Agenti chimici pericolosi: scegliere gli indumenti di protezione adeguati
Bologna, 12 Dic – Riguardo alla possibile esposizione dei lavoratori ai prodotti chimici pericolosi, in ogni luogo di lavoro è necessario “effettuare la valutazione dei prodotti chimici pericolosi volontariamente introdotti nel ciclo lavorativo, ma anche derivanti dai processi, comprese le attività di manutenzione e di pulizia, al fine di mettere in atto sia le misure e i principi generali per la prevenzione dei rischi sia le misure specifiche di protezione e prevenzione, al fine di definire il ‘rischio residuo’”. E per definire poi quali siano, in questo caso, i dispositivi di protezione individuali (DPI), con particolare riferimento agli indumenti di protezione, da utilizzare per abbattere il “rischio residuo” rilevato, è necessario “esaminare diversi fattori, quali:
- l’effetto tossico e la concentrazione delle sostanze pericolose nei prodotti, nei semilavorati e nell’ambiente di lavoro;
- lo stato fisico delle sostanze pericolose: particelle e fibre (dimensioni, pressione contro l’indumento), liquidi (quantità e pressione esercitata contro l’indumento), gas e vapori (pressione esercitata contro l’indumento)”;
- le vie di penetrazione, “comprendendo anche la possibilità di inalazione secondaria dovuta a contaminazione degli abiti e/o del corpo;
- il livello, il modo e la durata dell’esposizione (breve, medio o lungo termine);
- le parti del corpo esposte;
- patologie e/o esposizioni pregresse”.
A parlare e a presentare in questi termini l’utilizzo e la scelta degli indumenti di protezione contro le sostanze chimiche è il documento “ ImpresaSicura_DPI”, un documento correlato al progetto multimediale Impresa Sicura - elaborato da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e Inail - che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la salute e la sicurezza come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013.
Il documento indica che riguardo agli indumenti di protezione contro le sostanze chimiche, “a seconda delle prestazioni di barriera della materia prima utilizzata sia della confezione dell’indumento”, si hanno sei differenti tipi di protezione:
- Tipo 1: “a tenuta stagna di gas”;
- Tipo 2: “a tenuta non stagna di gas;
- Tipo 3: a tenuta di liquidi;
- Tipo 4: a tenuta di spruzzi (spray);
- Tipo 5: a tenuta di polvere;
- Tipo 6: a tenuta limitata di schizzi liquidi”.
Per ogni tipologia di DPI il documento, che vi invitiamo a visionare integralmente, riporta varie informazioni anche in relazione a equipaggiamento e marcatura.
Partendo dunque dalla constatazione che i “rischi chimici” sono molteplici, si sottolinea quanto sia importante scegliere l’indumento più appropriato “considerando anche che i materiali possono essere sia impermeabili che permeabili, valutando la combinazione tra il tipo di protezione offerta dalle tecniche costruttive e dal design adottato per la realizzazione dell’indumento stesso e la classe di prestazione o offerta dalla materia prima”.
Il documento si sofferma anche sulle taglie segnalando che “se il fabbricante produce l’indumento in più taglie, deve essere chiesto ai soggetti di scegliere la taglia idonea, seguendo le istruzioni del fabbricante, ed eseguendo la prova dei ‘sette movimenti’”, prova descritta con il supporto di immagini e tratta da un documento dell’Azienda USL di Modena.
Sono fornite poi diverse informazioni sulla classificazione di “agente chimico pericoloso”, con particolare riferimento alla normativa europea e in particolar modo al regolamento (CE) n. 1272/2008 del 16 dicembre 2008 (Regolamento CLP) che ha introdotto in Europa “il sistema di classificazione GHS (Globally Harmonized System) delle sostanze e dei preparati pericolosi” e ha modificato il regolamento (CE) n. 1907/2006 (Regolamento REACH).
A questo proposito il documento riporta varie indicazioni sulle novità, rispetto al passato, portate dal Regolamento CLP.
Tornando ai DPI riportiamo, a titolo esemplificativo, alcune indicazioni su alcune tipologie di indumenti di protezione.
Ad esempio l’equipaggiamento di Tipo 6 “copre proteggendo almeno il tronco e gli arti. È costituito da tute intere ma anche due pezzi, con o senza cappuccio, calzari e copristivali”. Mentre l’equipaggiamento di tipo PB(6) “è una protezione parziale del corpo e pertanto copre e protegge solo parti specifiche dello stesso. È costituito da camici, grembiuli, maniche, ecc. I materiali di questi due tipi d’indumenti di protezione offrono una protezione limitata contro gli agenti chimici liquidi. Devono essere sottoposti a specifici test al fine di definire la: resistenza all’abrasione; resistenza alla lacerazione; resistenza alla trazione; resistenza alla perforazione; repellenza dei liquidi; resistenza alla penetrazione dei liquidi; resistenza al fuoco (non deve continuare a bruciare dopo 5 secondi)”. Anche in questo caso il documento riporta numerose tabelle in merito alle classi assegnate in conseguenza dei test. Inoltre “altri test specifici riguardano le verifiche della tenuta di cuciture, giunzioni e assemblaggi alla penetrazione dei liquidi attraverso i fori delle cuciture stesse ovvero il materiale a tal fine utilizzato, che deve resistere al passaggio”.
Ci soffermiamo, infine, sull’equipaggiamento contro prodotti chimici liquidi e gassosi, “inclusi aerosol liquidi e particelle solide - tute di protezione chimica, ventilate e non, a tenuta di gas (Tipo 1) e non a tenuta di gas (Tipo 2)”.
Si indica che le tute di protezione chimica di Tipo 1 “a tenuta di gas” sono “suddivise nei seguenti sottotipo:
- Tipo 1a - tuta di protezione chimica a tenuta di gas che è provvista di alimentazione di aria respirabile indipendente dall’atmosfera ambiente (es: autorespiratore a circuito aperto ad aria compressa, indossato sotto la tuta di protezione chimica);
- Tipo 1b - tuta di protezione chimica a tenuta di gas provvista di alimentazione di aria respirabile (es: un autorespiratore a circuito aperto ad aria compressa indossato fuori dalla tuta di protezione chimica);
- Tipo 1c - tuta di protezione chimica a tenuta di gas provvista di aria respirabile che assicura la sovrappressione, per esempio linee d’aria”.
Inoltre le tute di protezione chimica di Tipo 2 “non a tenuta di gas” sono “provviste di aria respirabile che assicura la sovrappressione”.
Si ricorda che questi indumenti di protezione “possono essere a uso limitato ma anche riutilizzabili, secondo specifici requisiti prestazionali minimi”. Inoltre le tute intere “devono avere requisiti prestazionali specifici”. I vari requisiti, minimi e specifici, sono riportati in alcune tabelle.
Riportiamo anche alcune indicazioni sull’equipaggiamento Tipo 1a-ET e Tipo 1b-ET, tute di protezione chimica “a tenuta di gas” destinate ad essere “utilizzate dalle squadre di emergenza provviste di alimentazione di aria respirabile indipendente dall’atmosfera ambiente”:
- tipo 1a-ET: “l’alimentazione è indossata sotto la tuta (autorespiratore a circuito aperto ad aria compressa);
- tipo 1b-ET: indossata sopra la tuta di protezione chimica (autorespiratore a circuito aperto ad aria compressa). Va quindi prestata molta attenzione alla scelta dell’apparecchio di protezione delle vie respiratorie”.
Concludiamo segnalando che il documento riporta poi ampi stralci del Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 2 maggio 2001 “Criteri per l’individuazione e l’uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI)” con riferimento alle specificità e caratteristiche dei materiali permeabili e impermeabili all’aria utilizzati per gli indumenti protettivi.
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