Un infortunio dovuto alla carenza di sicurezza di una macchina
In tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore di un macchina, nel caso in cui un evento dannoso sia stato provocato dall'inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione o fabbricazione della stessa, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava comunque l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzarla e di adottare in azienda tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio nella sua progettazione o costruzione sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina stessa o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza.
E’ un principio questo che più volte la Corte di Cassazione ha richiamato in precedenti sentenze e che riguarda l’applicazione dell’art. 71 del D. Lgs. n. 81/2008, contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, relativo all’obbligo da parte del datore di lavoro di mettere a disposizione dei lavoratori dipendenti attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza previsti dalle disposizioni legislative vigenti e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto.
Chiamata a decidere su di un ricorso presentato dal responsabile legale di una società condannato nei due primi gradi di giudizio per l’infortunio occorso a un lavoratore che aveva subito gravi lesioni per essere rimasta una sua mano schiacciata dai rulli di un macchinario, la suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha rammentato che, ai sensi dell’art. 71 del D. Lgs. n. 81/2008, è comunque il datore di lavoro che deve garantire che le attrezzature di lavoro che vengono utilizzate nella sua azienda siano sicure e che le stesse conservino nel tempo i loro requisiti di sicurezza, non essendo sufficiente, per ritenere adempiuto l'obbligo di legge, il rilascio, da parte di un organismo certificatore munito di autorizzazione ministeriale, della certificazione di rispondenza ai requisiti essenziali di sicurezza.
Il fatto e l’iter giudiziario.
La Corte di Appello ha integralmente confermata la sentenza, appellata dal legale rappresentante di una società con la quale il Tribunale lo aveva riconosciuto, in qualità di datore di lavoro, responsabile del reato di lesioni colpose gravi nei confronti di un operaio dipendente con violazione della disciplina antinfortunistica condannandolo di conseguenza, considerate le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti all'aggravante, a un mese di reclusione pena sospesa.
L’imputato, delegato in materia di sicurezza, era stato ritenuto responsabile delle lesioni gravi patite dal lavoratore che aveva avuto una mano schiacciata dai rulli di un macchinario messisi in movimento e che stava ripulendo da alcuni residui di lamiera. La macchina, detta "linea di spianatura e taglio trasversale bandellatrice", aveva la zona dei rulli e delle parti in movimento protetta da una grata apribile con un chiavistello priva comunque di un dispositivo di blocco automatico in grado di arrestare il loro movimento all'apertura della grata stessa.
I giudici di merito avevano ritenuto violato l'art. 71, comma 4, lett. a), n. 1 e 2, del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, per avere il datore di lavoro messo a disposizione del lavoratore una macchina non sicura, nel senso appena specificato, ritenendo non rilevante la circostanza, segnalata e documentata dalla difesa, che il macchinario avesse il marchio "CE" e che fosse regolarmente in commercio. I giudici stessi avevano osservato, in particolare, che, essendo stata la macchina acquistata dieci anni prima dell'incidente era obbligo del datore di lavoro, adeguare gli standard di sicurezza nel tempo alla luce dei progressi della tecnologia ed installare dei meccanismi automatici di blocco. Era stata esclusa altresì la esorbitanza del comportamento del lavoratore che, peraltro, chiamato a lavorare con mansioni diverse, il giorno dell’infortunio era intento a svolgere le mansioni che gli erano state in concreto assegnate.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni.
L’imputato, tramite il difensore di fiducia, ha ricorso alla Corte di Cassazione per l’annullamento della sentenza adducendo alcune motivazioni. Lo stesso ha evidenziato in particolare che la Corte di Appello aveva trascurato di prendere in considerazione la richiesta, concordemente avanzata sia dalla difesa che dal Procuratore Generale, pur sussistendone i presupposti, di pronunciarsi sulla particolare tenuità del fatto. Con un secondo motivo il ricorrente ha denunziata una violazione di legge nella parte in cui la norma che lo stesso avrebbe violata (art. 71, comma 4, n. 1 e 2, del D. Lgs. n. 81 del 2008) non prevede che il datore di lavoro abbia l'obbligo di sostituirsi al costruttore nell'installazione di dispositivi di sicurezza non presenti sin dall'origine in macchine marcate "CE". Secondo il ricorrente, infatti, nel caso in esame sarebbe stato esteso l'ambito degli obblighi imposti al datore di lavoro oltre ogni confine di ragionevolezza e di esigibilità con riferimento alla gestione delle macchine essendogli stato addebitato di non avere installato sul macchinario oggetto dell’infortunio un sistema di sicurezza che pacificamente non vi era mai stato, nonostante le rassicurazioni presenti sul libretto di uso e di manutenzione, e avendogli richiesto altresì in sostanza di superare la valutazione del costruttore, che aveva immesso in commercio il macchinario.
Ad avviso del ricorrente, infatti, la lettura corretta dell'art. 71, n. 1 e 2, del D. Lgs. n. 81 del 2008 descriverebbe il compito del datore di lavoro come accessorio ed esecutivo rispetto a quello del costruttore, non già come sostitutivo di esso, dovendo, per dettato di legge, attenersi alle istruzioni d'uso ed al manuale scritti, appunto, dal costruttore. Il riferimento alla "permanenza nel tempo" dei requisiti di sicurezza va riferito necessariamente al mantenimento e/o alla conservazione di quei requisiti che in precedenza erano effettivamente già esistenti e non certo a requisiti che non esistevano fin dall’origine. Se fosse vero il contrario si verrebbe ad imporre al datore di lavoro un obbligo illegittimo, poiché non previsto da alcuna norma, oltre che suppletivo e non già meramente esecutivo-integrativo rispetto a quello fissato del costruttore.
La cosiddetta "direttiva-macchine" (direttiva 2006/42/CEdel Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 maggio 2006) del resto, ha aggiunto il ricorrente, fa carico al costruttore, e non ad altri, l'obbligo di accertare che il prodotto immesso sul mercato presenti i requisiti di sicurezza, attestandolo attraverso l’apposita marcatura "CE", essendo invece l'acquirente un mero beneficiario che fa affidamento sulla marcatura stessa. L'eventuale alterazione della macchina peraltro, ha evidenziato ancora il ricorrente, anche se effettuata per ragioni di sicurezza, avrebbe fatto venire meno l'originaria conformità. La mancanza originaria dei requisiti di sicurezza quindi è da addebitare di conseguenza solo al costruttore, non potendo l'acquirente intervenire né avendo le competenze per farlo. Il datore di lavoro si renderebbe invece responsabile nel caso in cui le criticità sulla macchina siano insorte durante l'epoca di governo del rischio sottoposto al suo controllo.
Il ricorrente ha evidenziato infine che comunque si era preteso da lui la conoscenza e la correzione di un vizio occulto della macchina, vizio tra l’altro neanche evidenziato dal costruttore nel libretto d'uso e manutenzione della macchina. Nel manuale infatti, era stato indicato che "l'apertura di ogni barriera comporta l'arresto prima che l'operatore arrivi nella zona pericolosa o comunque in luogo tale da costituire elemento di collusione" e, poiché l'espressione "ogni barriera" non poteva che riferirsi anche al cancelletto aperto dal lavoratore prima del sinistro nel libretto, secondo il ricorrente, erano state fornite delle indicazioni fallaci che avevano portato a pensare che anche il cancelletto di cui all’infortunio fosse munito di un interblocco meccanico ovvero fotoelettrico collegato alla sua apertura. Tra l’altro la presenza di quel difetto del macchinario non era mai apparsa in precedenza.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso essendo risultata documentata l’avvenuta richiesta di applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto sia da parte della difesa che da parte del P.G. e ha sottolineato che la stessa fosse stata totalmente trascurata dalla Corte di Appello. Per quanto riguarda gli ulteriori motivi di ricorso, la suprema Corte ha richiamato il severo principio di diritto secondo il quale il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità.
La stessa ha ricordato altresì che “in tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l'evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori”. A detta regola, ha fatto presente altresì, può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza, cosa che non si è verificata nel caso in esame.
Le censure difensive presentate, ha sottolineato ancora la Sez. IV, che sono state riferite alle indicazioni contenute nel libretto di istruzioni, pur non essendo irragionevoli, hanno trascurato di attribuire il giusto peso alla centrale importanza nel caso in esame del tipo di dispositivo di sicurezza omesso e alla visibilità di un meccanismo di segregazione delle parti mobili e pericolose della macchina (rulli di metallo in movimento) rispetto agli arti dei lavoratori, che era affidato ad un chiavistello, agevolmente apribile, dovendosi provvedere con altra manovra su un distante meccanismo per interrompere l'erogazione di corrente, e non già ad un blocco di tipo automatico, che sarebbe stato oggettivamente più sicuro. Nel caso di specie, quindi, le parti in movimento sono risultate protette in maniera insufficiente cioè da un meccanismo già esistente, sì, ma facilmente eludibile, come nel caso in esame, solo agendo su un chiavistello, con ogni evidenza agevolmente apribile, rendendosi necessario inoltre lo spegnimento manuale del macchinario con altra manovra.
I giudici di merito avevano escluso inoltre che nel caso in esame si potesse parlare di un vizio occulto e avevano sottolineato che l'art. 71, comma 3, del D. Lgs. n. 81 del 2008, imponendo l'obbligo di “ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro”, hanno sostanzialmente imposto al datore di lavoro di verificare e garantire la persistenza nel tempo dei requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro messe a disposizione dei propri dipendenti, non essendo sufficiente, per ritenere adempiuto l'obbligo di legge, il rilascio, da parte di un organismo certificatore munito di autorizzazione ministeriale, della certificazione di rispondenza ai requisiti essenziali di sicurezza.
Ritenendo, in definitiva, il ragionamento fatto dai giudici di merito logico e immune da vizi rilevabili in sede di legittimità, con particolare riferimento all'obbligo del datore di lavoro che, trascorsi dieci anni dall'acquisto, avrebbe dovuto adeguare gli standard di sicurezza alla luce dei progressi della tecnologia e quindi installare dei meccanismi automatici di blocco, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso riferito alla sicurezza sul lavoro e ha invece annullata la sentenza impugnata limitatamente all'omessa valutazione sulla richiesta causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. con rinvio sul punto ad altra Sezione della Corte di Appello di provenienza.
Gerardo Porreca
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