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Quando del DVR è responsabile il direttore di struttura e non il CdA

Con la recente Cassazione Penale, Sez.III, 16 giugno 2025 n.22584, la Corte ha rigettato il ricorso del Pubblico Ministero avverso l’assoluzione - da parte del Tribunale di Savona - di un Presidente del Consiglio di Amministrazione (A.) al quale era stato imputato di “non aver effettuato, pur ricoprendo la qualifica di datore di lavoro, come definito dall’articolo 2, comma 1, lett.b), la valutazione dei rischi professionali e la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi riguardanti le unità locali della Divisione Ipermercati e della Divisione Supermercati della C. Liguria Società Cooperativa di Consumo, impropriamente fatta da soggetti aziendali diversi dal datore di lavoro ex lege”.
La Suprema Corte ha dato così ragione al Tribunale di Savona, il quale era pervenuto a tale assoluzione “escludendo l’individuazione del A. [Presidente del CdA, n.d.r.] quale datore di lavoro in senso prevenzionistico, che ha riconosciuto, invece, in capo ai due distinti soggetti (B. e C.) preposti al vertice delle due distinte unità produttive (Divisione Ipermercati e Divisione Supermercati), muniti dei relativi autonomi poteri decisionali e di spesa, in forza di procura speciale rilasciata a costoro dal A., quale presidente del Consiglio di amministrazione e, dunque, datore di lavoro di vertice.”
Occorre a questo punto ricordare che, affinché il direttore di una struttura possa essere considerato datore di lavoro nell’unità produttiva, devono sussistere essenzialmente due elementi: 1) la detenzione e l’esercizio di poteri decisionali e di spesa di entità realmente “datoriale” da parte di tale soggetto; 2) la reale ed effettiva autonomia finanziaria e tecnico-funzionale dello stabilimento o della struttura.
Vediamo dunque, nel caso di specie, da quali circostanze concrete è stata dedotta la sussistenza di tali requisiti.
Anzitutto, “in base alle risultanze delle prove documentali e testimoniali, il Tribunale ha ritenuto accertato che la struttura organizzativa della C. Liguria era ripartita in due divisioni distinte sui piani contabile, amministrativo, gestionale rispettivamente Area Ipermercati e Area Supermercati”.
I Giudici hanno inoltre accertato “che l’organo amministrativo della società era il consiglio di amministrazione, di cui l’imputato A. era presidente dal 2020 e legale rappresentante della società; che, con delibera del 22 novembre 2021, il consiglio di amministrazione aveva delegato al presidente alcune proprie attribuzioni, avvalendosi dello strumento della delega gestoria di cui all’articolo 2381 comma 2, cod. civ. escludendo, tuttavia, ogni aspetto relativo alla materia della prevenzione degli infortuni sul lavoro nonché alla tutela della sicurezza e alla salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro nei cantieri.”
Prima di proseguire, occorre qui ricordare, affinché non vi siano fraintendimenti, che la delega gestoria - che può essere conferita dal Consiglio di Amministrazione ad uno o più consiglieri ai sensi dell’art.2381 del codice civile - non va assolutamente confusa con la delega di funzioni prevenzionistiche prevista dall’art.16 del D.Lgs.81/08 laddove, come di recente ricordato dalla Cassazione, “nel caso della delega di funzioni viene in rilievo la traslazione di alcuni poteri e doveri di natura prevenzionistica; nel caso della delega gestoria vengono invece in rilievo criteri di ripartizione dei ruoli e delle responsabilità tra gli amministratori in ambito societario caratterizzato da strutture più o meno articolate”.
In tal senso, la delega gestoria “attiene alla ripartizione delle attribuzioni e delle responsabilità nelle organizzazioni complesse […] tramite valorizzazione delle competenze e delle professionalità esistenti all’interno dell’organo collegiale.”
Tornando alla pronuncia in commento, dunque, l’imputato A., quale Presidente del Consiglio di Amministrazione, da un lato aveva ricevuto da parte di tale organo collegiale una delega gestoria che non contemplava in alcuna maniera la materia della salute e sicurezza sul lavoro e, dall’altro, aveva conferito due procure speciali rispettivamente a B. e C., i quali erano a capo di due divisioni dell’organizzazione (le quali, come vedremo, sono state qualificate dalla Corte “unità produttive” ai sensi dell’art.2 c.1 lett.t) del D.Lgs.81/08).
Pertanto il Tribunale (e, successivamente, la Suprema Corte), “sulla scorta di tali dati di fatto e segnatamente del contenuto delle due procure speciali conferite dal datore di lavoro di vertice, ha ritenuto la natura giuridica di atti organizzativi privati con funzione meramente ricognitiva dell’investitura ex lege ai sensi dell’art.2 comma uno lett.b) di due datori di lavoro decentrati (B. e C.) i quali rivestivano la posizione di garanti originari in relazione alle singole unità produttive di competenza.”
Nel caso di specie, l’espressione “garanti originari” o, per meglio dire, “garanti a titolo originario”, significa che questi due soggetti ricoprivano la posizione di garanzia di datori di lavoro nelle rispettive unità produttive non in virtù di una delega di funzioni prevenzionistiche (cosa peraltro impossibile dal momento che la delega non può mai creare una datorialità) bensì attraverso un mero atto ricognitivo della loro datorialità generata - a monte - dalla detenzione e dall’esercizio di poteri decisionali e di spesa ai sensi dell’art.2 c.1 lett.b) del D.Lgs.81/08 (si veda, su questo, il precedente contributo “Il datore di lavoro nell’unità produttiva non è un soggetto delegato”, pubblicato su Puntosicuro del 14 aprile 2025 n.5830).
Sulla base di tali circostanze, il Tribunale “escludeva, di conseguenza, la riconducibilità di dette procure all’istituto della delega gestoria, tenuto conto dell’estraneità dei soggetti dall’organo amministrativo”.
Allo stesso tempo, “considerata l’assenza di una norma giuridica ostativa l’individuazione del datore di lavoro prevenzionistico in seno a soggetti esterni alla compagine societaria e tenuto conto della concezione datoriale anche sostanziale mutuata dal testo unico”, la sentenza di primo grado “riteneva in capo ai predetti B. e C. la qualifica di datore di lavoro decentrato ex lege delle rispettive unità produttive e dunque riteneva, ex lege, costoro tenuti alla designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezioni e alla redazione dei documenti di valutazione dei rischi afferenti alle singole unità organizzative di cui erano responsabili, cosa che era avvenuta in ottemperanza e non già in violazione dell’articolo 17 del testo unico.”
Va detto, infatti, che i due datori di lavoro delle unità produttive avevano provveduto ad elaborare la valutazione dei rischi e a nominare l’RSPP.
Il Pubblico Ministero, come si aveva già avuto modo di anticipare, aveva presentato ricorso avverso tale pronuncia di assoluzione, sostenendo che vi fosse stata da parte del Tribunale una “errata identificazione del datore di lavoro prevenzionistico a titolo originario sul quale ricade l’obbligo intrasferibile dell’effettuazione della valutazione dei rischi e della conseguente elaborazione del relativo documento di valutazione dei rischi previsto dall’articolo 28 stesso decreto, nonché della designazione del responsabile del servizio prevenzione e protezione dei rischi professionali, attribuzione non conforme alla legge, della qualifica di unità produttiva a due macro settori organizzativi in cui è stata strutturata l’impresa”.
Inoltre, a parere del ricorrente, “il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto la distinzione all’interno dell’organizzazione aziendale dei settori Ipermercati e Supermercati come distinte unità produttive, ai sensi dell’art.2 comma 1, lett.t) del decreto legislativo 81 del 2008, che definisce l’unità produttiva come lo stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di servizi dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale”, in quanto “le due divisioni in cui è strutturata l’azienda non sarebbero per nulla rispondenti alla nozione di unità produttiva datane dall’articolo citato”.
Come già precisato, la Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso del Pubblico Ministero, confermando l’assoluzione dell’imputato A.
Secondo la Suprema Corte, infatti, “occorre in primo luogo sgombrare il campo da un possibile equivoco”, legato al fatto che “qui non viene in rilievo il tema dell’individuazione della figura di datore di lavoro nelle strutture complesse, che spetta a tutti i componenti del consiglio di amministrazione su cui gravano indistintamente gli obblighi in materia di prevenzione in materia antinfortunistica, e i rapporti tra delega gestoria ex art.2381 cod. civ. e delega di funzioni, ma il diverso tema dell’individuazione del datore di lavoro ex lege, o a titolo originario, tenuto alla redazione del DVR e all’individuazione del responsabile della sicurezza [RSPP, n.d.r.] che ai sensi dell’art.17 del Testo unico non possono essere oggetto di delega di funzioni ai sensi dell’art.16, a soggetti che vengono a rivestire una posizione di garanzia a titolo derivato.”
Una volta premesso che il datore di lavoro è il “soggetto che ha la responsabilità dell’organizzazione dell’azienda o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”, la Corte analizza la relativa “definizione contenuta nell’art.2 comma 1 lett.b) del D.Lgs.n.81 del 2008”, che “riprende il D.Lgs.n.626 del 1994 […] che considerava datore di lavoro “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore” o comunque “il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva, quale definita dalla lett.i) [ora lett.t) dell’art.2 c.1 del D.Lgs.81/08, n.d.r.] in quanto titolare dei poteri decisionali di spesa”.”
Anche in questa pronuncia in commento, così come in molte altre precedenti su questo tema, la Corte sottolinea che “con l’avverbio “comunque” il legislatore ha inteso dare netta preminenza al criterio sostanziale che deve essere in ogni caso rispettato e che prevale quando vi è discordanza tra la situazione formale e quella reale”, con la conseguenza che “nelle aziende di grandi dimensioni è frequente il caso in cui il soggetto dotato della legale rappresentanza non coincide con quello in grado di esercitare l’effettivo potere di organizzazione dell’azienda e del lavoro dei dipendenti ed è a quest’ultimo che dovranno attribuirsi le connesse responsabilità prevenzionali.”
La Cassazione richiama così una massima giurisprudenziale consolidata secondo cui, “a partire da Cass., Sez.4, n.49819 del 5.12.2003, il dato normativo consente di distinguere undatore di lavoro in senso giuslavoristico da uno o più datori di lavoro (sussistendo distinte unità produttive) in senso prevenzionale”, laddove “la responsabilità del soggetto preposto alla direzione dell’unità produttiva è condizionata alla congruità dei suoi poteri decisionali e di spesa rispetto alle concrete esigenze prevenzionali.”
In tale logica, il “ datore di lavoro in senso prevenzionale” (quale datore di lavoro nell’unità produttiva) “sarà qualificabile come datore di lavoro ai fini della sicurezza solo se gli saranno attribuiti poteri e disponibilità finanziarie adeguate ad effettuare gli adempimenti prescritti dalla legge e solo entro quei limiti, mentre, per tutti gli altri adempimenti per i quali non dispone dei mezzi e dei poteri per realizzarli, le eventuali violazioni (e relative conseguenze) non saranno a lui ascrivibili.” (Cassazione Penale, Sez.IV, 5 dicembre 2003 n.49819.)
E’ di grande interesse, poi, il passaggio della sentenza in commento in cui la Cassazione cita un importante precedente giurisprudenziale ( Cassazione Penale, Sez.IV, 8 gennaio 2021 n.32899), con il quale - pochi anni fa - la Corte aveva evidenziato che “la costituzione di un datore di lavoro all’interno di una più ampia organizzazione per effetto dell’articolazione di questa in più unità produttive presuppone che sia individuabile ed individuata siffatta unità per le cui necessità di funzionamento il soggetto chiamato a gestirla viene dotato di tutti i poteri decisionali e di spesa necessari.”
In tale ottica, “si stabilisce, così, una relazione biunivoca tra tale soggetto e l’unità organizzativa, tale per cui egli diviene in essa - e solo nell’ambito di essa - datore di lavoro.”
Va da sé che, “in realtà organizzative che presentano simili connotazioni si determina la contestuale presenza di un datore di lavoro al vertice dell’intera organizzazione - che pertanto potrebbe dirsi “apicale” - e di uno o più datori di lavoro che potrebbero definirsi “sottordinati”.”
La Corte ritiene legittimo utilizzare l’espressione “sottordinati” dal momento che, per tali datori di lavoro delle unità produttive, “il ruolo datoriale non elide il vincolo gerarchico verso il datore di lavoro “apicale”; la particolarità è che tale vincolo si esprime con modalità che non intaccano i poteri di decisione e di spesa richiesti dalla autonoma gestione dell’unità produttiva.”
Viceversa, la Cassazione precisa che, “quando invece tali vincoli si riflettono anche su tale gestione, è da escludersi che ricorra un datore di lavoro sottordinato, profilandosi piuttosto un dirigente (per una applicazione di tali assunti si veda Sez.4, n.18200 del 07/01/2016, Grosso e altro, Rv.26664001, in motivazione).”
A partire da tali presupposti, “il datore di lavoro sottordinato è quindi destinatario di tutte le prescrizioni che si indirizzano alla figura datoriale; ma entro e in funzione della gestione della sicurezza nell’ambito dell’unità organizzativa affidatagli.”
Pertanto, “esemplificando, egli sarà tenuto ad eseguire la valutazione di tutti i rischi connessi alle attività lavorative svolte nell’unità; a redigere il documento di valutazione dei rischi; a nominare il medico competente ed il responsabile del servizio di prevenzione e di protezione” (laddove si tenga presente, in ogni caso, che la nomina del medico competente è delegabile in quanto contenuta nell’art.18 del D.Lgs.81/08).
Con riferimento all’attribuibilità degli obblighi indelegabili al datore di lavoro dell’unità produttiva, la sentenza chiarisce che “quella stretta connessione che lo stesso disposto normativo pone fa sì che la valutazione dei rischi non possa attenere a rischi che risultano affidati a diversi datori di lavoro (per esempio quelli ai quali è stata affidata altra unità produttiva fornita di analoga autonomia; ma anche quello che resta vertice dell’organizzazione entro la quale sono individuate le diverse unità produttive autonome)”.
In conclusione, applicando tali principi al caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che “il Tribunale, sulla scorta dell’accertamento di fatto non qui rivisitabile, ha correttamente ritenuto […] la qualifica di datore di lavoro ex lege in senso prevenzionistico per le singole unità produttive, in capo ai soggetti dirigenti preposti alla direzione delle stesse qualificate, ai sensi della lett.t) dell’art.2 cit., quali autonome unità produttive in presenza dei requisiti normativi di autonomia gestoria, finanziaria”.
Inoltre, “il Tribunale ha poi rilevato che i dirigenti preposti alle due unità produttive avevano, in adempimento alla legge, predisposto sia il DVR che individuato il responsabile della sicurezza [RSPP, n.d.r.], proprio in adempimento ai compiti che competono al datore di lavoro a titolo originario.”
Per questi motivi, la Corte ha confermato la validità della sentenza di merito che “ha escluso la responsabilità penale in capo al A.”.
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro

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Pubblica un commento
Rispondi Autore: Wilson ![]() | 03/07/2025 (10:43:01) |
Certo che la Cassazione che parla di "responsabile della sicurezza" per riferirsi all'RSPP fa cascare le braccia. Ma non c'è un modo per costringere i giudici (almeno quelli della Cassazione) ad utilizzare un linguaggio rigoroso nelle sentenze? |