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Conseguenze immateriali del Covid e strategie di riparazione

Conseguenze immateriali del Covid e strategie di riparazione
Renata Borgato

Autore: Renata Borgato

Categoria: Coronavirus-Covid19

03/08/2023

Il Covid ha scomposto e ricomposto il sistema sociale e affettivo delle persone, creando e distruggendo reti relazionali che traevano fondamento da presupposti diversi. Come ricostruire il tessuto della convivenza?

A distanza di tempo, con un distacco che è ancora da venire, si parla di Covid studiandone le ricadute da punti di vista diversissimi, ma trascurando quella che è la cifra che li accomuna. Il Covid è per prima cosa il fenomeno divisivo per eccellenza, da qualunque dimensione lo si guardi.

 

Ha frantumato gli equilibri interni alle organizzazioni, già di per sé in dinamica per altre ragioni, mettendo in evidenza inadeguatezze fino ad allora indiscusse, facendo riguardare criticamente nel profondo l’organizzazione interna e mettere in discussione organizzazione e ruoli.  Alla prova dei fatti ha inequivocabilmente evidenziato chi era ancora utile e funzionale e chi era una figura accessoria. Ha separato gli indispensabili dai surrogabili dagli inutili. Questo in un contesto in cui la coesione e solidarietà erano da tempo in grave crisi.

 

Anche se questo processo di disambiguazione sarebbe comunque avvenuto, senza la prova del fuoco del lock down, i tempi sarebbero stati più lunghi e, di conseguenza, il processo più indolore. I soggetti più colpiti sono i quadri intermedi che, in un’organizzazione che nella produzione tende sempre di più al passaggio dai reparti al flusso teso e nei processi organizzativi registra l’ingresso massivo dell’intelligenza artificiale, di fatto, rende pleonastiche molte funzioni inquadrabili in tale categoria.

 

Ha frantumato in modo ormai irreversibile l’idea di unità di tempo e di luogo nell’esecuzione del lavoro, creando di fatto una spaccatura interna tra gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori che, per ragioni riconducibili prevalentemente a criteri personali e oggettivi, vivono gli effetti dello smart working in modo dicotomico e non ricomponibile. Su questo terreno le differenze economiche individuali, la composizione dei nuclei familiari, la dislocazione e le condizioni delle situazioni abitative, le sensibilità personali ecc creano divisioni incolmabili e contrappongono interessi.


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Anche in relazione agli effetti delle diverse modalità di lavoro (lavoro da remoto o in presenza), il Covid ha scomposto e ricomposto il sistema sociale e affettivo delle persone, creando e distruggendo reti relazionali che traevano fondamento da presupposti diversi. Chi ancorava gran parte della propria socialità al mondo del lavoro può essersi visto privato di tale legame, impoverito e privato di riferimenti. Chi contava su altri soggetti può essersi trovato nella condizione di coltivare con più agio le proprie relazioni e di migliorare la propria qualità di vita.

 

Se ciò vale per le relazioni sociali e amicali, tanto più è valido per i rapporti familiari la cui qualità si è polarizzata, consolidandosi e arricchendosi o, al contrario, portando i conflitti latenti alla schismogenesi, come molti fatti di cronaca hanno dolorosamente dimostrato.

 

La frantumazione dei gruppi dovuta alla differenziazione degli interessi ha, a sua volta, prodotto effetti.

 

Il Covid inoltre ha abbassato la soglia di tolleranza dell’altro. La distanza fisica ha reso visibili e tangibili le distanze preesistenti e legittimato implicitamente l’emersione di quanto prima veniva, per sofferta convenzione sociale, sottaciuto. Siamo di fronte a un’escalation verbale e fisica che si autoalimenta.

 

Persino i codici della prossemica sono da rinegoziare ed evidenziano polarizzazioni che, nel migliore dei casi, sconcertano, se no generano conflitto. Qual è la distanza fisica appropriata dipende, più che dalle banali regole della prudenza, da percezioni profondamente differenziate e come tali da ridefinire.

 

Di scarso aiuto è persino la comunicazione non verbale che comunque è stata modificata dal prolungato uso della mascherina che ha falsato la lettura della maggior parte dei messaggi, veicolati dalla muscolatura della parte inferiore del viso. E che, spesso, ha abituato a non controllare i segnali volontari lasciando invece emergere quelli inconsapevoli. Considerando l’importanza dirimente della comunicazione sulle relazioni, anche questo è un elemento rilevante.

 

Tutto ciò ha implicazioni rilevanti sulla presenza dei rischi psicosociali le cui declinazioni non sono più circoscrivibili al solo stress lavoro correlato, ma implicano aspetti molto più ampli e complessi.

 

Anche limitandoci a questo, parziale, elenco di cause e concause, appare evidente la necessità di ricostruire il tessuto della convivenza. Come? Il suggerimento ci può venire da una ricerca del giurista Cass Sunstein, se sostiene che, se si seleziona a caso un gruppo di persone e si chiede loro di discutere su un argomento divisivo, in genere esse si orientano verso una sorta di compromesso, perché le convinzioni, gli atteggiamenti e le azioni di una parte sono moderati dai ragionamenti della parte opposta. Ma se si prende un gruppo di persone che la pensano in modo simile e le si fanno discutere su argomenti divisivi, esse non gravitano affatto verso una posizione mediana: quando i gruppi omogenei non hanno modo di entrare in contatto con opinioni scettiche e con controargomentazioni, le persone al loro interno si spostano verso la posizione più estrema. Quando alla discussione partecipano soltanto sostenitori di una certa idea, raramente viene posta la domanda “stiamo spingendoci troppo oltre?”, bensì solitamente “stiamo facendo abbastanza”. Questa tendenza è così forte che Sunstein la chiama “la legge della polarizzazione di gruppo [1]”.

 

Che fare allora? Occorre moltiplicare le occasioni di incontro tra soggetti disomogenei attraverso la formazione, i focus group, le discussioni, le situazioni d’incontro, su tematiche trasversali, possibilmente in piccoli gruppi e preferibilmente in presenza.

 

Renata Borgato

 

 



[1] Sunstein, 1999, 2019.






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