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Disadattamento lavorativo e mobbing: ricerche ed esperienze di lavoro

L’esperienza del Centro Stress e Disadattamento di Milano in relazione alle patologie da stress occupazionale e al mobbing. L’aumento della violenza psicologica nelle fasi di crisi e cambiamento. Strategie aziendali, mobbing e ruolo del conflitto.

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Dal 28 al 29 settembre 2009 si è svolto a Marina di Massa il convegno regionale “Rischio da stress lavoro-correlato: Il progetto dell'area vasta Toscana Nord-Ovest”, un convegno organizzato dall’Azienda USL 1 di Massa e Carrara e dall’Ufficio Formazione Permanente Area Vasta Nord Ovest.
Di questo convegno PuntoSicuro ha già presentato gli atti, ma pensiamo sia interessante per i nostri lettori tornare su alcuni degli interventi e focalizzare alcuni temi sensibili nell’ambito dei rischi psicosociali in Europa.



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Per farlo ci soffermiamo sull’intervento “L’esperienza del Centro Stress e Disadattamento di Milano: l’evoluzione dell’esperienza assistenziale in tema di patologie da disadattamento lavorativo”, a cura di Maria Grazia Cassitto (Fondazione IRCCS Policlinico Mangiagalli Regina Elena, Clinica del Lavoro “L. Devoto”).
Nel documento viene presentata la storia e l’esperienza del primo centro medico italiano per lo Stress occupazionale e il mobbing e del servizio di Day Hospital aperto presso la “Clinica del Lavoro Luigi Devoto” a Milano.
In particolare – racconta la relatrice - il lavoro relativo allo studio e alla gestione del disadattamento lavorativo stress-correlato è iniziato negli anni novanta partendo dal fenomeno del mobbing.
E riguardo a questo fenomeno si è cominciato a percepire che in molti casi dietro le “richieste di trasferimenti, limitazioni a compiti per patologie di vario genere” che, talvolta, “sembravano oggettivamente poco significative si intravvedevano, in realtà, disfunzionalità organizzative quando non vessazioni e violenza morale”.
Rispetto ad altri paesi, in particolare al Nord Europa, la consapevolezza relativa ai fenomeni di mobbing è arrivata da noi più tardi, forse per la “struttura del mondo del lavoro del nostro paese fatta per oltre il 90% di realtà medio-piccole o di grandi strutture pubbliche” e queste problematiche non riconosciute hanno consentito “il protrarsi nel tempo di rapporti interpersonali disfunzionali ma generalmente accettati come facenti parte delle realtà occupazionali”.
Riguardo a ciò la relatrice ricorda che negli ambienti di lavoro “la violenza psicologica è sempre esistita”, spesso ignorata, male interpretata o “permessa come strategia deliberata individuale o aziendale”. Inoltre “i comportamenti violenti fisici o psicologici aumentano nei periodi di cambiamento, incertezza, agitazioni socioeconomiche, rapide trasformazioni sociali”.
In queste fasi “i soggetti sono spaventati e diventano più intolleranti e rigidi e pronti a considerare gli altri come potenziali nemici”: sia il recente passato che e l’attuale periodo che stiamo vivendo hanno appunto queste caratteristiche.

Su questa base “si spiega la comparsa del secondo aspetto della violenza morale, che è tipica del nostro paese, ossia quella forma di violenza morale che ha come scopo l’allontanamento di un/a dipendente per risolvere il problema degli esuberi o presunti tali”: a partire dalla fine degli anni novanta si moltiplicano infatti i casi in cui “questa strategia viene freddamente e consapevolmente applicata nelle realtà industriali medio-grandi”.

Studiando il fenomeno del mobbing è da rilevare l’importanza determinante che assume il ruolo dell’organizzazione. Organizzazione che può avere:
- “un ruolo attivo nel facilitare, mantenere o utilizzare le situazioni di stress negativo e le sue conseguenze;
- un ruolo passivo nel mancato intervento per rimuovere le cause delle disfunzionalità e dei conflitti a loro volta alla base di rapporti interpersonali sbilanciati e patogeni”.
Dieci anni di esperienza di questo centro per lo stress e il disadattamento hanno confermato che:
- “il mobbing e’ un fenomeno complesso multicausale derivante dall’interazione di differenti fattori” (individuali, interpersonali, di rapporti di gruppo, organizzativi, …);
- “sono rare le situazioni in cui non si ritrovi l’azione contemporanea e determinante di tutti questi fattori”.

La relatrice afferma anche che c’è la diffusa convinzione che base dei fenomeni di mobbing ci sia sempre una situazione di conflitto, ma “questa affermazione è solo parzialmente vera” e comunque:
- “non è un conflitto ad armi pari;
- solo una delle due parti ha in mano tutti gli elementi che concorrono a determinare la situazione e quindi li può utilizzare per perseguire i suoi obiettivi o quelli dell’organizzazione;
- la vittima ha solo una visione parziale e contingente delle situazioni e reagisce contestualmente e quindi quasi sempre in maniera disfunzionale”.

Inoltre, sempre secondo l’esperienza del Centro, si dimostra che non è il conflitto a creare le premesse di un’azione di mobbing, “ma gli obiettivi palesi o sotterranei di chi dà inizio allo scontro”: infatti “nelle situazioni di pura strategia aziendale” non c’è necessariamente un conflitto, né la vittima ha fatto qualcosa per provocare ostilità. Spesso “solo molto tempo dopo emergono i veri motivi della manifesta volontà di espellere un soggetto dalla sua realtà lavorativa”.
E la violenza psicologica generalmente si manifesta attraverso “una serie di azioni quasi sempre trascurabili se singolarmente considerate”: è la loro “ripetitività, persistenza, multiformità, frequenza, durata nel tempo”, la difficoltà o impossibilità di fronteggiarle che le rende distruttive.
In questo senso la personalità di chi attua il mobbing e di chi lo subisce svolge “un ruolo significativo ma non determinante”: chiunque può diventare un mobbizzatore o una vittima. In particolare secondo alcune ricerche su un gruppo di vittime di mobbing è risultato che nel 74,8% dei casi questi lavoratori avevano una “personalità complessivamente equilibrata”.
Riguardo poi ai contesti occupazionali il documento continua ricordando che “il mobbing può far parte di uno stile manageriale per raggiungere obiettivi individuali o può essere legittimato da una cultura competitiva che consente comportamenti sleali”.

Spesso in relazione al mobbing si parla di fasi di sviluppo di questo fenomeno, ma la relatrice indica che:
- “l’insorgenza e lo sviluppo del mobbing raramente seguono uno schema prefissato”;
- che i diversi momenti di questo fenomeno sono dipendenti da molti fattori: dalle caratteristiche dell’organizzazione, dallo stile manageriale di chi fa mobbing, da acquiescenza/convenienza/connivenza di management e colleghi. Ma anche da responsabilità, ruolo, età,  resistenza, competenze, risorse della vittima.
In particolare i soggetti che non hanno o hanno poche risorse personali mostrano:
- “un rapido esaurimento delle risorse anche in altre aree esistenziali;
- un più grave insieme sintomatologico”.
E comunque i problemi mobbing correlati insorgono prima nei soggetti con risorse sociali assenti rispetto ai soggetti che le posseggono, anche se in modo limitato.

Per finire quali cambiamenti sono stati riscontrati dal Centro Stress e Disadattamento di Milano nel fenomeno del mobbing dal 1996 ad oggi?
Intanto se “nei primi anni erano prevalenti quadri e manager di livello elevato con età medio-alte”, ora le tipologie dei lavoratori sono “maggiormente differenziate”.
Inoltre – continua la relatrice – si è osservata “una riduzione del cosiddetto mobbing strategico”, un “aumento del mobbing emozionale” e “dei casi in cui vengono descritti ambienti di lavoro complessivamente insicuri”.


Convegno regionale “Rischio da stress lavoro-correlato: Il progetto dell'area vasta Toscana Nord-Ovest”: “L’esperienza del Centro Stress e Disadattamento di Milano: l’evoluzione dell’esperienza assistenziale in tema di patologie da disadattamento lavorativo”, Dott.ssa Maria Grazia Cassitto (Fondazione IRCCS Policlinico Mangiagalli Regina Elena, Clinica del Lavoro “L. Devoto”) (formato PDF, 79 kB).


Tiziano Menduto
 



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