o persone a loro sottoposte, “il 9 per cento (2milioni 633mila) dichiara di aver sofferto, nel corso della vita, vessazioni o demansionamento o privazione dei compiti”.
In particolare “il 6,7 per cento ha sperimentato una tale situazione negli ultimi tre anni e il 4,3 per cento negli ultimi 12 mesi. A subire di più sono le donne, con il 9,9 per cento nel corso della vita”.
Invece un numero maggiore di lavoratori (7milioni 948mila) ha “vissuto situazioni di disagio caratterizzate da frequenza e durata contenuta. Preme, tuttavia, sottolineare che una parte di questi lavoratori (198mila) si possono definire “altamente a rischio”, dal momento che sono stati oggetto di comportamenti vessatori più volte al mese, ma per una durata inferiore a sei mesi”.
 
In particolare sono 2milioni 91mila “i lavoratori (7,2 per cento) che hanno dichiarato di aver subito vessazioni in ambito lavorativo nel corso della vita”.
Riguardo agli ultimi tre anni “i comportamenti persecutori e discriminatori riguardano, nel 91,0 per cento dei casi, la sfera della comunicazione, nel 63,9 per cento la qualità della situazione professionale, nel 64,1 per cento l’immagine sociale, nel 50,4 per cento le relazioni sociali e nel 3,9 per cento dei casi aggressioni vere e proprie”.
Andando più nel dettaglio le vessazioni “riguardano nel 79,9 per cento dei casi le critiche senza motivo e l’essere incolpati di qualsiasi problema o errore e nel 62,7 per cento le scenate e/o sfuriate”. Inoltre sono “tra il 34 e il 38 per cento le persone messe a lavorare in condizioni estremamente disagevoli o senza gli strumenti necessari per svolgere il proprio lavoro, calunniate, derise e oggetto di scherzi pesanti”.
Nel 30,3 per cento dei casi, invece, “è stato loro impedito di ottenere incentivi, promozioni o riconoscimenti assegnati ad altri colleghi, nel 27-29 per cento esse sono state escluse volutamente da occasioni di incontro, cene sociali, riunioni di lavoro e non viene più rivolta loro la parola. Infine, nel 20,7 per cento viene loro impedito di incontrare o parlare con i colleghi con cui si trovano bene, nel 18,1 per cento costoro sono attaccati rispetto alle loro opinioni politiche e religiose, nel 12,1 per cento subiscono controlli o sanzioni disciplinari, nel 7,9 per cento offerte di tipo sessuale e nel 3,5 per cento aggressioni”.
 
L’analisi per genere mostra poi alcune significative differenze: le “lavoratrici subiscono più di frequente, rispetto ai propri colleghi maschi, le scenate, le critiche senza motivo, vengono più spesso umiliate, non si rivolge loro la parola e ricevono più offerte o offese di tipo sessuale”.
 
Continuando con i dati si rileva che “il 3,3 per cento dei lavoratori (961mila persone) ha dichiarato di essere stata vittima di demansionamento e privazione dei compiti nel corso della vita lavorativa. In particolare, il 2,6 per cento (560mila) ha dichiarato di essere stato demansionato o privato di compiti negli ultimi tre anni e l’1,5 per cento negli ultimi 12 mesi (306mila)”. E ci sono anche lavoratori che si collocano nella situazione peggiore, vittime sia di comportamenti persecutori da parte dei loro superiori o colleghi o sottoposti, sia di demansionamento.
 
Qualche dato sulle cause di vessazioni e demansionamento indicate dai lavoratori:
- “la causa più frequentemente citata risulta il rinnovo aziendale e l’avvento di una nuova dirigenza (22,3 per cento), seguita dallo stile autoritario del capo (19,3 per cento) e dalla gelosia per il lavoro da parte dei colleghi (15,3 per cento)”;
- altri lavoratori citano “la riduzione del personale (10,7 per cento), l’alta competitività (9,2 per cento), la diversità nel modo di intendere il lavoro (7,6 per cento), la precarietà della situazione lavorativa (7,3 per cento) e il fatto di non essere allineati con la politica aziendale (7,1 per cento)”.
 
Infine le conseguenze per le vittime.
Se il 31,1 per cento dichiara di non aver avuto conseguenze, tra chi le ha avute “emergono la rabbia e il nervosismo, gli attacchi d’ ansia e la depressione, le perdite economiche e il disinvestimento sul lavoro”.
In particolare “la perdita economica individuale è elevata e viene indicata dal 27,4 per cento delle vittime”. Inoltre “più del 40 per cento non investe più sul lavoro, è demotivata, vuole andarsene”.
Riguardo agli esiti di questi disagi “solo in un quarto dei casi gli episodi si sono conclusi senza interventi particolari, mentre il 28,3 per cento dei lavoratori viene ancora vittimizzato (31,1 per cento di chi subisce vessazioni). Nel 16,1 per cento dei casi la vittima si è dimessa (21,5 per cento per i demansionati o privati dei compiti), nel 5,2 per cento è stata licenziata (7,2 per cento per i demansionati) e al 2,2 per cento delle vittime non è stato rinnovato il contratto”. E nell’8 per cento circa dei casi c’è stato “un trasferimento o una richiesta di trasferimento ad un altro ufficio”.
 
   
 
 
 


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