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Il DVR e i rischi “riconoscibili” al tempo in cui è stato elaborato

Il DVR e i rischi “riconoscibili” al tempo in cui è stato elaborato
Anna Guardavilla

Autore: Anna Guardavilla

Categoria: Sentenze commentate

06/12/2023

Come devono essere accertati i rischi conoscibili al momento della valutazione dei rischi alla luce del sapere tecnico-scientifico ed esperienziale, al fine di evitare giudizi ex post che non ne tengano conto o sottovalutazioni nei DVR.

 

Con una sentenza dell’anno scorso ( Cassazione Penale, Sez.IV, 15 luglio 2022 n.27583), la Suprema Corte ha ribadito un principio di grande rilevanza, in virtù del quale, “pur essendo colui che ha - o deve avere - la conoscenza dell’intera organizzazione per la produzione perché ne è l’autore ed il dominus, il singolo datore di lavoro rimane un utilizzatore e non un creatore di sapere cautelare.”

 

In conseguenza di ciò, “i rischi implicati dalle attività la cui individuazione si deve pretendere dal datore di lavoro sono quelli riconoscibili in forza delle conoscenze poste a disposizione dalla scienza e dalla tecnica o da consolidate conoscenze esperienziali (e non da prassi non collimanti con tale patrimonio di conoscenze: cfr. Sez.4, Sentenza n.32899 del 08/01/2021, Rv.281997).”

 

Secondo la Cassazione tale principio, lungi dall’essere rilevante solo sul piano teorico, “ha ben definite implicazioni sul piano probatorio, giacché l’adempimento dell’obbligo di valutazione dei rischi ha quale termine di raffronto i rischi che al tempo erano riconoscibili.”

 

E dunque, “se talvolta il raffronto non è operazione complessa o non è oggetto di contestazione nel processo, quando ciò non sia l’accertamento processuale deve necessariamente estendersi all’acquisizione di prove in merito allo stato della scienza, della tecnica e della esperienza al tempo della valutazione dei rischi (e, in virtù del dovere di aggiornamento, sino al tempo dell’evento), per identificare quali rischi fossero riconoscibili nel caso concreto (e quali misure fossero individuabili come atte a fronteggiarli).”

 

Viceversa, a parere della Suprema Corte, “in assenza di un simile approfondimento probatorio è particolarmente elevato il rischio che il giudice elabori la regola cautelare traendola dalla dinamica causale in concreto verificatasi. Formandosi, in tal modo, un convincimento viziato perché fondato sul confondimento tra la regola atta ad evitare l’evento, identificabile dal tipico punto di vista causale, ovvero ex post, con quella doverosa, che va individuata ponendosi nella condizione ex ante.”


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Andando a ritroso di un altro anno nel panorama giurisprudenziale, due anni fa, con la sentenza con cui si è pronunciata sul caso relativo all’incidente di Viareggio ( Cassazione Penale, Sez.IV, 6 settembre 2021 n.32899), la Suprema Corte ha chiarito che “chi è titolare di una posizione di garanzia non assume un obbligo di risultato ma di mezzi: per quanto estesi i suoi poteri e quindi il suo dovere, essi sono ‘finiti’ e ciò implica la possibilità che l’evento si sia verificato nonostante l’esercizio del potere secondo le modalità prescritte dal sapere cautelare del tempo.

 

Dunque, “detto altrimenti, la posizione di garanzia non è concetto da solo sufficiente a definire quale comportamento si sarebbe dovuto porre in essere; l’indagine va estesa alle pertinenti regole comportamentali, che si impongono nel caso concreto per la loro riconosciuta efficacia cautelare.”

 

Dall’altra parte, però, nella medesima pronuncia la Cassazione ha precisato anche che “la regola cautelare positiva può non esaurire il novero delle cautele doverose, se il patrimonio scientifico ed esperienziale ha sedimentato pertinenti regole cautelari non ancora positivizzate”.

 

In sostanza, “la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso (Sez.4, n.5404 del 08/01/2015, P.C. in proc. Corso e altri, Rv.262033; conforme Sez.4, n.24462 del 06/05/2015, Ruocco, Rv.264128).”

 

Vediamo ora in concreto come si applicano questi principi a fronte di una situazione specifica e, soprattutto, fino a che punto si spinge l’obbligo di valutazione dei rischi in relazione al “sapere cautelare”.

 

Una sentenza di quattro anni fa ( Cassazione Penale, Sez.IV, 19 giugno 2019 n.27186) traccia in maniera molto chiara tale perimetro.

 

Con questa pronuncia la Suprema Corte ha confermato la condanna di G.D. (quale datore di lavoro) e di B.DV. (nella sua qualità di RSPP) in cooperazione colposa fra di loro, “per avere cagionato a P.DN., operaio addetto alla produzione con macchine di stampaggio ad iniezione, lesioni personali gravi”.

 

In particolare, agli imputati è stato contestato di avere “omesso di valutare il rischio cui erano esposti i lavoratori durante le operazioni di rimozione del materiale plastico dall’estrusore di una pressa ad iniezione”, e conseguentemente, di “non avere indicato nel documento di valutazione dei rischi le misure di prevenzione e protezione da attuare ovvero una procedura delle misure da realizzare per l’operazione.”

 

E’ importante approfondire la dinamica dell’evento per poter comprendere appieno i principi espressi nel prosieguo della sentenza.

 

Più nello specifico, infatti, era accaduto che “l’operaio P.DN., con mansioni di addetto allo stampaggio a mezzo di macchina ad iniezione Sandretto S9/500, mentre, intorno alle ore una di notte, si accingeva a rimuovere, mediante mazzetta e scalpello, un grumo di materiale plastico formatosi nell’estrusore, veniva investito da un getto di materiale plastico ad elevata temperatura, causato dalla pressione prodottasi per il riscaldamento del materiale residuato nell’apparecchiatura, rimasta inutilizzata dalle ore sedici del giorno precedente.”

 

Il rimprovero che è stato mosso ad entrambi i ricorrenti è quello di non aver valutato il rischio di esplosione “verificatosi per la mancata adozione di un procedimento da seguire nelle ipotesi di necessaria pulitura del macchinario per la formazione di un grumo di materiale al suo interno, nonché per la mancata previsione della ostruzione concomitante di entrambi gli ugelli, evento da considerarsi infrequente ma non straordinario od eccezionale, e quindi non tale da inserirsi come causa autonoma ed interruttiva della sequenza causale fra condotta ed evento”.

 

Inoltre, sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano considerato fattore non idoneo ad escludere la responsabilità degli imputati “l’errata scelta del capo reparto di tenere spento il macchinario per un tempo rilevante (dalle sedici all’una di notte), così favorendo la creazione delle condizioni dell’esplosione, trattandosi, anche in questo caso, di condotta non estranea alla mansioni svolte”.

 

Con i loro ricorsi, gli imputati lamentano essenzialmente il fatto che la Corte d’Appello avrebbe “formulato un giudizio ex post, anziché ex ante sulla prevedibilità e, quindi sull’evitabilità dell’evento.”

 

Secondo loro, “al tipo di anomalia verificatasi, infatti, dovrebbe riconoscersi il carattere dell’eccezionalità, posto che la contemporanea occlusione di ugello e del foro di ingresso del materiale, non solo non si era mai avverata in azienda nel corso dei vent’anni di utilizzazione del macchinario, nonostante il quotidiano svolgimento delle operazioni di pulizia dell’estrusore, ma era stata osservata dal consulente F., esperto in materia, solo in altre due occasioni, in trent’anni di attività.”

 

In base al ragionamento dei ricorrenti, dunque, “la straordinarietà dell’evento prodottosi, proprio in quanto imprevedibile, non consentirebbe di rimproverare al titolare delle posizioni di garanzia alcuna omissione, posto che la non conoscibilità del rischio, comporta la sua conseguente non prevenibilità.”

 

La Corte d’Appello ha ritenuto invece che lo scoppio, “in quanto evenienza ‘possibile’ fosse comunque prevedibile e quindi evitabile.”

 

La Cassazione ha dato ragione alla Corte d’Appello e rigettato il ricorso degli imputati, sancendo il principio secondo cui  “l’adempimento degli obblighi prevenzionistici in materia di sicurezza sul lavoro, avendo ad oggetto la tutela della salute dei lavoratori, impone al datore di lavoro l’adozione del massimo grado di diligenza e di perizia, così da annoverare “fra gli eventi prevedibili anche quelli meramente possibili”, come quello verificatosi, il cui prodursi poteva essere evitato con adeguata procedimentalizzazione delle modalità operative.”

 

Nel caso specifico, poi, “proprio il dato empirico dell’essersi l’anomalia già presentata, benché in sole due occasioni nei precedenti trent’anni, rende l’evento prevedibile come evento ‘possibile’.”

 

La Cassazione ha poi ribadito il principio secondo cui “i cardini sui quali il datore di lavoro deve fondare l’analisi e la previsione dei rischi sono, dunque, in primo luogo, la ‘propria esperienza’, l’evoluzione della scienza tecnica ed infine ‘la casistica’ verificabile nell’ambito della lavorazione considerata.”

 

In tale ottica, “la previsione e prevenzione del rischio deve ‘coprire’ qualsiasi fattore di pericolo evidenziato nell’evoluzione della ‘scienza tecnica’ e non solo dall’esperienza che l’imprenditore sviluppi su una certa attività o su uno specifico macchinario, che egli abbia potuto direttamente osservare.

 

In pratica, secondo la Suprema Corte, “non basta, cioè, a giustificare la mancata previsione del pericolo nel documento di valutazione dei rischi, né che la sua realizzazione non si sia mai presentata nello svolgimento dell’attività concreta all’interno dell’impresa, né che esso non rientri nell’esperienza indiretta del datore di lavoro”, dal momento che “per considerare ‘non noto’ il rischio occorre che anche la scienza tecnica non abbia potuto osservare l’evento che lo realizza.”

 

Infatti, “solo in questo caso viene meno l’obbligo previsionale del datore di lavoro, cui non può richiedersi di oltrepassare il limite del sapere tecnico-scientifico, con un pronostico individuale.”

 

In conclusione, “l’evento ‘raro’, in quanto ‘non ignoto’, è sempre prevedibile e come tale deve essere previsto, in quanto rischio specifico e concretamente valutabile. L’evento raro, infatti, non è l’evento impossibile. Anzi è un evento che, per definizione, prima o poi si verifica, ma il suo positivo realizzarsi è connotato da una ‘bassa’ frequenza statistica.”

 

E “ciò comporta, nondimeno, che nel caso in cui la lavorazione comporti un elevato numero di azioni ripetitive particolare cura debba assicurarsi alla previsione del concretizzarsi di rischi riguardanti il prodursi di un ‘evento raro’, la cui realizzazione non sia ignota all’esperienza ed alla conoscenza della scienza tecnica.”

 

Nel caso di specie, peraltro, l’anomalia, “benché rara - e sinanco molto rara, tenendo conto dello svolgimento quotidiano di quelle operazioni e della loro ripetitività - non era ignota e come tale doveva essere considerata nel documento di valutazione dei rischi, da parte del datore di lavoro - in quanto titolare della posizione di garanzia - anche attraverso la consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione - cui compete la conoscenza e la segnalazione di eventuali rischi non effettivamente previsti dal documento di valutazione, sempre emendabile ed integrabile - rientrando fra i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda”.

 

Anna Guardavilla

Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro

 

 

 

Corte di Cassazione Penale, Sez.IV – Sentenza n.27583 del 15 luglio 2022 - Infortunio mortale durante il collaudo in acqua di un mezzo anfibio. Responsabilità del datore di lavoro e del delegato in materia di sicurezza del lavoro. Annullamento con rinvio.

 

Corte di Cassazione Penale, Sez.IV – Sentenza n.32899 del 6 settembre 2021 - Incidente ferroviario di Viareggio. Applicabilità delle norme antinfortunistiche in caso di terzi non soggetti ai rischi propri della lavorazione. Non applicabilità aggravante ex artt. 589-590 c.p.

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 27186 del 19 giugno 2019 (u.p. 10 gennaio 2019) - Pres. Dovere – Est. Nardin – P.M. Lignola - Ric. D.G. e D.V.B..  - Il datore di lavoro ha l'obbligo di individuare tutti i fattori di rischio concretamente presenti nell’azienda secondo la propria esperienza, l’evoluzione della scienza-tecnica e l’analisi della casistica verificabile nell’ambito delle lavorazioni.





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Rispondi Autore: giovanni.ceccanti - likes: 0
06/12/2023 (07:51:54)
Gentile Avv.to GUARDAVILLA, ho letto con interesse il suo articolo, come sempre molto interessanti. Vorrei chiederle un approfondimento in merito al concetto di "obbligo di mezzi" che emerge dall'estratto della sentenza Cassazione Penale, Sez. IV, 6 settembre 2021 n. 32899 , relativa all'incidente di Viareggio. Questo ricollegandomi a quanto disciplinato all'art. 31 del D.lgs 81/2008 smi, dove è scritto che il Servizio di Prevenzione e Protezione deve essere organizzato dal Datore di Lavoro in modo da essere composto in numero sufficiente di ASPP rispetto alle caratteristiche dell’azienda e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati. Come si dimostra se detto numero è congruo? Cosa deve fare il RSPP se ritiene che le risorse a disposizione non sono congrue rispetto alle caratteristiche dell'azienda e conseguentemente non è in grado di provvedere alla valutazione dei rischi? Si dimette dall'incarico ? Certo di una sua risposta anticipatamente ringrazio

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