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Cambiamenti demografici, invecchiamento attivo e sorveglianza sanitaria

Cambiamenti demografici, invecchiamento attivo e sorveglianza sanitaria

Un intervento ricorda i cambiamenti demografici della popolazione lavorativa e si sofferma sul tema dell’invecchiamento lavorativo. L’invecchiamento attivo, il contenimento dei rischi, la sorveglianza sanitaria e il giudizio di idoneità.

 

Milano, 8 Giu – Alcuni dati del 2012 mostrano come nell’Unione Europea tra il 2019 e 2030 i lavoratori di età tra 55 e 64 anni aumenteranno del 16,2% mentre i più giovani diminuiranno (dal 5 al 15% secondo le fasce d’età). Inoltre la popolazione lavorativa europea “sarà la più anziana della sua storia, in molti paesi la popolazione lavorativa anziana sarà oltre il 30% della forza lavoro”. E se oltre metà dei lavoratori anziani “abbandonano prima dell’età di pensionamento obbligatorio per varie ragioni”, “per supportare la maggior durata della vita in Europa sono urgentemente necessari il miglioramento e il prolungamento delle carriere lavorative”.


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A ricordarlo è un intervento che si è tenuto al seminario “Le sfide della sicurezza inclusiva e l’accomodamento ragionevole” (Milano, 14 dicembre 2017) e che è stato organizzato dal “ Centro per la Cultura della Prevenzione nei luoghi di lavoro e di vita” di Milano e da varie altre realtà (Asl Milano, Inail Lombardia, Ciip, …).

 

I cambiamenti demografici della popolazione lavorativa

Nell’intervento “Invecchiamento e lavoro”, a cura di Tiziana Vai (ATS Milano Città Metropolitana - Servizio PSAL, gruppo di lavoro CiiP), si segnala anche che assistiamo a grandi cambiamenti demografici della popolazione lavorativa. Se in passato si avevano “popolazioni lavorative più omogenee (giovani, con una presenza femminile limitata)”, oggi si va verso “popolazioni lavorative molto eterogenee per età, genere, provenienza, condizioni di salute”.

 

In questa evoluzione c’è la necessità di “superare la concezione del lavoratore come un soggetto ‘neutro’ con caratteristiche ‘standard’” e di sviluppare una “diversa capacità di valutazione dei rischi che tenga conto della specificità individuale”.

Infatti l’approccio neutro “contribuisce al perdurare di lacune sul piano delle conoscenze e ad avere un livello di prevenzione meno efficace”. È un modello che “si è dimostrato inadeguato rispetto al conseguimento dell’uniformità della tutela e, quindi, della riduzione delle diseguaglianze di salute”.

 

Nelle slide dell’intervento si riporta un grafico relativo al contesto socio-demografico e alla dimensione attuale e prospettica del problema, una proiezione della percentuale di popolazione ultra 60enne nel 2012, 2030 e 2050 (UNDESA Department of Economic and Social Affairs of the United Nations Secretariat – 2013):

 

Grafico invecchiamento della popolazione

 

L’invecchiamento attivo e il contenimento dei rischi

Nella relazione, che presenta anche l’ Aging E-book, il Libro d'argento su invecchiamento e lavoro, un libro curato dal gruppo “Invecchiamento e lavoro” della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione ( CIIP), si indica che con l’età si riduce la capacità lavorativa ma non si riducono le richieste lavorative. E si ha:

  • “scarsa compatibilità con molte attività lavorative: circa un terzo dei soggetti di età 62 -67 anni, ha limitazioni funzionali e soffre di almeno una patologia fisica o mentale (indagine Istat sulla Salute 2013);
  • in prospettiva insufficienti risorse economiche per adattare le condizioni di lavoro ai lavoratori con limitazioni funzionali o gravi malattie croniche;
  • per i lavoratori con limitazioni: riduzione della produttività aumento delle assenze per malattia, perdita del lavoro e/o prepensionamento;
  • aumento dei costi sociali (non considerati nella valutazione del bilancio costo-beneficio relativo all’innalzamento dell’età pensionabile)”.

 

Nella relazione si affronta anche il tema dell’invecchiamento attivo.

 

È infatti necessario “trovare il modo di mantenere e promuovere la capacità di lavoro (Ilmarinen 2001, Ilmarinen e Rantanen 1999), cui consegue, oltre ad una migliore qualità della vita, una maggiore produttività e, infine, un pensionamento più soddisfacente con minori costi sociali sia per l’individuo che per la collettività”. In questo senso è bene costruire la «impiegabilità sostenibile» “non oltre i 40-45 anni, privilegiando l’approccio sul ‘lavoratore che invecchia’ più che sul ‘lavoratore vecchio’.

 

La relazione riporta poi alcune indicazioni su invecchiamento fisiologico (“limitazioni funzionali più o meno avanzate che si presentano più frequentemente con il progredire dell’età anagrafica”), invecchiamento associato a malattia (che “riguarda la maggior parte delle persone di età avanzata”) e invecchiamento attivo.

 

L’invecchiamento attivo dovrà “trovare modalità di conciliazione tra le funzionalità residue e l’attività lavorativa: miglioramento delle condizioni di lavoro adattamento o aggiustamento delle postazioni, limitazioni, cambio di mansione, formazione per altre occupazioni compatibili, ricollocazione fino all’accomodamento ragionevole della terminologia ONU sulla disabilità (SIVA, 2015)”.   

 

E per la conservazione della impiegabilità nel tempo occorrono:

  • “posti di lavoro salutari per ogni età;
  • mansioni e condizioni adatte ai lavoratori più anziani;
  • soluzioni per i problemi dell’anziano che risulti parzialmente idoneo o non più idoneo al suo lavoro”.

Ed è l’ approccio multiplo che “orienta verso la gestione di un problema complesso”. 

 

Anche in questo caso rimandiamo alla lettura di alcune tabelle che riportano i livelli di gestione dell’invecchiamento (J. Illmarinen, FIOH, OEM 2001) per l’Unione Europea.

 

In questa situazione, sul piano della gestione aziendale dei rischi, “acquista ancor più importanza la valutazione ed il contenimento di rischi inerenti:

  • l’impegno di lavoro fisico (MMC, sovraccarico cumulativo arti superiori, posture);
  • il microclima severo;
  • rumore e vibrazioni;
  • illuminazione, segnaletica visibile;
  • infortuni da caduta, scivolamento, inciampo;
  • orari e turni notturni;
  • aspetti psicosociali e fattori di contesto e di contenuto inerenti lo stress lavoro correlato”.

 

La sorveglianza sanitaria e il giudizio di idoneità

Nella relazione, che riporta alcune proposte dell’Aging E-book, si ricorda che per la sorveglianza sanitaria, in relazione al tema dell’invecchiamento, è necessario:

  • “superare gli standard minimi della visita periodica e dei giudizi di idoneità (non eludere il problema medicalizzandolo);
  • dotarsi di strumenti di indagine - anamnesi strutturata mirata agli eventi sentinella e organi bersaglio”. 

 

In particolare, il giudizio di idoneità “conferma o ridefinisce la condizione di esposizione a cui può essere sottoposto il lavoratore, ma… spesso si sostituisce agli interventi sulla inidoneità della condizione di lavoro”.

La idoneità con limitazioni “dovrebbe basarsi su:

  • accurata identificazione dei compiti esclusi;
  • progettazione macroergonomica che coinvolge dal top management ai preposti per la ridefinizione della mansione (plausibile e concretamente verificata)”.

Altrimenti, si conclude, “il giudizio viene disatteso, viene assegnata una mansione con analoga esposizione con peggioramento dello stato di salute, si avviano contenziosi e ricorsi che preludono ad un processo di ‘espulsione’”.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica i documenti da cui è tratto l'articolo:

Invecchiamento e lavoro”, a cura di Tiziana Vai (ATS Milano Città Metropolitana - Servizio PSAL, gruppo di lavoro CiiP), intervento al seminario “Le sfide della sicurezza inclusiva e l’accomodamento ragionevole” (formato PDF, 816 kB).

 

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