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COVID-19: analisi dei rischi occupazionali e attività a maggior rischio

COVID-19: analisi dei rischi occupazionali e attività a maggior rischio
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Interviste e inchieste

20/01/2021

Quali sono le professioni più esposte al rischio di contagio? Cosa indica il modello Inail per l’analisi dei rischi occupazionali? Qual è peso della componente occupazionale nella pandemia? Ne parliamo con Alessandro Marinaccio, Dimeila Inail.

 

Brescia, 20 Gen – Non c’è dubbio che per affrontare emergenze sanitarie come l’emergenza COVID-19, un’emergenza che ha avuto un forte impatto anche sul mondo del lavoro e sulla tutela della salute dei lavoratori, sia necessario analizzare i dati che abbiamo a disposizione. Una migliore conoscenza della diffusione e dell’evoluzione di questa pandemia non può che fornirci nuovi strumenti per meglio gestirla e contenerla, anche nei luoghi di lavoro.

 

Proprio partendo da questa constatazione e con riferimento al convegno Inail “Infortuni sul lavoro da Covid-19, cosa raccontano i numeri”, che si è tenuto online durante la manifestazione Ambiente Lavoro 2020, abbiamo ritenuto utile soffermarci su alcuni dati e analisi con un approfondimento degli aspetti epidemiologici, relativi alla modalità d'insorgenza, di diffusione e di frequenza di una malattia, delle professioni più esposte e dei metodi per l’analisi dei rischi occupazionali in relazione all’emergenza COVID-19.

 

Per farlo abbiamo intervistato Alessandro Marinaccio, Direttore del Laboratorio di Epidemiologia occupazionale ed ambientale (Dipartimento di medicina, epidemiologia e igiene del lavoro e ambientale, Dimeila - Inail) che al convegno è intervenuto con una interessante relazione dal titolo “Analisi epidemiologica dei fattori di rischio professionale per Covid-19” che sottolinea come “nelle circostanze attuali, alle prese con una emergenza pandemica planetaria e senza precedenti nell’età contemporanea, rimane di importanza primaria identificare tutte le possibili occasioni di rischio di contagio e misurare il peso di ciascun fattore di rischio, fra cui quelli di natura occupazionale”.

 

Quanto è importante conoscere i fattori di rischio occupazionali? Quali sono le professioni più esposte al rischio di contagio del virus SARS-CoV-2? Cosa indica il modello Inail per l’analisi dei rischi occupazionali correlati all’emergenza? Qual è peso della componente occupazionale nella pandemia? Cosa insegna l’emergenza COVID-19 per migliorare in futuro la prevenzione?

 

 

Questi gli argomenti trattati nell’articolo:


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Le attività lavorative a maggior rischio di contagio del virus

Partirei da una frase che lei ha utilizzato nella sua relazione: “di fronte ad un soggetto ammalato, è necessario indagare di cosa soffre, per quale motivo, da quanto tempo, ma è necessario non tralasciare di chiedere: che lavoro fai?”. Quanto è importante per affrontare una patologia conoscere anche i fattori di rischio correlati all’attività lavorativa?

 

Alessandro Marinaccio: La frase che lei cita è di Bernardino Ramazzini, medico vissuto a Carpi, presso Modena, nella seconda metà del ‘700 ed universalmente considerato il padre fondatore della medicina del lavoro come scienza moderna. Nel suo celeberrimo Trattato “De Morbis Artificum Diatriba”, Ramazzini per la prima volta introduce i principi fondamentali della medicina occupazionale e invita, come lei ha ricordato, tutti i medici a considerare, di fronte ad un soggetto ammalato, la necessità di indagare le caratteristiche del lavoro che svolge. È un insegnamento ancora oggi prezioso ed attuale, anche per chi come me si occupa di epidemiologia.

 

Come è del tutto evidente, identificare i fattori causali degli eventi morbosi è essenziale per la prevenzione dei rischi e spesso negli ambienti lavorativi si determinano condizioni specifiche di esposizione. Si riflette poco su come, storicamente, proprio l’epidemiologia occupazionale ha portato alla luce, ad esempio, la cancerogenicità di sostanze utilizzate nei luoghi di lavoro (basta pensare all’amianto, alle ammine aromatiche, alle polveri di legno e cuoio), ma presenti anche negli ambienti di vita, contribuendo in maniera decisiva alle politiche di sanità pubblica. Nelle circostanze attuali, alle prese con una emergenza pandemica planetaria e senza precedenti nell’età contemporanea, rimane di importanza primaria identificare tutte le possibili occasioni di rischio di contagio e misurare il peso di ciascun fattore di rischio, fra cui quelli di natura occupazionale.

 

La sua relazione al convegno si è occupata dell’analisi epidemiologica dei fattori di rischio professionale per COVID-19. Partiamo subito individuando i risultati di questa analisi: quali sono i luoghi di lavoro e le mansioni, oltre agli operatori sanitari che sappiamo impegnati in prima linea, più a rischio di contagio?

 

A.M.: Per fornire elementi di riflessione completi è utile riferirsi a quanto già disponibile nella letteratura scientifica e allo stesso tempo analizzare i dati di cui dispone l’Inail.

 

A partire dalle fasi di esordio dell’epidemia, tutte la comunità scientifica ha richiamato il tema della sicurezza e protezione degli operatori sanitari dal rischio di contagio come cruciale per il contenimento dell’epidemia, in relazione al doppio ruolo di tali lavoratori di vittime e di potenziali vettori del contagio. Recentemente è apparso sulla rivista “The Lancet” un eloquente editoriale dal titolo “No patient safety without health worker safety”. È accertato che gli operatori sanitari sono decisamente la categoria occupazionale maggiormente a rischio.

 

Sono stati inoltre ripetutamente segnalati clusters di soggetti ammalati in ragione della loro attività lavorativa in numerosi altri contesti occupazionali.

I lavoratori delle aziende di lavorazione della carne e dei macelli sono stati oggetto di specifici approfondimenti epidemiologici, negli Stati Uniti ed in alcuni Paesi europei, a partire dalla segnalazione di eccessi significativi di casi di COVID-19. Le ipotesi sui fattori organizzativi ed ambientali che possono determinare un rischio di contagio in tale settore riguardano le basse temperature che è necessario mantenere negli ambienti e la conseguente diminuzione delle difese immunitarie naturali, la necessità di parlare spesso e ad alta voce in ambienti confinati e comuni e la inadeguatezza dei sistemi di ricambio dell’aria.

Inoltre il commercio al dettaglio, i servizi alla persona, le attività di assistenza e cura degli anziani e dei non autosufficienti, i servizi di farmacia e i lavoratori dei servizi funebri. Infine il tema della diffusione della malattia nei pazienti e negli operatori sanitari delle strutture di ricovero per anziani è stato un argomento di preoccupazione centrale per le autorità di sanità pubblica impegnate nel contrasto alla pandemia.

 

I dati disponibili all’Inail confermano nella sostanza questo quadro di distribuzione del rischio. Nel bollettino epidemiologico periodico prodotto dall’Istituto ed aggiornato al 30 novembre, sono riportati 104.328 denunce di infortunio sul lavoro COVID-19 segnalate all’Inail dall’inizio della pandemia, (il 20,9% delle denunce di infortunio pervenute da inizio anno e il 13% in comparazione al dato dei contagi su scala nazionale comunicato dall’Iss alla stessa data).

Rispetto alle attività produttive, il settore della sanità e assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili…) registra il 68,7% delle denunce; seguito dall’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl - e amministratori regionali, provinciali e comunali) con il 9,2%; dal noleggio e servizi di supporto (servizi di vigilanza, di pulizia, call center,…) con il 4,4%; dal settore manifatturiero (addetti alla lavorazione di prodotti chimici, farmaceutici, stampa, industria alimentare) con il 3,3%, dalle attività dei servizi di alloggio e di ristorazione con il 2,5% e dal commercio all’ingrosso e al dettaglio con l’1,9%.

È molto interessante notare come i settori più coinvolti sono mutati nel corso delle diverse fasi pandemiche, con un peso del settore sanitario determinante nella prima fase, in calo nel periodo estivo e di rallentamento del fenomeno, ed in ripresa in questo ultimo periodo di recrudescenza dell’epidemia.

 

L’analisi epidemiologica e il modello Inail per l’analisi dei rischi occupazionali

Quanto è importante una corretta analisi epidemiologica per il contenimento di una malattia come il COVID-19 e per una distribuzione più efficace del vaccino?

 

A.M.: L’analisi della rilevanza dei diversi fattori di rischio è fondamentale per la prevenzione del contagio, per l’efficacia delle attività di tutela assicurativa e per definire correttamente le priorità nella distribuzione del vaccino. Lo straordinario sforzo dei ricercatori in tutto il mondo ha consentito di arrivare in tempi rapidissimi alla disponibilità di un vaccino di provata efficacia, ma come è naturale il numero di dosi non può essere sufficiente da subito ad una vaccinazione di popolazione. E’ necessario quindi, come abbiamo recentemente messo in evidenza sulla rivista “The Lancet”, definire le politiche di definizione delle priorità e quindi identificare i gruppi di popolazione più vulnerabili. Su questo l’analisi dei rischi occupazionali è fondamentale e mi sembra che sia stata ben tenuta in conto in queste fasi di iniziale distribuzione del vaccino.

 

Veniamo dunque ad uno degli strumenti principali che ha permesso di arrivare a questi risultati: il modello per l’analisi dei rischi occupazionali. Come è nato questo modello e qual è stato il suo obiettivo e la sua applicazione pratica?

 

A.M.: Nel corso della pandemia, l’Inail ha contribuito, nell’ambito dei lavori del Comitato Tecnico Scientifico presso la Protezione Civile, alla definizione del profilo di rischio per ciascun settore occupazionale nel contesto delle azioni dell’autorità di governo per contenere l’epidemia, guidare le fasi di lockdown e di graduale ripresa delle attività economiche.

 

Inoltre già a partire dalle prime fasi dell’epidemia, l’Inail ha introdotto la nozione di infortunio sul lavoro per i casi di contagio da SARS-CoV-2 occorsi in ragione dell’attività lavorativa, equiparando ai fini assicurativi e di tutela, la causa virulenta alla causa violenta. L’analisi dei settori di attività economica coinvolti nel rischio di contagio è stata sviluppata adattando alla realtà italiana il modello predisposto dal progetto O’NET del Bureau of Labour del Department of Labor, Employment and Training Administration degli Stati Uniti, integrando i dati del contesto lavorativo italiano delle indagini Inail e Istat.

 

In sintesi sono stati definiti tre parametri relativi ad indicatori di esposizione, prossimità ed aggregazione ed ogni settore è stato classificato in quattro livelli di rischio (basso, medio basso, medio alto e alto) sulla base della lettura integrata di tali indicatori.

 

Quali sono i suoi elementi determinanti? Attraverso quali variabili il modello permette di classificare il rischio da contagio in occasione di lavoro?

 

A.M.: Come dicevo e come è riportato in dettaglio nei documenti resi disponibili dall’Istituto, ogni settore di attività economica è stato valutato con riferimento a tre variabili, definite tramite un indice di esposizione, prossimità ed aggregazione.

  • Esposizione: la probabilità di venire in contatto con fonti di contagio del virus SARS-CoV-2 nello svolgimento dell’attività lavorativa;
  • Prossimità: indica le caratteristiche intrinseche di svolgimento del lavoro con non consentono un sufficiente distanziamento;
  • Aggregazione: indica la natura del lavoro che prevede il contatto diretto con il pubblico e comunque con altri soggetti oltre ai colleghi di lavoro.

 

L’analisi combinata di questi tre parametri può consentire di associare a ciascun settore occupazionale un indicatore complessivo di rischio. Come è inevitabile, si tratta di indicatori di massima ed espressi in probabilità, che hanno un’utilità in termini di strumento per le decisioni di sanità pubblica nelle attuali condizioni di emergenza epidemiologica.

L’analisi settoriale più specifica deve integrare valutazioni relative alla organizzazione del lavoro ed alle misure di protezione e prevenzione adottate in ogni luogo di lavoro.

 

 

Indicazioni sui fattori di rischio occupazionali per Covid-19 tratti da: INAIL - Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-Cov-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione. Aprile 2020

 

Successivamente alla definizione di questo modello e alla sua prima applicazione sono stati successivamente aggiunti anche tutti i dati relativi alle richieste di indennizzo e agli “infortuni” da COVID-19 rilevati nelle aziende. Cosa è emerso in questa successiva fase?

 

A.M.: Con la circolare 13 del 3 aprile 2020 Inail ha dato applicazione agli assicurati, in caso di infezione sul lavoro, la piena tutela, come per gli altri infortuni o malattie sul lavoro.

L’ambito della tutela assicurativa riguarda in primo luogo gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio. Sono però ugualmente tutelati altre categorie in costante contatto con l’utenza, come i lavoratori impiegati in front-office e alla cassa, gli addetti alle vendite/banconisti, il personale non sanitario degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizia e gli operatori del trasporto infermi.

La tutela assicurativa si estende anche ai casi in cui l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti più difficile. In tali situazioni diventano determinanti gli elementi epidemiologici, clinici ed anamnestici. Sono tutelati dall’Istituto, inoltre, anche i casi di contagio avvenuti nel percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro, che si configurano come infortuni in itinere. Si tratta, come è noto, di un tema molto rilevante. Numerose analisi epidemiologiche riportate nella letteratura scientifica hanno mostrato come il trasporto pubblico (in particolare correlato al lavoro ed alla scuola) sia un potenziale ambito di rischio.

 

In questo quadro, l’Inail raccoglie ed analizza le denunce di infortunio occupazionale da COVID-19 ed è in grado, di conseguenza, di monitorare la dimensione del rischio professionale durante la pandemia.

Un dato su cui riflettere è come la mera comparazione fra il numero di soggetti contagiati nella popolazione (i positivi al tampone), come emerge dal monitoraggio epidemiologico condotto dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità, e le richieste di indennizzo che pervengono all’Istituto, consentono di stimare, con tutti gli elementi di accortezza che è necessario tenere presente in esercizi statistici di questo genere, e con riferimento esclusivamente alle denunce di infortunio pervenute, intorno al 10-15% il peso della componente occupazionale nella pandemia. È rilevante come nelle fasi iniziali dell’emergenza epidemiologica, i dati di marzo ed aprile sembrano mostrare un peso dei luoghi di lavoro ancora maggiore, mentre nei mesi successivi ed in particolare ad ottobre e novembre appare evidente una riduzione del peso percentuale del rischio occupazionale (misurato come si diceva dal rapporto fra denunce di infortunio pervenute ad Inail e contagi nella popolazione). L’interpretazione di questa evidenza epidemiologica è complessa, ma è possibile che dopo la prima fase di emergenza, le misure di contenimento dei rischi nei luoghi di lavoro abbiano progressivamente ottenuto il risultato di un ridimensionamento della diffusione dell’epidemia negli ambienti di lavoro.

 

Essendo di fronte ad una pandemia diffusa in tutto il mondo, immagino che ci siano stati anche diversi modelli in altri paesi per analizzare i fattori di rischio professionali correlati all’emergenza…

 

A.M.: Nella letteratura scientifica e sulle riviste internazionali di medicina del lavoro ed epidemiologia occupazionale sono apparsi in questi mesi numerose analisi e la produzione di dati è stata imponente.

Attualmente è in corso un progetto di ricognizione fra i paesi europei, promosso in Germania e coordinato dal collega Kurt Straif del Collegium Ramazzini e OMEGA-net, su come sia stata affrontata l’emergenza COVID-19 nei diversi paesi relativamente alla sorveglianza epidemiologica occupazionale, la copertura assicurativa e i meccanismi di tutela dei lavoratori. Partecipano al progetto oltre 30 paesi europei ed i primi risultati saranno disponibili a breve, ma credo che si possa dire fin d’ora che l’Italia sia uno dei paesi nei quali la risposta da questo punto di vista sia stata fra le più pronte ed efficaci.

 

I sistemi di sorveglianza e il miglioramento futuro della prevenzione

In conclusione che cosa ci sta insegnando l’emergenza COVID-19 per poter migliorare la prevenzione futura nei luoghi di lavoro?

 

A.M.: Come è stato recentemente osservato in alcuni editoriali pubblicati dalle riviste specializzate, la diffusione del virus SARS-CoV-2 e la pandemia hanno rappresentato e rappresentano una sfida di prima grandezza per la sanità pubblica, ma anche per la medicina del lavoro e l’epidemiologia occupazionale.

Con riferimento ai miei specifici interessi di ricerca, l’insegnamento che mi pare più importante che si può trarre dall’emergenza sanitaria è relativo alla importanza decisiva dei sistemi di sorveglianza epidemiologica. L’identificazione e la stima del peso dei diversi fattori causali e di rischio è indispensabile e può avvenire efficacemente solo se esistono sistemi in grado di produrre dati ed evidenze epidemiologiche certe. Questi sistemi, per la natura e l’organizzazione del sistema sanitario italiano, non possono che costituirsi in collaborazione fra Regioni ed Enti centrali ed è fondamentale salvaguardare, sviluppare e rafforzare tutte le esperienze di sorveglianza epidemiologica di questa natura già attive in Italia, e costruire nuovi progetti in questo senso che possano mantenersi attivi anche quando sarà terminata l’emergenza.

Il monitoraggio degli eventi morbosi è infatti necessario nelle fasi pandemiche come strumento di controllo e di indirizzo delle misure di sanità pubblica, ma è anche uno strumento di prevenzione dei rischi in condizioni non emergenziali.

 

Infine mi pare che sia emerso chiaramente in questi mesi drammatici che un rapporto stretto fra ricerca scientifica e politiche di contenimento e contrasto alla pandemia sia imprescindibile e che prevenzione dei rischi, efficienza ed equità del sistema di tutele assicurative e ricerca scientifica siano ambiti di attività ed obiettivi correlati indissolubilmente.

 

 

Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto

 

 


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Rispondi Autore: Giampaolo Meotti - likes: 0
20/01/2021 (11:35:15)
Nella tabella dell'analisi settoriale per il trasporto e magazzinaggio manca, al solito, la categoria del personale di volo del Trasporto aereo.
INAIL, per il D. Lgs. 38/00, dovrebbe registrare le malattie ricorrenti nel personale di volo, pertanto con maggior responsabilità dovrebbe valutare anche il rischio contagio in tale categoria.
Non riesco a capire il perché di tale costante e ripetuta dimenticanza.
Rispondi Autore: Lenny - likes: 0
20/01/2021 (13:45:26)
Grazie dell'articolo. A questo punto rimangono molte perplessità sulle misure adottate nei confronti del settore della ristorazione.
Rispondi Autore: Cesare - likes: 0
10/03/2021 (07:46:20)
Faccio manutenzione in strutture pubbliche e private su macchinari odontoiatrici. 4\5interventi al giorno su macchinari funzionanti, tra paziente e paziente
Mi dicono che non siamo considerati a rischio...

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