Sulla non responsabilità di una CSE per un infortunio
È una pietra miliare questa sentenza della Corte di Cassazione e il miglior commento che si può fare della stessa, per quanto è chiara, è quello di riportare semplicemente punto per punto le parole che la suprema Corte ha espresse nella stessa nell’accogliere il ricorso presentato da una coordinatrice per la sicurezza che era stata condannata nei due primi gradi di giudizio per l’infortunio accaduto in un cantiere a un lavoratore a causa del crollo parziale di un muro di separazione da un appartamento adiacente dovuto alla spinta del calcestruzzo al momento della sua gettata. Il crollo si era verificato per un errore delle modalità del getto di calcestruzzo commesso da una impresa esecutrice per non avere seguito le indicazioni fornite dal progettista dell’opera e sostanzialmente quindi per un rischio specifico e non di competenza del coordinatore per la sicurezza.
La dinamica dell’accaduto in questa circostanza è stata molto simile a quella verificatasi e già oggetto di un’altra recente sentenza della stessa IV Sezione penale della Corte di Cassazione, la n. 29323 del 19 luglio 2024 pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ La responsabilità dell’infortunio per il crollo di una trave in costruzione” che era però giunta a conclusioni opposte per avere sostenuto che il crollo di una trave in costruzione può ben rappresentare un rischio la cui gestione è di competenza del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione rientrando lo stesso nella sfera di rischio da lui governata.
In sintesi, la Corte suprema nel decidere si è attenuta, in piena coerenza con la giurisprudenza più recente sull’operato e sulla responsabilità del coordinatore, ad alcuni principi secondo i quali:
- il coordinatore ricopre una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, spettandogli compiti di "alta vigilanza" che, lungi dal poter essere interpretata come una sorta di contrazione della posizione di garanzia, indica piuttosto il modo in cui vanno adempiuti i doveri tipici;
- il coordinatore per l'esecuzione dei lavori non è tenuto ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo, previsto dall'art. 92 lettera f) del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate;
- il D. Lgs. n. 81/2008 ha connesso l'opera del coordinatore per l'esecuzione alla sicura organizzazione complessiva del cantiere, con ciò intendendosi la conformazione dell'opera, dell'area di cantiere e della sequenza delle lavorazioni, tenuto conto anche ma non esclusivamente del rischio da interferenze, e alle necessità della sicurezza dei lavoratori.
Ciò premesso, passando all’esame dei rilievi presentati nel ricorso dall’imputata e essendo stato accertato che l’evento infortunistico in questa circostanza si era verificato per un errore compiuto dall’impresa esecutrice per avere effettuato il getto del calcestruzzo da una altezza di un metro e mezzo a fronte dei 60 cm previsti dal progettista, provocando quindi la spinta che aveva determinato il crollo della struttura, la Corte di Cassazione ha riconosciuto che l’evento stesso era accaduto per un rischio specifico affidato al controllo del datore di lavoro dell’impresa esecutrice e, sostenendo che entrambi i giudici di merito avevano erroneamente dato per scontato che il governo del rischio che aveva portato all’infortunio, tipicamente riferito a una fase esecutiva, competesse all’imputata nella qualità di coordinatrice, ha annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei suoi confronti per non avere commesso il fatto.
Non è certamente la prima volta che si riscontra una diversità di vedute fra i giudici di merito e la Corte di Cassazione circa l’operato del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione e circa i rischi sottoposti alla sua gestione, diversità che lo scrivente ha già messa in evidenza nel commentare una precedente sentenza della stessa IV Sezione penale della Corte di Cassazione, la n. 10136 del 16 marzo 2020, pubblicata e commentata nell’articolo " La gestione dei rischi affidata ai CSE nei cantieri edili".
La riflessione che lo scrivente ha fatto, nel commentare tale sentenza e altre analoghe precedenti della Corte di Cassazione, è stata che tale diversità è certamente da mettere in relazione a una diversa interpretazione che viene data delle disposizioni di cui all’art. 92 del D. Lgs. n. 81/2008 sugli obblighi del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, il che dovrebbe indurre il legislatore a rivedere se non a riscrivere integralmente l’articolo stesso allo scopo di rendere più chiara la sua applicazione.
Ed ecco quindi la domanda che sta nel titolo di quest’articolo. E’ il punto e) del comma 1 dello stesso articolo 92 quello che, secondo lo scrivente, può in particolare creare confusione nella individuazione dei compiti del CSE allorquando nello stesso viene indicato che il CSE è tenuto a ‘contestare’ per iscritto alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati le inosservanze alle disposizioni degli articoli 94. 95, 96 e 97, comma 1 oltre che alle prescrizioni del PSC, ove esistente. È evidente che la contestazione è stata richiesta dal legislatore, allo scopo di farne oggetto di segnalazione al committente o al responsabile dei lavori affinché intervenisse, ma contenendo gli articoli citati gli obblighi di sicurezza a carico dei datori di lavoro delle imprese esecutrici oltre che dei datori di lavoro delle imprese affidatarie e dei lavoratori autonomi, tale contestazione scritta può indurre facilmente a pensare che il legislatore abbia voluto invece affidare al CSE il compito diretto di controllare che i soggetti sopraindicati rispettino le disposizioni di sicurezza assegnandogli così una sorta di posizione di garanzia nell’ambito della sicurezza del cantiere, il che in effetti non è rimanendo sempre tale garanzia esclusivamente in capo ai singoli soggetti citati.
Alla luce delle considerazioni appena svolte quindi sarebbe opportuno, a parere dello scrivente, rivedere il testo della lettera e) dell’art. 92 e, fermo restando l’obbligo di segnalare al committente le inadempienze in materia di salute e sicurezza che dovesse riscontrare affinché adotti i suoi provvedimenti, sarebbe opportuno limitare l’intervento del CSE al solo controllo che siano attuate le prescrizioni e le procedure di cui al PSC con la condizione però di dare contemporaneamente indicazioni ai coordinatori in fase di progettazione (CSP) di non elaborare i PSC inserendo in esso tutti i rischi anche specifici di tutte le imprese esecutrici che operano nel cantiere e di fare del PSC una sorta di raccolta di tutti i rischi che possono essere presenti nello stesso ma di limitarsi a indicare solo quelli di essi che possono costituire interferenza fra le imprese. L’individuazione delle carenze di sicurezza da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi andrebbe quindi finalizzata a informare il committente e soprattutto ad adottare il provvedimento di sospensione di cui alla lettera f) dello stesso articolo 92 nel caso che le stesse carenze, direttamente riscontrate ed evidentemente immediatamente percettibili, costituiscano un pericolo grave e imminente.
E’ chiaro quindi che fin quando l’articolo 92 non verrà riscritto in maniera più chiara, i giudici di merito possono sentirsi in dovere di vedere la figura del CSE come un vigilante aggiunto avente il compito di controllare che le imprese esecutrici e i lavoratori autonomi rispettino gli obblighi di sicurezza posti a loro carico e non come il progettista della organizzazione in sicurezza del cantiere e direttore della sua corretta attuazione, così come era, fin dalla entrata in vigore del D. Lgs. n. 494/1996, negli indirizzi forniti dalle direttive europee.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
La Corte di Appello ha confermata la sentenza del Tribunale della stessa città, con la quale era stata pronunciata la condanna di una coordinatrice in fase di progettazione e di esecuzione e del direttore dei lavori di costruzione di un immobile per il reato previsto dagli artt. 41 cpv e 590, commi 1, 2 e 3 c.p. e ha dichiarato, inoltre, estinta per prescrizione la fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 676, comma 2, c.p., alla quale, sin dal primo grado, era stata ricondotta l'originaria contestazione di disastro colposo, rideterminando la pena in 20 giorni di reclusione per la coordinatrice e in un mese e dieci giorni di reclusione per il direttore dei lavori.
Agli imputati era stato addebitato il reato di lesioni colpose, aggravato dalla violazione di norme antinfortunistiche, perché, con condotte indipendenti e causalmente rilevanti, avevano cagionato a un lavoratore plurime lesioni da cui era derivata una malattia di durata superiore a 40 giorni nonché l'indebolimento permanente di organo, provocati dal crollo del muro perimetrale dell'edificio in cui la persona offesa dimorava, in un appartamento adiacente al fabbricato in costruzione.
Il giudice di primo grado aveva ricostruito i fatti così come di seguito riportato. Nel corso dei lavori di costruzione e di innalzamento di una nuova palazzina da edificare in aderenza al preesistente edificio, a seguito del getto di calcestruzzo non contenuto con protezioni adeguate, si era verificato il crollo parziale del muro di tamponamento della dimora dell’infortunato, a causa della pressione esercitata dalla colata di calcestruzzo impiegato per l'elevazione del muro perimetrale in aderenza alla parete del fabbricato a confine, causandone il cedimento e la rovina in corrispondenza della stanza occupata dalla vittima che ne era stata travolta, riportando plurime fratture costali associate a quattro distinte fratture vertebrali, una frattura pluriframmentaria del terzo laterale della clavicola sinistra, contusioni polmonari, e infiltrazione di aria all'interno di entrambi gli spazi pleurici.
Era risultato accertato che il committente dei lavori aveva affidata l’esecuzione a una società che, a sua volta, aveva subappaltato la costruzione ad altra impresa.
Dalle testimonianze e dalla relazione redatta dal consulente, ausiliario del pubblico ministero, era emerso che il condominio in cui era avvenuto l'incidente era costituito da una struttura in calcestruzzo tamponata con mattoni forati, idonea a resistere alla spinta del vento, ma inadatta a subire pressioni più consistenti, come quella provocata dalla colata del calcestruzzo liquido, tra l'altro avvenuta in corrispondenza della linea mediana della parete, meno resistente alle pressioni.
Ad avviso del consulente tecnico del P.M., il getto di calcestruzzo per l'erigendo muro in aderenza avrebbe dovuto essere convogliato e contenuto tra due casseri in acciaio, collegati tra loro in modo da non potersi allargare durante la posa in opera ed il consolidamento del materiale, al fine di contenere le spinte idrostatiche della colata. Al contrario invece, nel caso in esame, la zona di aderenza con il fabbricato adiacente non era stata protetta da un pannello in acciaio, bensì da uno in polistirene da 18 cm di spessore, contrapposto, sul lato della nuova costruzione, ad un cassero puntellato per contenere la spinta del calcestruzzo.
Tra l'altro, a conferma della correttezza del rilievo effettuato dal consulente, era emerso che lo stesso direttore dei lavori, nel procedere alla messa in sicurezza per il prosieguo delle operazioni di cantiere, aveva suggerito come procedura più adatta, l'aggiunta di un cassero verso la costruzione adiacente al cantiere.
Il consulente del P.M. inoltre, a domanda della difesa, aveva ammesso che le prescrizioni d'opera contenute nella citata tavola della denuncia dei cementi armati prevedevano corrette modalità di getto del calcestruzzo, imponendone lo sversamento da un'altezza massima di 60 cm.
Quanto alla posizione della coordinatrice imputata, il primo giudice aveva ritenuto provato l'addebito elevato alla stessa, in quanto le modalità di realizzazione del muro in cemento armato, in aderenza al fabbricato confinante avrebbero dovuto essere opportunamente illustrate nel piano di sicurezza e coordinamento (PSC), nonché verificate nella loro concreta esecuzione, con opportune azioni di coordinamento e controllo. In tale documento, al contrario, non vi era alcuna previsione riguardante le modalità di getto del calcestruzzo e di valutazione del conseguente rischio per la statica dell'edificio adiacente; così pure nessuna previsione del medesimo rischio e di eventuali precauzioni era stata inserita nel piano operativo di sicurezza (POS).
La Corte d'Appello aveva quindi confermato il giudizio di responsabilità della coordinatrice richiamando, per condivisione, gli argomenti contenuti nella sentenza di primo grado.
L’imputata ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata per alcune motivazioni. Con il primo motivo ha censurata, per vizio motivazionale e violazione di legge, l'erronea affermazione della sussistenza di una sua posizione di garanzia nonché della colpa e del nesso eziologico tra la condotta colposa a essa ascritta e l'evento. Secondo la stessa la sentenza di appello avrebbe erroneamente trascurata l'argomentazione difensiva secondo cui, se l'impresa subappaltatrice, nel procedere alla gettata di cemento, si fosse attenuta alle prescrizioni del progettista e direttore dei lavori della struttura in cemento armato, il crollo del muro di tamponamento dell'edificio adiacente non si sarebbe verificato. La conclusione del resto era è stata asseverata dallo stesso consulente del pubblico ministero il quale ha dato risposta affermativa alla domanda posta dalla difesa sulla idoneità delle prescrizioni già previste nelle tavole allegate alla denuncia dei cementi armati, redatta dal progettista strutturista, che imponevano di procedere alla gettata del calcestruzzo per strati di 60 cm, rispettando il tempo di attesa, affinché ciascun strato si consolidasse prima di procedere alla colata di quello successivo. Da tale affermazione la Corte avrebbe dovuto ricavare che le prescrizioni già esistevano ed erano adeguate e che il crollo era avvenuto per il loro mancato rispetto dà parte dell'impresa esecutrice, ed inoltre per l'omesso controllo da parte del direttore dei lavori e del responsabile di cantiere. Erroneo, inoltre, era risultato, secondo la difesa, l'addebito di non aver contemplato nel PSC la valutazione dei rischi connessi alla edificazione dei muri in aderenza e di non aver vigilato sulla loro esecuzione.
Il compito del CSP, ha sostenuto la difesa dell’imputata nel ricorso, è quello di prevenire e neutralizzare, attraverso la redazione del PSC, i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, derivanti dalla presenza in cantiere di più imprese. Lo stesso ha funzioni di alta vigilanza che si esplicano prevalentemente mediante procedure e non mediante poteri o doveri di intervento immediato; egli deve apprestare le misure necessarie per prevenire il cosiddetto rischio generico relativo alle fonti di pericolo riconducibile all'ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative e alla convergenza in essa di più imprese attraverso la predisposizione del PSC.
Tale compito era stato perfettamente adempiuto dall’imputata, come dimostrato dal fatto che nessuna contestazione, circa la violazione delle norme antinfortunistiche, le era stata mossa. Esulava, invece, dai suoi doveri la prevenzione dei rischi specifici propri dell'attività delle singole imprese presenti in cantiere, di competenza del datore di lavoro, come pure il rischio specifico professionale, connesso alle prestazioni specialistiche di dettaglio, di volta in volta necessarie in cantiere.
Ad avviso della difesa della ricorrente, pertanto, esulavano dalla posizione di garanzia a suo carico e dal correlativo obbligo di agire le prescrizioni relative alle lavorazioni specialistiche di dettaglio in cui è riconducibile la gettata del calcestruzzo. Trattasi infatti di competenza tecnica del progettista dei cementi armati che ha predisposto, in completa autonomia, le relative procedure, sintetizzandole nelle prescrizioni contenute nella tavola allegata alla denuncia dei cementi armati, in cui la stessa non si sarebbe mai potuta ingerire.
Il secondo motivo di ricorso ha riguardato l'erronea affermazione della sussistenza del nesso causale e della prevedibilità dell'evento. Ad avviso della difesa della ricorrente i giudici di merito non avevano dato risposta al quesito se l'evento, per come in concreto verificatosi, sarebbe stato impedito, con probabilità vicina alla certezza, laddove l'agente avesse tenuto il comportamento doveroso contestato. Anche se la coordinatrice avesse riprodotto nel PSC le prescrizioni contenute nelle tavole allegate alla denuncia dei cementi armati, infatti, il crollo del muro non sarebbe stato comunque impedito, essendo stato acclarato che l'evento si era verificato proprio a causa dell'imprevedibile loro inosservanza da parte della ditta che aveva effettuata la gettata di calcestruzzo dall'altezza di metri 1,55, e quindi da una quota superiore di oltre il doppio rispetto limite prescritto dallo strutturista; inosservanza ricadente sotto la sfera di controllo del direttone dei lavori e non del CSE a cui spetta una funzione di alta vigilanza che, secondo giurisprudenza costante, non può estendersi ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione. Comune ai motivi sopra esposti dalla ricorrente, ha osservato la suprema Corte, sta innanzitutto la censura concernente la ravvisabilità di una posizione di garanzia del coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori, connessa al rischio di crollo in concreto verificatosi nell’evento.
I giudici di merito avevano formulato un duplice addebito, postulando che la coordinatrice non avesse inserito nel PSC la prescrizione relativa alle corrette modalità di gettata del calcestruzzo e che poi avesse omesso il controllo sull'andamento delle lavorazioni. L'ampio raggio dell'ascrizione ha osservato la suprema Corte, ha chiamato in causa il complessivo ruolo del coordinatore nella progettazione e nella esecuzione dell'immobile e in particolare l'obbligo di predisposizione del PSC e quello di verificare l'attuazione delle misure in esso previste.
La giurisprudenza della Corte di legittimità, ha osservato la Sezione IV, è giunta a precisare il ruolo del coordinatore nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili che prevedano il concorso di più imprese esecutrici, nel senso che il medesimo ricopre una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, spettandogli compiti di "alta vigilanza", consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS e ha citato in merito quale precedente quanto contenuto nella sentenza n. 44977 del 07/11/2013 della IV Sezione penale, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo " Sui limiti delle responsabilità del responsabile dei lavori nei cantieri".
L'alta vigilanza della quale fa menzione la giurisprudenza della Corte di legittimità, però, lungi dal poter essere interpretata come una sorta di contrazione della posizione di garanzia, indica piuttosto il modo in cui vanno adempiuti i doveri tipici. Mentre le figure operative sono prossime al posto di lavoro ed hanno quindi poteri-doveri di intervento diretto ed immediato, il coordinatore opera attraverso procedure; tanto è vero che un potere-dovere di intervento diretto è previsto per tale figura solo quando constati direttamente gravi pericoli (art. 92, comma 1 lett. f) del D. Lgs. n. 81/2008. Parallelamente, l'accertamento giudiziale non dovrà quindi ricercare i segni di una presenza diuturna, ma le tracce delle azioni di coordinamento, di informazione, di verifica, e la loro adeguatezza sostanziale. La sua opera è connessa alla sicura organizzazione complessiva del cantiere, con ciò intendendosi la conformazione dell'opera, dell'area di cantiere e della sequenza delle lavorazioni, tenuto conto anche ma non esclusivamente del rischio da interferenze, e alle necessità della sicurezza dei lavoratori.
Ciò premesso la suprema Corte è passata a esaminare i rilievi mossi dalla ricorrente. La stessa, con riferimento alle modalità di getto del calcestruzzo rispetto alle indicazioni fornite dal progettista, ha sostenuto che non si può rimproverare al coordinatore di non aver ribadito nel PSC una regola cautelare concernente un rischio specifico, che era stata già rivolta direttamente al datore di lavoro della ditta esecutrice, tenuto ad eseguire il getto stesso secondo il progetto strutturale nella sua disponibilità e che appunto prevedeva espressamente la prescrizione atta a prevenire il crollo. Entrambi i giudici di merito, ha inoltre osservato la Corte di Cassazione, avevano erroneamente dato per scontato che il governo di quel rischio eminentemente riferito alla fase esecutiva (crollo del muro a causa della gettata di calcestruzzo, senza l'osservanza della cautela già indicata in progetto) competesse alla coordinatrice della progettazione e della esecuzione. Il rischio, invece, come giustamente contestato dalla difesa, era specifico perché attinente ad una lavorazione affidata alle particolari cure del datore di lavoro della ditta esecutrice della gettata di calcestruzzo, trattandosi di un intervento settoriale che non presentava ulteriori profili di interazione, oltre a quelli già considerati e regolamentati nel progetto strutturale e nelle tavole ad esso allegate, e non aveva riguardato direttamente la sfera di coordinamento affidata alla coordinatrice né necessitava di alcuna previsione di coordinamento, non involgendo ulteriori profili interferenziali.
Secondo la suprema Corte inoltre, in ordine alla fase esecutiva, ha colto nel segno la censura proposta dalla ricorrente la quale, dopo aver richiamato la definizione di "alta vigilanza" spettante al coordinatore, ha osservato che non poteva pretendersi dalla stessa un controllo puntuale, momento per momento, della singola attività lavorativa, tale da consentire l'immediata percezione della isolata inosservanza della regola cautelare ed eventualmente bloccarne l'esecuzione spettando invece effettivamente il puntuale e stringente controllo, momento per momento, al datore di lavoro ed al direttore dei lavori, in ragione della loro necessaria presenza e vigilanza continuativa in cantiere, finalizzate a prevenire un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, eseguiti discostandosi dalle modalità esecutive previste nelle tavole più volte richiamate.
Come emerso dalle decisioni di merito, infatti, il crollo si era verificato a causa dello sversamento della malta cementizia da una quota superiore a quella prevista in progetto, con evidente aumento della pressione della colata di cemento sulla parete, e senza attendere il consolidamento del primo strato, indicato prudenzialmente in progetto con un'altezza di centimetri 60; si era verificato, quindi, a causa di errori di esecuzione di specifici lavori che esulavano dall'area di rischio interferenziale gestita dalla coordinatrice per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione, inerente pur sempre alla materia della prevenzione degli infortuni sul lavoro, e non estesa al versante del controllo, momento per momento sulla corretta esecuzione di singole lavorazioni adeguatamente regolamentate nel progetto di edificazione.
Essendo apparso fondato, in conclusione, il motivo diretto a dimostrare l'illogicità della motivazione per non aver ritenuto che, sulla base delle cennate considerazioni, il rischio concretizzato esulava dalla posizione di garanzia riferibile all’imputata, in qualità di coordinatrice della progettazione e della esecuzione, la Corte di Cassazione ha annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti della stessa per non aver commesso il fatto.
Gerardo Porreca
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Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0 | 28/10/2024 (05:54:14) |
Questo è il tipico procedimento giudiziario nato grazie alla incompetenza di funzionari dell'ente di vigilanza, Procura e CT del PM unito al solito approccio ideologico dove i citati soggetti si sentono "paladini a difesa di un bene costituzionalmente tutelato" che li autorizza a "pescare a strascico" tra gli attori di cantiere. Sono passati 14 anni dalla "svolta" che ha avuto la Cassazione Penale riguardo il perimetro delle responsabilità del CSE e, nonostante ciò, si vedono ancora casi del genere. In merito a quanto proposto da Porreca riguardo una revisione del Titolo IV, questa difficilmente ci sarà in quanto i sindacati vedranno ciò, ed a prescindere, come una riduzione delle tutele dei lavoratori e le imprese vedranno tale proposta come un tentativo di "fuga" dalle co-responsabilità del CSE con ricadute sulle coperture assicurative delle stesse. In merito alle proposte di modifiche ed al ruolo del CSE, basta leggere quanto pubblicato dal sottoscritto il 7 settembre 2016 sul CSE, il 23 luglio 2021 e il 22 ottobre 2021 su Puntosicuro. |
Rispondi Autore: P - likes: 0 | 28/10/2024 (08:34:38) |
Il CSE non deve essere presente puntualmente in cantiere. L’obbligo ed i nuovi compiti del preposto sono stati introdotti per un controllo puntuale in cantiere e nelle aziende. Il preposto, come il datore ed il dirigente, devono informare immediatamente il CSE di sopravvenuti rischi in modo che quest’ultimo possa intervenire. Invece, puntualmente sanzionano il CSE e/o lo condannano al posto di sanzionare i preposti e datori che non informano il coordinatore di errori commessi (spesso volontariamente) o di fasi lavorative nuove non previste nel cronoprogramma. A volte mi sembra solo una corsa al responsabile in possesso di polizza rc, cosa che non possiede il preposto. Il testo unico va revisionato. Nei cantieri, coloro che spesso mettono a rischio la salute e sicurezza propria ed altrui sono proprio i lavoratori, che mai leggeranno un psc (sempre se lo sanno fare) , preposti compresi , che invece di collaborare con i CSE, remano contro in nome della fretta e comodità nel lavorare. La situazione cambierà quando aumenteranno le sanzioni e le condanne per i preposti. Invece, gli ispettori spesso si dimenticano di loro. Viceversa, rimuovete l’obbligo di designazione del preposto. Tanto nessuno applica l’articolo 19 Una volta un ex funzionario mi disse che a suo avviso l’indirizzo della magistratura nel sanzionare sempre datori e CSE è dovuto ad una tutela delle casse INAIL. Meglio una legge che punisce chi possiede una polizza rc che un’altra che sanziona, e attribuisce di conseguenza responsabilità civili, a lavoratori che ne sono sprovvisti. |
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0 | 28/10/2024 (21:14:59) |
Non comprendo quale sia il nesso logico tra l'assoluzione del CSE e l'ipotesi di revisionare l'articolo 92 del D.Lgs. n. 81/2008. Se è stato assolto significa che non ha violato l'articolo 92. E dunque per quale motivo revisionarlo? Reviaionarlo per favorire i CSE che viceversa tale articolo non rispettano? |
Autore: Giovanni Bersani | 29/10/2024 (07:28:27) |
L'autore dell'articolo lo spiega bene: revisionare l'art.92 per evitare queste diverse interpretazioni, con grandi problemi per i Coordinatori... Il nesso logico non è con l'assoluzione soltanto, ma con tutto l'iter giudiziario che in questo caso, per fortuna, si è concluso così. |
Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0 | 29/10/2024 (08:04:26) |
Dubini, proprio per evitare che un funzionario di un ente di vigilanza o un CT che lavora solo per le Procure e che deve sempre dare un appiglio al PM per mangiare, interpreti in modalità cinofallica quanto mal scritto dal legislatore, animato sia da incompetenza che da furore ideologico, evitando sia costi per chi è erroneamente coinvolto che per la Collettività. |
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0 | 29/10/2024 (14:03:24) |
L'articolo 92 del D.Lgs n. 82/2008 è intoccabile perché recepisce la direttiva CE 57/1992. Non saperlo, o fare finta di non saperlo è poco professionale. DIRETTIVA 92/57/CEE DEL CONSIGLIO del 24 giugno 1992 riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili (ottava direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) (GU L 245 del 26.8.1992, pag. 6) Articolo 6 Realizzazione dell’opera: compiti dei coordinatori Durante la realizzazione dell’opera, il o i coordinatori in materia di sicurezza e di salute designati conformemente all’articolo 3, paragrafo 1,: a) coordinano l’attuazione dei principi generali di prevenzione e di sicurezza: — al momento delle scelte tecniche e/o organizzative, onde pianificare i vari lavori o fasi di lavoro che si svolgeranno simultaneamente o successivamente; — all’atto della previsione della durata di realizzazione di questi differenti tipi di lavoro o fasi di lavoro; b) coordinano l’applicazione delle disposizioni pertinenti, al fine di assicurare che i datori di lavoro e, ove ciò sia necessario per la protezione dei lavoratori, i lavoratori autonomi: — applichino con coerenza i principi di cui all’articolo 8, — applichino, quando è necessario, il piano di sicurezza e di salute di cui all’articolo 5, lettera b); c) eventualmente adeguano o fanno adeguare il piano di sicurezza e di salute di cui all’articolo 5, lettera b) e il fascicolo di cui all’articolo 5, lettera e), in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute; d) organizzano tra i datori di lavoro, compresi quelli che si succedono nei cantieri, la cooperazione ed il coordinamento delle attività in vista della protezione dei lavoratori e della prevenzione degli infortuni e dei rischi professionali nocivi alla salute, nonché la loro reciproca informazione, come previsto all’articolo 6, paragrafo 4 della direttiva 89/391/CEE integrandovi, se necessario, i lavoratori autonomi; e) coordinano il controllo della corretta applicazione delle procedure di lavoro; f) adottano le misure necessarie affinché soltanto le persone autorizzate possano accedere al cantiere. |
Rispondi Autore: Giovanni Bersani - likes: 0 | 29/10/2024 (21:48:31) |
Auspicare in senso ampio che venga modificato un art. che suscita malintesi (come ha scritto l'autore Porreca) non vuol dire entrare nel merito tecnico-giuridico di tale possibilità come invece fa lei col suo intervento, che è però appunto più specifico. E se così non fosse, allora gli sta direttamente dando del "poco professionale"... E in tutto ciò ha anche sviato le osservazioni dei due che l'hanno (abbiamo) preceduto. E vabbè... Andiamo avanti confidando nell'utilità dei commenti :) |
Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0 | 30/10/2024 (06:58:47) |
Dubini, una modifica dell'art. 92 non viola assolutamente i contenuti minimi della direttiva 92/57/CEE. Nel provvedimento di recepimento della 92/57/CEE l'articolo che più si discosta dalla direttiva è proprio l'art. 92 dove abbiamo trasformato il CSE nello sceriffo di cantiere, in un UPG onorario o supplente con la "perla" prevista nel secondo periodo della lettera e) del comma 1 dell'art. 92. Ricordo, inoltre, che la direttiva attribuisce "obblighi" a committente, RL e datori di lavoro mentre per i coordinatori prevede "compiti" e cioè riserva a queste figure una funzione consultiva. Ovviamente, ciò non vuol dire che essi non possano essere coinvolti in reati d'evento ma la loro rimane una colpa professionale come avviene per il rspp. In Italia, grazie agli incompetenti che ci hanno messo le mani al tempo, abbiamo trasformato i compiti in obblighi.. La cosa spassosa se non fosse tragica per coloro che si proclamano "giuristi" è che inizialmente avevano previsto per la lettera a) del comma 2 dell'art. 92, un obbligo di risultato e cioè che il CSE doveva "assicurare" (obbligo di risultato) la condotta di altri soggetti rispetto l'applicazione del PSC e cioè si chiedeva al CSE di essere garante della condotta penalmente rilevante di un altro soggetto, il tutto in barba all'art. 27 della Costituzione visto che la responsabilità è personale. Da costore che avevano queste grandi competenze discende il testo del capo I del Titolo IV e in particolare dell'art. 92. Negli anni si sono proposte modifiche all'intero Titolo ma so alcune sono state prese in considetazione per i motivi che dicevo prima. Quindi non facciamoci molte illusioni su possibili cambiamenti. Cambiamenti che non ci saranno non certo perché andremmo a violare i contenuti minimi della direttiva 92/57/CEE |
Rispondi Autore: Gerardo Porreca - likes: 0 | 04/11/2024 (18:24:18) |
Abbiamo già assistito a una sceneggiata del genere e sempre su questo “set” e sempre dopo un mio commento su di una sentenza della Cassazione riguardante la responsabilità o meno del coordinatore per la sicurezza per l’infortunio accaduto a un lavoratore in un cantiere, la n. 10136 del 16/3/2020 pubblicata sul quotidiano del 6/7/2020. A leggere i commenti sopraindicati sembra di avere assistito a una sorta di processo virtuale nel quale l’imputato sono io, il difensore è Giovanni Bersani, il Pubblico Ministero è Rolando Dubini, e il giudice di turno è Carmelo Catanoso. L’accusa nei miei confronti è stata quella di volere revisionare una disposizione di legge con la quale è stata recepita una Direttiva Europea, che per essere tale secondo l’accusa stessa è intoccabile, e in particolare l’art. 92 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. sugli obblighi del CSE. Il Pubblico Ministero, per rafforzare la propria motivazione, ha riportato testualmente punto per punto le prescrizioni dettate sull’argomento dalla Direttiva 92/57/CEE del Consiglio del 24 giugno 1992, con lo scopo di confrontarle con le corrispondenti disposizioni del legislatore italiano, omettendo però di fare osservare, maliziosamente, che nell’articolo stesso sono state aggiunte rispetto al testo originale delle disposizioni che hanno sostanzialmente modificato le funzioni che deve svolgere tale figura professionale in cantiere. Il difensore (Bersani) ha fatto presente che la revisione è stata richiesta dall’imputato con il semplice scopo di rendere più chiara la disposizione in argomento e per consentire che di essa sia data una corretta interpretazione e non certo per annullarla o per favorire il CSE come insinuato dall’accusa. Lo stesso alla affermazione fatta dal PM di non vedere un nesso logico fra la richiesta della modifica e l’assoluzione del CSE, ha replicato che il nesso c’è e non solo con l’assoluzione ma con il lungo iter giudiziario da percorrere per giungere alla stessa. Il Giudice (Catanoso) ha dato ragione alla difesa e ha assolto l’imputato. Il Giudice infatti, constatato che effettivamente l’art. 92 si discosta dalla Direttiva Europea di riferimento, ha sostenuto, rivolgendosi direttamente al PM, che la modifica richiesta dall’imputato non ha violato assolutamente i contenuti minimi della Direttiva stessa. Fine della sceneggiata. Grazie al difensore e al Giudice di merito per la sua saggia decisione con la speranza che tale sceneggiata non venga replicata ancora un volta. Alla fine di tutto, in conclusione, mi è toccato ‘commentare i commenti a un mio commento’ su una sentenza della Corte di Cassazione anche se per inserirli in una immaginaria rappresentazione teatrale. |