La responsabilità dell’infortunio per il crollo di una trave in costruzione
Il caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione in questa circostanza ha riguardato l’infortunio occorso in un cantiere a un lavoratore durante la realizzazione di un opificio industriale, i cui lavori erano stati appaltati e subappaltati a due imprese esecutrici, nel mentre alcuni dipendenti delle imprese stesse stavano lavorando alla realizzazione di una trave a sbalzo come appoggio per la successiva posa in opera di un solaio e a seguito del crollo, durante il getto, del cassero di contenimento del calcestruzzo e della sua struttura di sostegno risultata inidonea a resistere alle sollecitazioni indotte dal getto con successivo investimento del lavoratore che si trovava al di sotto del cassero stesso.
Per l’infortunio, la cui dinamica è ben nota allo scrivente per avere lo stesso partecipato alle indagini del consulente tecnico del PM e presenziato ai suoi sopralluoghi in cantiere nella qualità di consulente tecnico di parte dei legali rappresentanti delle imprese esecutrici giudicati in separato procedimento penale, era stato condannato dal GUP del Tribunale con conferma poi della Corte di Appello il coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione dei lavori il quale è successivamente ricorso alla Corte di Cassazione per l’annullamento della condanna.
Il ricorrente aveva sostenuto, a propria difesa, che l’accaduto non si era verificato a seguito di un rischio interferenziale sottoposto alla sua attività di controllo ma di un rischio cosiddetto specifico, di natura operativa, direttamente rimesso all'appaltatore. L’incidente era infatti avvenuto a seguito del crollo della cassaforma di una trave a sbalzo in costruzione provocato dal versamento del getto di calcestruzzo attraverso l'utilizzo di un secchione metallico agganciato ad una gru in luogo dell'uso di un'autopompa, come invece previsto dal PSC e per il comportamento altresì negligente, imprudente e imperito dello stesso lavoratore infortunato.
La Corte d Cassazione ha comunque ritenute infondate le motivazioni addotte dal ricorrente, non avendo lo stesso fornito una motivazione tecnica tale da far risalire il crollo della struttura al cambio delle modalità del getto del calcestruzzo, e, con riferimento alla sua posizione di garanzia, ha sostenuto che il crollo di una trave in costruzione può ben rappresentare un rischio la cui gestione è di competenza di un coordinatore per la sicurezza durante la progettazione e l'esecuzione dei lavori rientrando tale rischio nella sfera dallo stesso governata.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
La Corte di Appello, in riforma della pronuncia di condanna emessa dal GUP del locale Tribunale, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di un coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione nonché direttore dei lavori in ordine alle contravvenzioni contestategli, in quanto estinte per prescrizione, per l'effetto riducendo la pena inflitta nei suoi confronti, ritenuta la prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche, nella misura di quattro mesi di reclusione, con concessione dei benefici di legge.
All’imputato erano stati contestati i reati di cui agli artt. 110, 40, comma 2, e 589, comma 2, cod. pen. e agli artt. 91, 92, 158, 141, 142, 143 e 144 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, per avere cagionato, in cooperazione colposa con i rappresentanti legali dell’impresa appaltatrice e dell’impresa subappaltatrice, per negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme sulla sicurezza del lavoro, il decesso di un operaio, dipendenze della impresa appaltatrice, avvenuto per violento trauma compressivo del torace e dell'addome, con fratture costali multiple e conseguente lacerazione per scoppio del cuore, del pericardio e del fegato.
In particolare l’infortunio era accaduto nel corso della realizzazione di un opificio industriale nel mentre alcuni dipendenti delle imprese appaltatrice e subappaltatrice stavano lavorando alla realizzazione di una trave a sbalzo come appoggio per la successiva posa in opera del solaio, dopo che era stato allestito per il contenimento del calcestruzzo una cassaforma skydeck di metallo e tavolo in legno collegata alle opere provvisionali in maniera del tutto inadeguata in quanto priva di un sistema di ritenuta dei puntelli di controventature, quindi non in grado di sopportare le sollecitazioni indotte durante le operazioni di getto del calcestruzzo (in violazione degli artt. 141, 142, 143 e 144 del D. Lgs. n. 81 del 2008), in assenza di adeguate previsioni sul piano di sicurezza e coordinamento (in violazione degli artt. 91 e 158 del D. Lgs. n. 81 del 1008) ed in carenza delle necessarie verifiche durante la sua costruzione e della doverosa sospensione dei lavori per inadeguatezza (in violazione degli artt. 92 e 158 del D. Lgs. n. 81 del 1008).
Il lavoratore infortunatosi, impegnato a lavorare insieme ad altri operai sull'ultimo impalcato del ponteggio esterno per la gettata di calcestruzzo nella cassaforma, avendo sentito uno scricchiolio proveniente dall'armatura di sostegno, aveva sospeso la gettata, era quindi sceso dal ponteggio per recarsi nella parte interna del fabbricato ed era salito sull'impalcato di sostegno della cassaforma, allorquando è stato tragicamente investito dal relativo crollo, cadendo conseguentemente al suolo e venendo schiacciato dal materiale delle opere provvisionali.
Avverso la sentenza di condanna l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, deducendo tre motivi di doglianza.
Con il primo ha eccepito una erronea applicazione degli artt. 40, comma 2, e 589 cod. pen., oltre alla contraddittorietà della motivazione per travisamento della prova, lamentando l'insussistenza nella sua condotta della ritenuta violazione della regola cautelare su di lui gravante. A suo dire, infatti, non gli era da addebitare alcun comportamento lesivo delle competenze rimessegli nelle due ricoperte qualifiche di coordinatore per la sicurezza durante la progettazione ( CSP) e di coordinatore per la sicurezza durante l'esecuzione del lavoro (CSE), considerato che, con riferimento a quest'ultimo ruolo, inerente lo svolgimento di funzioni di "alta vigilanza", gli sarebbe spettato unicamente la tutela dal cosiddetto rischio generico, relativo alla generale configurazione delle lavorazioni, e non già dal cosiddetto rischio specifico, di natura operativa, direttamente rimesso all'appaltatore.
Il ricorrente, in ossequio alla interpretazione offertane dalla giurisprudenza di legittimità, ha sostenuto che il cosiddetto rischio generico rifletterebbe il contatto rischioso tra le attività di lavoratori appartenenti a diverse imprese, aspetto che, tuttavia, nel caso di specie non avrebbe assunto nessuna rilevanza, considerato che i lavoratori delle due imprese sarebbero stati tutti insieme a lavorare, in modo sinergico tra loro, con le medesime mansioni e le stesse competenze, alla realizzazione di una stessa opera, e cioè della trave a sbalzo di appoggio per la successiva posa in opera del solaio, così da doversi escludere ogni ricorrenza del cosiddetto rischio interferenziale, direttamente rimesso alla tutela del coordinatore per la sicurezza durante l'esecuzione dei lavori.
Secondo il ricorrente, inoltre, i giudici di merito avrebbero errato per avere omesso di confrontarsi con i contenuti del piano di sicurezza e coordinamento da lui redatto, nell'ambito del quale aveva compiutamente provveduto a descrivere l'opera da realizzare, indicando i rischi di fase, le procedure operative, le misure preventive e protettive, nonché i dispositivi di protezione individuale forniti ai lavoratori occupati in cantiere. In tal maniera quindi lo stesso avrebbe pienamente adempiuto ai compiti rimessigli dalla posizione di garanzia ricoperta, che non prevedeva nessun costante controllo delle attività lavorative espletate da parte dei dipendenti, rimesso invece alla competenza di altre figure professionali (datore di lavoro, dirigente, preposto).
Con altra censura il ricorrente ha dedotto erronea applicazione degli artt. 40, comma 2, e 589 cod. pen., lamentando l'insussistenza della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso, ossia della cosiddetta concretizzazione del rischio. A suo dire, infatti, l'avvenuto versamento del getto di calcestruzzo attraverso l'utilizzo di un secchione metallico agganciato ad una gru, in luogo dell'uso di un'autopompa, come invece previsto dal piano di sicurezza e coordinamento dallo stesso redatto avrebbe rappresentato una condotta del tutto estemporanea e imprevedibile, a lui non comunicata al coordinatore per la sicurezza durante l'esecuzione del lavoro, e perciò del tutto estranea dai compiti di "alta vigilanza" a lui rimessi, con conseguente esonero da ogni sua responsabilità. Il tragico evento era quindi eziologicamente da imputare, secondo lo stesso, in via esclusiva, alla condotta abnorme e imprevedibile perpetrata da parte della vittima che, consapevolmente violando le prescrizioni imposte dal PSC e dal POS, avrebbe del tutto inopinatamente deciso di porsi al di sotto della struttura poi crollata.
Corso online di prima formazione per Responsabile o Addetto al Servizio di Prevenzione e Protezione. |
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso non è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione per cui la stessa ne ha disposto il rigetto. Non è stata ritenuta fondata, in particolar modo, la censura con cui il ricorrente ha diffusamente lamentato l'insussistenza di ogni sua violazione delle regole cautelari sullo stesso gravanti nella ricoperta posizione di CSP e di CSE escludendo, con riferimento a tale ultima qualifica soggettiva, che vi fosse stato alcun contatto rischioso tra lavoratori appartenenti alle diverse imprese, e che, dunque, vi fosse stata la ricorrenza di un rischio interferenziale. Nel suo piano di sicurezza e coordinamento, del resto, aveva provveduto a adempiere a tutti i compiti specifici rimessigli nella posizione di garanzia ricoperta. La censura avanzata nel ricorso è risultata quindi, ad avviso del Collegio, del tutto priva di fondamento ove si faccia riferimento alla logica e congrua motivazione con cui la Corte territoriale ha esplicato gli specifici motivi di configurazione della sua penale responsabilità.
È risultato infatti che tale responsabilità era da ascriversi all’imputato per le sole qualifiche soggettive di coordinatore per la sicurezza durante la progettazione (CSP) e di coordinatore per la sicurezza durante l'esecuzione del lavoro (CSE) e non già per quella di direttore dei lavori, ed erano stati espressamente rappresentati i compiti rimessi alla specifica competenza del CSP e del CSE, anche alla stregua dei dettami interpretativi resi dalla giurisprudenza di legittimità. La Corte territoriale quindi aveva diffusamente esplicato, con motivazione esente da vizio alcuno, come la responsabilità del prevenuto, in ragione della posizione di garanzia ricoperta, fosse da imputarsi all'intervenuta violazione delle norme degli artt. 91 e 92 del D. Lgs. n. 81 del 2018. Richiamandone il relativo contenuto, infatti, era stato esplicato come al CSP sostanzialmente pertenga la redazione del piano di sicurezza e coordinamento, mentre al CSE spetti il compito di controllarne l'applicazione svolgendo una funzione di "alta vigilanza", con procedure riguardanti momenti topici delle lavorazioni.
Alla stregua di tali parametri normativi, pertanto, è apparsa del tutto logica, oltre che tecnicamente corretta, la motivazione con cui i giudici di merito avevano ascritto all'imputato, nelle due qualifiche soggettive rivestite, l'intervenuta violazione delle norme degli artt. 91 e 92 del D. Lgs. n. 81 del 2008, espressamente evidenziando come lo stesso, in ossequio alle emergenze probatorie acquisite, non avesse analizzato, nel ruolo di CSP, la specifica fase di lavoro relativa alla costruzione dei muri perimetrali in calcestruzzo armato e non avesse indicato le relative procedure esecutive, oltre che i nominativi delle imprese esecutrici tenute ad attuare gli apprestamenti, le attrezzature, infrastrutture, mezzi e servizi di protezione collettiva. Era stato evidenziato altresì che lo stesso, nel ruolo di CSE, non avesse verificato con opportune azioni di coordinamento e controllo l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle misure di prevenzione contenute, seppure genericamente, nei piani di sicurezza, e non avesse aggiornato il PSC in relazione ai lavori di costruzione del muro perimetrale in cemento armato e della trave a sbalzo anch'essa in cemento armato, altresì omettendo di verificare sia l'idoneità dei piani di sicurezza che l'applicazione dei criteri di costruzione delle opere provvisionali ivi comprese.
La Corte di Appello poi, diversamente da quanto ritenuto dall'imputato, aveva anche configurata la sua responsabilità penale in ragione dell'omessa sua adozione, nella ricoperta posizione di CSE, di un'adeguata tutela dal rischio interferenziale, del tutto sussistente nel caso di specie. È risultato giudizialmente comprovato, infatti, che al momento del sinistro vi fosse la contemporanea presenza nel cantiere di operai dipendenti sia dalla società appaltante che da quella subappaltante e dunque di lavoratori appartenenti a diverse imprese posti in contatto rischioso tra loro, il che avrebbe dovuto imporre all’imputato, nella sua posizione di garanzia di coordinatore per la sicurezza durante l'esecuzione del lavoro, di adottare le doverose conseguenti cautele, nel caso di specie del tutto omesse.
Del pari non fondato ha ritenuto la suprema Corte anche il secondo motivo di ricorso, con cui l’imputato aveva lamentata l'insussistenza del requisito della prevedibilità e dell'evitabilità dell'evento dannoso, assumendo che il versamento del getto di calcestruzzo mediante un secchione metallico agganciato ad una gru, in luogo dell'autopompa prevista nel PSC, avrebbe rappresentato una scelta estemporanea e non comunicata al CSE, in quanto tale estranea ai suoi specifici compiti di "alta vigilanza". Il Collegio ha infatti rilevato, in termini antitetici, come il motivo eccepito avesse un contenuto palesemente generico e assertivo, non avendo, in particolare, esplicato le ragioni di natura tecnica per cui l'utilizzo del secchione metallico agganciato ad una gru, invece che dello strumento previsto dal piano di sicurezza e coordinamento, avrebbe consentito di escludere la prevedibilità dell'evento, e quindi la concretizzazione del rischio.
La suprema Corte ha inoltre osservato come in ogni modo quella territoriale, al pari del primo giudice, avesse diffusamente elencato, con dettagliata chiarezza, le numerose manchevolezze imputabili al prevenuto che, sia in fase progettuale che in quella esecutiva, avevano eziologicamente determinato la complessiva inidoneità delle opere provvisionali presenti nel cantiere, e poi cedute, rendendo vieppiù evidenti le ragioni di riconoscimento la responsabilità penale dell’imputato. Con valutazione giuridicamente corretta, infatti, la Corte di appello, per come già in precedenza osservato, aveva debitamente rilevato come l'imputato, nella qualità di CSP, non avesse valutato la specifica fase di lavoro in esame, né avesse esplicitato le relative procedure esecutive e, nella qualità di CSE, non avesse verificato e aggiornato le procedure in relazione alla costruzione del muro perimetrale e della trave a sbalzo, peraltro omettendo di verificare la specifica idoneità dei piani di sicurezza.
Infine priva di pregio ha ritenuto la suprema Corte anche la doglianza riferita alla condotta del lavoratore infortunato dedotta da parte del ricorrente, con cui era stata contestata la sussistenza della cosiddetta causalità della colpa, e cioè del nesso causale tra la condotta a lui ascrivibile e la verificazione dell'evento letale, a suo dire causalmente determinato dalla sola condotta abnorme perpetrata dal lavoratore defunto che, consapevolmente violando le cautele imposte dal PSC e dal POS, si era imprevedibilmente posto al di sotto della struttura che l'aveva poi travolto.
Nel caso di specie, infatti, non è dato ravvisare, secondo la Corte di Cassazione, nessuna condotta abnorme riferibile al lavoratore, tale cioè da escludere ogni responsabilità imputabile al prevenuto, essendo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.
In tema di infortuni sul lavoro, in altre parole, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante. E ha ancora sottolineato la suprema Corte che in tema di infortuni sul lavoro, non integra il "comportamento abnorme" idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest'ultimo di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo.
Orbene, di tali principi risulta aver fatto corretta applicazione la Corte di merito, avendo adeguatamente ritenuto che la condotta perpetrata da parte della vittima non potesse assumere quella valenza di imprevedibilità ed abnormità tale da interrompere il nesso di causa esistente tra la condotta colposa dell'imputato e la verificazione del letale evento. E infatti, pur non essendo indubbio, per i giudici di appello, che il comportamento del lavoratore fosse stato particolarmente imprudente, essendosi scientemente posto in una situazione di pericolo, recandosi al di sotto della cassaforma, in quanto ivi attratto da taluni scricchiolii sentiti, è stato, tuttavia, adeguatamente osservato come, nella specie, il lavoratore avesse assunto una condotta conforme al ricoperto ruolo di preposto alla sicurezza, conseguentemente non attivando nessun contegno eccentrico rispetto alle mansioni da lui concretamente svolte. Per come logicamente ritenuto dai giudici di merito, inoltre, comunque si è trattato di un comportamento non esorbitante dalla sfera di rischio governata dalla posizione di garanzia gravante sull'imputato, ed invece da costui non disciplinata, “ben potendo rappresentare il crollo di una trave in costruzione un rischio rientrante nelle proprie competenze di Coordinatore per la sicurezza durante la progettazione e di Coordinatore per la sicurezza durante l'esecuzione del lavoro”.
La Corte di Cassazione ha in conclusione rigettato il ricorso e condannato conseguentemente il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca
Pubblica un commento
Rispondi Autore: Eugenio Roncelli - likes: 0 | 02/09/2024 (07:32:03) |
Resto a guardare questa sentenza, da cui si dedurrebbe che il CSP e poi il CSE debbano verificare se la struttura di sostegno delle opere in lavorazione siano correttamente eseguite. In linea generale, certamente il controllo è dovuto, stante la compresenza di più attori, ma non mi sembra che il calcolo della suddetta struttura sia onere del CSE, in quanto il crollo era dovuto alla specificità dell'opera e non già al coordinamento. Solo dubbi, che altri potranno chiarirmi. |
Rispondi Autore: Giovanni Bersani - likes: 0 | 02/09/2024 (13:26:31) |
Anch'io resto un po' stupìto a una prima lettura. Tuttavia mi pare che vi siano anche vari aspetti di dettaglio non sufficientemente chiari per chi come noi può leggere solo questo articolo di puntosicuro: si parla di "manchevolezze" del CSP/CSE, di "inidoneità delle opere provvisionali"... Difficile giudicare se sono solo sciocchezzuole tirate in ballo per dar contro al CSP/CSE (mi auguro di no) o se sono cose più serie... com'è auspicabile alla luce della sentenza di condanna. |
Rispondi Autore: Marco Jacod - likes: 0 | 02/09/2024 (17:28:26) |
In ogni caso, prima di ogni getto, è compito della Dl strutturale, del Cse e del Csp, verificare che TUTTO sia come da progetto esecutivo e che disposizioni di getto, previste nel Progetto, fasi esecutive, vengano rispettate. Gettare con la pompa sollecita le casserature molto meno che gettare con la benna, per effetto delle forze dinamiche che vengono liberate, nel primo caso in modo costante e prevedibile, nel secondo caso in modo molto piu intenso e breve nel tempo. |
Rispondi Autore: Giovanni Bersani - likes: 0 | 03/09/2024 (06:25:56) |
In senso stretto penso che il CSE debba 'solo' verificare che la DL abbia fatto quanto le spetta, in questo come in altri aspetti, ovviamente tenendo traccia di tutto come sempre. E il CSP non c'entra nulla, salvo carenze nel PSC (come infatti parrebbe essere il caso nella sentenza). |