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Rischio stress: gli strumenti per rilevare la percezione soggettiva

Rischio stress: gli strumenti per rilevare la percezione soggettiva

Una valutazione approfondita dello stress lavoro correlato può essere opportuna in ogni circostanza. Indicazioni, strumenti e suggerimenti per rilevare la percezione soggettiva: focus group, questionari e interviste semi-strutturate.

 
Bologna, 16 Lug – Le indicazioni approvate nel novembre del 2010 dalla Commissione consultiva relative alla valutazione del rischio stress lavoro correlato (SLC) rappresentano solo illivello minimo di attuazione dell’obbligo normativo. Dunque non è preclusa la possibilità di un percorso più articolato e basato sulle specifiche necessità e complessità delle aziende. Anche con riferimento a quanto indicato dalla Organizzazione mondiale della sanità (OMS o WHO, in inglese): la più accurata  valutazione dello SLC si ottiene confrontando e integrando i risultati dei metodi osservazionali con la rilevazione della  percezione soggettiva dei lavoratori.
 
Queste sono le premesse di una relazione che è stata presentata al “ Corso di formazione per Medici Competenti: Rischio da stress lavoro correlato” promosso dal  SIRS (Servizio Informativo per i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza) e dall’Ass. Pol. Salute della  Regione Emilia-Romagna.

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Nell’intervento “Rischi da stress lavoro correlato. Principali strumenti di rilevazione della percezione soggettiva”, a cura di Patrizia Cichella (U.O. PSAL Area Pianura Azienda USL di Bologna) si sottolinea che una valutazione approfondita (VA) dello stress lavoro correlato – benché non possa sostituire la valutazione preliminare (rilevazione degli eventi sentinella, analisi osservazionale dei fattori di contesto e di contenuto del lavoro)  - “può essere opportuna in ogni circostanza”.
Ad esempio - con riferimento anche a quanto segnalato dal Coordinamento Tecnico Interregionale della Prevenzione nei Luoghi di Lavoro - la valutazione approfondita è indicata:
- “quando nella valutazione preliminare vi è incertezza sul livello di rischio da attribuire;
- in caso di forte disaccordo all’interno del team di valutazione ad es. sull’attribuzione dei valori degli indicatori oggettivi;
- se non c’è accordo sugli interventi correttivi da attuare;
- quando vi è incertezza nella verifica dell’efficacia delle misure correttive adottate”. 
E inoltre:
- “è raccomandabile procedere alla verifica di efficacia delle azioni correttive pianificate e attuate entro un anno dalla attivazione anche in caso di particolare complessità degli interventi;
- in ogni caso, se entro due anni non si sono evidenziati miglioramenti, è necessario procedere alla valutazione approfondita (VA);
- la VA va riservata alle partizioni o ai gruppi omogenei in cui le azioni correttive sono risultate inefficaci; 
- scopo della VA è quello di meglio definire e individuare, attraverso la partecipazione e il coinvolgimento diretto dei lavoratori, le azioni correttive;
- è opportuno che lo strumento scelto possieda dimensioni in grado di studiare le criticità emerse nella fase preliminare”;
- i dati risultanti dalla valutazione preliminare devono essere integrati con quelli relativi alla percezione soggettiva dei lavoratori.
 
Veniamo ad alcuni strumenti utilizzabili nella valutazione approfondita: focus group, questionari e interviste semi-strutturate. 
 
Il focus group è uno “strumento di indagine psicosociale di natura qualitativa. Si realizza con un’intervista rivolta ad un gruppo omogeneo di persone per approfondire un tema o particolari aspetti di un argomento. È finalizzato al raggiungimento di un obiettivo di miglioramento secondo indicazioni attendibili”.
Generalmente è guidato da “un moderatore (o meglio da un animatore che conduce la discussione e un osservatore che esamina le dinamiche di relazione del gruppo) che seguendo una traccia più o meno strutturata, propone degli ‘stimoli’ ai partecipanti al fine di stimolare la discussione”.
I partecipanti devono essere “almeno 6/7 poiché un numero inferiore potrebbe inficiare le dinamiche di gruppo e non più di 12/13 persone per evitare dinamiche che spesso tendono a censurare l’intervento delle opinioni contrarie o deboli, non permettendo a tutti i partecipanti di esprimere al meglio le proprie idee”. Un focus group in genere dura da un minimo di 60/90 ad un massimo di 120/180 minuti: “è tuttavia consigliabile pattuire con i partecipanti in via indicativa una durata minima e una durata massima”.
I vantaggi del focus group:
- “confronto diretto con i lavoratori;
- fa emergere gli elementi di criticità ma anche spunti per le misure di miglioramento;
- strumento versatile che può essere adattato ad un ampio ventaglio di possibilità;
- l’interazione tra i partecipanti permette di affrontare direttamente i problemi e approfondirli;
- utile nelle piccole e medie imprese ma si può adattare anche alle aziende di maggiori dimensioni (gruppi omogenei)”. 
 
Nelle interviste semi-strutturate l’intervistatore non utilizza “domande chiuse”, ad esempio come nell’intervista classica.
Altre caratteristiche dell’intervista semi-strutturata:
- “serie di domande che seguono una traccia e adeguate al singolo intervistato;
- partecipazione più attiva dell’intervistato;
- strumento in grado di far emergere dati più precisi e approfonditi dell’intervista classica;
- permette di acquisire indicazioni sulle possibili soluzioni delle criticità riscontrate”. 
 
La relazione si sofferma anche sullo strumento dei questionari, offrendo diverse indicazioni:
- “devono essere validati;
- devono indagare lo stato di benessere o di disagio dei lavoratori ma anche l’organizzazione del lavoro percepita;
- devono essere dedicati nello specifico all’ambiente lavorativo;
- le dimensioni indagate devono essere in grado di coprire tutte le criticità emerse nella valutazione preliminare;
- i questionari utilizzati per la rilevazione dello stress/ disagio lavorativo a livello individuale e/o di gruppo, devono essere in grado di rispondere ai più basilari criteri psicometrici: di validità (misurare effettivamente ciò che si prefigge di misurare); di affidabilità (ripetitività della misura e capacità di letture diversificate in base alle differenze individuali dei rispondenti)”. E
devono essere “provvisti di manuali d’uso e istruzioni per la lettura dei risultati”.
Queste le garanzie di validità del processo valutativo:
- “preliminare informazione dei lavoratori su scopo e modalità di raccolta;
- somministrazione del questionario privilegiando la compilazione supportata;
- garanzia della privacy dei lavoratori;
- non discriminazione dei lavoratori svantaggiati (es. stranieri per problemi linguistici);
- discussione di un report finale riportante dati anonimi collettivi con i gruppi interessati e gli RLS”.
 
In Italia – continua la relazione - sono diffusi “numerosi strumenti di valutazione, ciascuno costruito sulla base di modelli teorici specifici, validati su campioni diversi e, generalmente, tendenti a privilegiare alcune dimensioni organizzative rispetto ad altre”.
Per questo motivo è necessario “scegliere uno strumento adeguato agli obiettivi che ci si prefigge”. 
 
La relatrice si sofferma nel dettaglio su diversi strumenti:
- MOHQ-Questionario Multidimensionale della Salute Organizzativa (F. Avallone, A. Paplomatas): “utilizzo consigliato nell’ambito della Pubblica Amministrazione. Consente di monitorare le dimensioni della salute organizzativa nel contesto lavorativo evidenziando le aree di maggior benessere e quelle di criticità. Fa quindi emergere aspetti organizzativi sui quali è auspicabile un intervento di miglioramento e sviluppo”;
- ERI-Effort Reward Imbalance (J. Siegrist): “secondo il modello teorico di Siegrist, lo stress origina dalla discrepanza tra l’impegno investito nel lavoro e le ricompense, materiali e immateriali, ricevute dal lavoratore. Parte dal presupposto che un contesto di lavoro dovrebbe fornire alla persona una ‘ricompensa’ (reward), in termini di stima, prospettive di carriera, sicurezza lavorativa e stipendio adeguato, in maniera ‘bilanciata’ rispetto agli sforzi prodotti (effort)”. Il concetto “che sottintende questo modello teorico sembra maggiormente indicato a cogliere le condizioni di tensione che si verificano nelle attività intellettuali e dirigenziali”;
- JCQ-Job Content Questionnaire (R. A. Karasek): “il modello teorico di Karasek definisce lo stress lavorativo percepito (Job Strain) come la relazione tra elevata domanda lavorativa (Job Demand) e bassa libertà decisionale (Decision Latidune)”;
- OSI-Occupational Stress Indicator (C.L. Cooper et al.): “il modello di stress, che è alla base del disegno dell’OSI fa riferimento all’interazione di quattro elementi chiave: le fonti di stress, le caratteristiche dell’individuo che può provare l’esperienza di stress, le strategie di coping (modalità di affrontare lo stress)”, gli effetti dello stress a livello individuale e organizzativo. Lo strumento “prevede l’autosomministrazione collettiva ma permette anche l’elaborazione individuale dei dati dei singoli partecipanti”. È l’unico strumento “che tiene conto dell’interfaccia famiglia/lavoro oltre alle strategie di coping”. 
 
La relazione, che vi invitiamo a leggere integralmente, presenta inoltre il documento Inail “ Valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato. Manuale ad uso delle aziende in attuazione del D.Lgs. 81/08 e s.m.i.”, un documento che è una proposta di “percorso metodologico integrato per la valutazione del rischio SLC, valido sia in ambito pubblico che privato”.
Infine vengono riportati i dati relativi ad un indagine sui rischi da SLC in tre call center di Bologna, dati che evidenziano “una realtà piuttosto positiva se paragonata a quanto emerge dall’analisi di alcuni recenti studi inerenti le condizioni lavorative nei call center”.
 
 
 
Rischi da stress lavoro correlato. Principali strumenti di rilevazione della percezione soggettiva”, a cura di Patrizia Cichella (U.O. PSAL Area Pianura Azienda USL di Bologna), intervento al “Corso di formazione per Medici Competenti: Rischio da stress lavoro correlato” (formato PDF, 2.38 MB).
 
 
Tiziano Menduto
 
 
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