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Il modello 231 in caso di reati commessi da soggetti subordinati

Il modello 231 in caso di reati commessi da soggetti subordinati
Anna Guardavilla

Autore: Anna Guardavilla

Categoria: Sentenze commentate

28/02/2019

Gli “obblighi di direzione e vigilanza”, il “mirato” potere di controllo, la colpa organizzativa e la prova liberatoria nell’ipotesi di reati commessi da soggetti sottoposti all’altrui direzione: una recente sentenza della Cassazione Penale.


Come noto, il D.Lgs. 231/01 agli articoli 6 e 7 distingue tra  reati commessi da soggetti in posizione apicale e reati commessi da soggetti “sottoposti all’altrui direzione”.

 

Una recente sentenza (Cassazione Penale, Sez.VI, 6 dicembre 2018 n. 54640) si è occupata specificatamente di quest’ultimo caso, applicando il D.Lgs.231/01 ad una persona giuridica a seguito di reato (nella fattispecie doloso, di natura finanziaria) commesso da un soggetto subordinato.

 

Prima di analizzare tale pronunciamento, ricordiamo sotto il profilo normativo che, nell’ipotesi di  reato commesso da un soggetto sottoposto all’altrui direzione, ai sensi dell’art.7 del D.Lgs.231/01 “l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.”

 

La norma precisa poi che “in ogni caso, è esclusa l’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l’ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.”

 

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In particolare, “il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell’organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.”

 

L’art. 7 specifica infine che “l’efficace attuazione del modello richiede:

a. una verifica periodica e l’eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell’organizzazione o nell’attività;

b. un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.”

 

Ciò ricordato, Cassazione Penale, Sez.VI, 6 dicembre 2018 n. 54640 si è pronunciata “sull’attribuzione al[l’imputato, n.d.r.] della qualità di soggetto sottoposto all’altrui direzione e vigilanza e dunque sul modello delineato dagli artt.5, comma 1, lett. b), e 7, comma 1, d.lgs.231 del 2001.”

 

La Corte osserva anzitutto che “la responsabilità degli enti è configurata come derivante da fatto proprio degli stessi, dipendente da uno dei reati specificamente previsti nel catalogo normativo (Cass. Sez. U. n. 38343 del 24/4/2014, Espenhah, rv. 261112; Cass. Sez. 6, n. 27735 del 18/2/2010, Scarafia, rv. 247666).”

 

Come già ricordato in precedenza dalla medesima Corte (si veda per tutte Cassazione Penale 22 settembre 2011 n. 34476), infatti, i reati c.d. “presupposto” ai fini dell’applicazione del regime contenuto nel D.Lgs.231/01 sono “ipotesi tassativamente previste dal legislatore” nell’ambito di un “quadro contrassegnato dal principio di legalità”, per cui non è possibile applicare tale regime giuridico che interessa le società al di fuori del novero delle fattispecie elencate da tale decreto.

Di conseguenza “qualora il reato commesso nell’interesse o a vantaggio di un ente non rientri tra quelli che fondano la responsabilità ex D.Lgs.n.231 del 2001 di quest’ultimo, ma la relativa fattispecie ne contenga o ne assorba altra che invece è inserita nei cataloghi dei reati presupposto della stessa, non è possibile procedere alla scomposizione del reato complesso o di quello assorbente al fine di configurare la responsabilità della persona giuridica”.

 

Ciò premesso, la recente Cassazione Penale, Sez.VI, 6 dicembre 2018 n.54640 sottolinea che “in particolare danno luogo a responsabilità dell’ente ai sensi dell’art.5 d.lgs.231 del 2001 i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, da chi riveste posizione apicale di rappresentanza, amministrazione o direzione, anche di unità organizzativa dotata di autonomia, o da persone sottoposte alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti apicali.”

 

E, distinguendo tra i reati commessi dai soggetti apicali e i reati commessi dai soggetti subordinati, sottolinea che “la responsabilità si fonda su una colpa di organizzazione, in senso normativo, correlata ai reati specificamente previsti (Cass. Sez. U. n.38343 del 24/4/2014, Espenhahn, rv. 261113): con riguardo a reati commessi da chi riveste posizione apicale la stessa trova espressione nell’art.6, alla cui stregua l’ente, altrimenti responsabile, può opporre, secondo la scelta del legislatore delegato, la prova della preventiva adozione e attuazione di idonei modelli organizzativi, volti a prevenire reati della specie di quello verificatosi, dell’affidamento del compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli a organismo dell’ente dotato di autonomi poteri, della fraudolenta elusione dei modelli, della non ravvisabilità di un’omessa o insufficiente vigilanza; con riguardo invece a reati commessi da soggetti non apicali, la colpa, avente comunque il significato di rinviare ad un sistema complessivo di regole, è espressa dall’art. 7, in forza del quale l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza, inosservanza che è comunque da escludere in caso di preventiva adozione e attuazione di idonei modelli organizzativi.”

 

Le azioni di direzione e vigilanza - precisa la Cassazione - devono “specificamente orientarsi verso la prevenzione delle condotte illecite incluse nel catalogo normativo, tanto più con riguardo a quelle inerenti ai rischi propri del tipo di impresa.”

 

Quest’ultimo riferimento ai rischi propri del tipo di impresa richiama alla mente le parole del Tribunale di Novara che, in una delle prime sentenze che hanno applicato il D.Lgs.231/01 ai reati di salute e sicurezza sul lavoro (Trib. Novara del 26 ottobre 2010), ricordava a suo tempo che “l’obbligo di fattibilità dei modelli va correlato ai rischi specifici di commissione degli illeciti, avuto riguardo alle dimensioni, all’organizzazione, alla natura dell’attività svolta e alla stessa “storia” operativa dell’ente, di guisa che più elevato è il pericolo nel caso concreto, più urgente e prioritario è l’obbligo di adozione dello strumento organizzativo.”

 

Tornando alla sentenza in commento di Cassazione Penale, la colpa organizzativa dell’ente che può essere rintracciata nel caso di un reato commesso da un soggetto subordinato viene ancor meglio spiegata nei passaggi che seguono.

 

Con riferimento all’art.7 del decreto 231 su citato - puntualizza la Corte - “nel caso di soggetto non apicale, la circostanza che l’adozione del modello organizzativo valga ad escludere ai sensi dell’art.7 la responsabilità dell’ente implica che in tale ipotesi il legislatore abbia ritenuto non addebitabile all’ente un profilo di colpa di organizzazione, tale da rendere ravvisabile un’effettiva immedesimazione della responsabilità, dovendosi quindi considerare il reato come estraneo alla sfera di operatività e concreta interferenza dell’ente.

In assenza di un modello organizzativo idoneo, la colpa di organizzazione risulta comunque sottesa ad un deficit di direzione o vigilanza - incentrata su un sistema di regole cautelari -, che abbia in concreto propiziato il reato.”

 

Dunque la colpa organizzativa dell’ente nel caso di un reato commesso da un soggetto sottoposto all’altrui direzione è rappresentata da “un deficit di direzione e vigilanza” che sia “incentrata su un sistema di regole cautelari”.

 

E dalla sentenza si deduce che, con riferimento alla dimostrazione dell’adozione e attuazione di tale sistema di regole cautelari, non vi sono “scorciatoie”; ad esempio nel caso di specie “non assume alcun concreto rilievo la circostanza che di seguito [l’imputato] fosse stato sottoposto a sanzione disciplinare, circostanza che non implica il previo esercizio di un’effettiva azione di direzione e controllo sulla base della definizione di nitide regole cautelari.”

 

Secondo la Corte, infatti, affinché la persona giuridica possa fornire la prova che la liberi dalla responsabilità prevista dal D.Lgs.231/01, occorre che “l’assetto organizzativo risulti comunque in grado di assicurare un’azione preventiva, con la conseguenza che solo il concreto ed effettivo esercizio di un mirato potere di direzione e controllo può valere a scongiurare la responsabilità, in questo senso dovendosi intendere il riferimento contenuto nell’art.7 all’inosservanza dei doveri di direzione e vigilanza, connaturati all’esigenza preventiva di cui si è detto.”

 

Dunque “in tale prospettiva, nel caso di mancata adozione di modelli organizzativi, i presupposti della responsabilità dell’ente, a seconda che si tratti o meno di soggetto apicale, differiscono solo alla condizione che sia concretamente attestato un assetto, ispirato da regole cautelari, destinato comunque ad assicurare quell’azione preventiva, in tal caso essendo necessario provare che il fatto sia stato propiziato dall’inosservanza nel caso concreto della necessaria azione di direzione o vigilanza.”

 

 

Anna Guardavilla

Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro

 

 

Corte di Cassazione Penale, Sez. 6 – Sentenza n. 54640 del 06 dicembre 2018 - Responsabilità amministrativa dell'ente per i reati commessi nel suo interesse o vantaggio da chi riveste una posizione apicale o da persone sottoposte alla vigilanza dei vertici


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