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Le conseguenze della normativa sulle malattie professionali

Le conseguenze della normativa sulle malattie professionali

Alcuni interventi riflettono sulle conseguenze in questi ultimi venti anni della normativa in materia di salute e sicurezza sugli infortuni lavorativi e sulle malattie professionali. La situazione attuale, i mutamenti e i suggerimenti per il futuro.

Milano, 29 Dic – La normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro - a partire dal D.Lgs. 626/1994 e con riferimento alle leggi successive come il D.Lgs. 494/1996, il  D.Lgs. 81/2008 e le correlate leggi di modifica - ha portato importanti modifiche e cambiamenti.
Benché non sia facile verificarne i risultati, un convegno che si è tenuto il 27 ottobre 2015 a Milano, promosso da diverse associazioni, ha cercato di valutarli, e di comprendere come poter meglio calibrare le future strategie e obiettivi di prevenzione.
 
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Stiamo parlando del convegno dal titolo “A 20 anni dalla 626/1994: quali risultati possiamo valutare?” che si è dunque soffermato a ragionare sui risultati in termini di salute e sicurezza nel lavoro conseguiti in conseguenza delle trasformazioni normative degli ultimi venti anni. Trasformazioni che hanno comportato profonde modifiche nell’assetto istituzionale, nel sistema e nelle responsabilità delle imprese e più in generale nelle modalità e nell’assetto della prevenzione dei rischi lavorativi.
 
A presentare il convegno e queste modifiche è stato un intervento introduttivo a cura di Claudio Calabresi (Società Nazionale Operatori della Prevenzione).
 
L’intervento ha ricordato che l’andamento degli infortuni negli ultimi anni “ha evidenziato un progressivo decremento, non senza criticità, certamente legato anche alle modifiche produttive e negli ultimi anni alla crisi e alla contrazione del lavoro (e c’è da aspettarsi, con l’attenuarsi della crisi, un arresto del decremento e forse un nuovo aumento, di cui sembra ci siano già i segnali)”.
Riguardo invece alle malattie professionali, si indica che tali malattie “sono complessivamente aumentate negli ultimi 7-8 anni, sostanzialmente per il ‘decollo’ delle patologie osteo-artro-muscolo-tendinee (70%), ma è probabile che in qualche tempo si ritorni ad una diminuzione”.
 
Ci saranno mutamenti a breve?
Il relatore ricorda che stiamo assistendo a diverse elementi che potranno indurre nel prossimo futuro a modifiche delle conseguenze del lavoro sulla salute: “le profonde modifiche produttive e dei rapporti di lavoro, con il procedere della terziarizzazione e il progressivo rilevante decremento delle attività manifatturiere, la flessibilità imponente con il frequente cambio di attività e mansioni di un gran numero di lavoratori, la precarizzazione, il non-lavoro, la disoccupazione alternata a lavori instabili, questi anni di crisi”, ….
Mutamenti possono avvenire anche “nella distribuzione e tipologia degli infortuni sia, forse soprattutto, nelle patologie professionali, con una diminuzione dei quadri ‘classici’”. Aumenteranno, infatti, “le patologie psico-fisiche ‘multifattoriali’ di non semplice interpretazione causale, sempre più di confine tra lavoro e vita. Occorre quindi ‘attrezzarsi’ sempre di più per saper ‘leggere’ (e far fronte a) questa probabile futura evoluzione”.
 
Non ci si deve fermare poi agli infortuni e alle malattie professionali...
Ci sono infatti “altri effetti (meno ‘classificati’…) sulla qualità della vita, sulle variazioni biologiche, psico-fisiche nelle varie fasce di lavoratori, sulle patologie che apparentemente non sono tipicamente di origine lavorativa o vengono definite multifattoriali, sulla durata (o attesa) della vita”.
 
Quali problematiche è necessario affrontare?
Riguardo alla popolazione lavorativa di cui occuparsi, il relatore indica che “la popolazione assicurata ‘stimata’ presso l’INAIL è attualmente pari a circa 17 milioni di addetti”, ma “gli occupati stimati dall’ISTAT sono attualmente tra i 22 ed i 23 milioni” e “ci sono poi almeno circa 3 milioni di occupati (forse anche più) che non lavorano in regola”.
In definitiva “i lavoratori tutelati assicurativamente dall’Inail, nei quali si ‘contano’ i danni da lavoro, sono circa il 70% dei lavoratori effettivamente attivi nel Paese”.
Claudio Calabresi, che si sofferma anche sulla presenza di disomogeneità, di diseguaglianze, in tema di diritti dei lavoratori, indica che “occorre potenziare ed accelerare la costruzione di un valido, organico e completo Sistema informativo, e aumentare la disponibilità e fruibilità delle informazioni per le varie categorie di soggetti interessati e coinvolti”.
 
Per approfondire il tema delle conseguenze delle normative in materia di salute e sicurezza sulle malattie professionali, ci soffermiamo brevemente anche sull’intervento “Gli effetti dei cambiamenti ‘normativi’ sulle malattie da lavoro”, a cura di Alberto Baldasseroni (CeRIMP - Centro Regionale Infortuni e Malattie Professionali - Regione Toscana).
 
La relazione si sofferma ampiamente sulla storia del riconoscimento delle malattie professionali (MP) in Italia, a partire dall’Assicurazione obbligatoria contro le Malattie Professionali (RD 13 Maggio 1929, n.928, GU 14 Giugno 1929, n.138), entrata in vigore il 1° gennaio del 1934, ma per l’indennizzabilità delle malattie dal 1° luglio del 1934.
 
Sono poi riportate indicazioni sull’andamento dei riconoscimenti con indennizzo delle 5 più frequenti malattie professionali (ipoacusia; dermatite da contatto ed altri eczemi; affezione dei dischi intervertebrali; malattie dei tendini ed affezioni delle sinoviali, tendini e borse; affezioni dei muscoli, legamenti, aponeurosi e tessuti molli). Indicazioni che mostrano ad esempio, come evidenziato già da Claudio Calabresi, l’aumento delle patologie osteo-artro-muscolo-tendinee e la diminuzione delle ipoacusie nel periodo tra il 1994 e il 2012.
 
Il relatore affronta poi il tema delle nuove patologie e indica anche che gli studi epidemiologici “documentano in maniera robusta che lo stress causa incrementi nella patologia dei lavoratori esposti. Tuttavia i sistemi di monitoraggio delle malattie professionali attualmente esistenti nel nostro paese non sono in grado di cogliere questo fenomeno, dato che sono basati sull’accertamento individuale del rischio e del nesso tra esposizione e malattia”.  E – continua la relazione – “in assenza di sistemi di sorveglianza epidemiologica orientata a seguire (follow-up) il destino di salute di coorti di lavoratori esposti a noxae patogene, quali per esempio lo stress, è difficile che anche nel prossimo futuro si possa disporre di stime accurate dei danni dovuti a questo fattore di rischio”.
 
Riportiamo infine le conclusioni della relazione:
- “per avere un’idea più vicina alla realtà del carico di danni dovuto alle MP è importante uscire dalla ‘gabbia’ del nesso individuale di causalità e dedicare risorse anche a stimare il burden of disease attribuibile al lavoro per decidere priorità e esigenze di salute”. Ricordiamo che con disease burden si può intendere l'impatto di un problema di salute e il Global Burden of Disease è un sistema di misurazione della salute che consente di generare stime sul peso di singoli fattori o gruppi di fattori che sono in grado di orientare politiche e programmi;
- “in attesa di disporre di tali stime è comunque doveroso far buon uso degli strumenti basati sul computo dei casi di malattie per le quali sia stata individuata una causa lavorativa e che sono ormai disponibili per la programmazione e la valutazione del lavoro di prevenzione”.
 
 
Intervento di Claudio Calabresi” (Società Nazionale Operatori della Prevenzione), intervento al convegno “A 20 anni dalla 626/1994: quali risultati possiamo valutare?” (formato PDF, 567 kB).
 
Gli effetti dei cambiamenti ‘normativi’ sulle malattie da lavoro”, a cura di Alberto Baldasseroni (CeRIMP - Centro Regionale Infortuni e Malattie Professionali - Regione Toscana), intervento al convegno “A 20 anni dalla 626/1994: quali risultati possiamo valutare?” (formato PDF, 1.41 MB).
 
 
 
Tiziano Menduto
 
 

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