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Sulla responsabilità del committente per l’infortunio

Sulla responsabilità del committente per l’infortunio
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

14/11/2023

La responsabilità del committente per un infortunio durante i lavori commissionati non è esclusa sul rilievo che destinatario degli obblighi antinfortunistici é il datore. Occorre verificare l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento.

 

La responsabilità del committente di un’opera edile per gli infortuni verificatisi in occasione dei lavori dallo stesso commissionati non è esclusa sulla base del mero rilievo formale per cui il destinatario degli obblighi antinfortunistici è il datore di lavoro; occorre infatti verificare, in concreto, quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia degli eventi, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole e immediata percepibilità da parte dello stesso di situazioni di pericolo.

 

Un indirizzo questo già sostento la la suprema Corte in precedenti sue espressioni e che ora ha richiamato in questa sentenza dovendo decidere sul ricorso di un committente condannato nei due primi gradi di giudizio per essere stato ritenuto responsabile, in cooperazione colposa con il datore di lavoro, dell’infortunio di un lavoratore che, impegnato in lavori di manutenzione di un fabbricato, era caduto da una scala inidonea, privo della informazione e formazione sui rischi connessi all'attività che si apprestava ad eseguire nonché dei necessari DPI, riportando lesioni personali dalle quali era derivato il suo decesso.

 

Il ricorso, basato sull’osservazione da parte dell’imputato che non era stata provata la sua posizione di committente, che non vi erano inoltre lavori edili in corso al momento dell’accaduto e che era stato fatto invece solo un sopralluogo per programmare i lavori a farsi, è stato ritenuto inammissibile da parte della suprema Corte che lo ha pertanto rigettato condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a rifondere alle parti civili le spese dalle stesse sostenute nonché al pagamento dell’ammenda prevista alla Cassa delle ammende.

 


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Il fatto e l’iter giudiziario

La Corte di Appello ha confermata la pronuncia con la quale il Tribunale aveva dichiarato il committente di un’opera edile responsabile del reato di cui all'art. 113 c.p., all’art. 589 c.p., commi 1 e 2, e all’art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008 perché, con colpa generica derivante da negligenza, imprudenza e imperizia, nonché specifica per violazione dell’art. 90, comma 9, lett. a) dello stesso D. Lgs., in cooperazione colposa con un datore di lavoro, non aveva impedito a un dipendente dello stesso con mansioni di operaio edile e privo delle necessarie informazioni e formazione sui rischi connessi all'attività che si apprestava ad eseguire e dei necessari DPI (casco e cintura di sicurezza), di salire sul tetto di un locale deposito di proprietà del committente per eseguirvi un intervento manutentivo, utilizzando a tal fine una scala in alluminio, dallo stesso fornita, non idonea in quanto priva di gommino in plastica antiscivolo. L’operaio, in conseguenza dell'uso di tale scala, era precipitato al suolo avendo la stessa perso stabilità, riportando a seguito dell'impatto con il suolo delle lesioni personali dalle quali era derivato il suo decesso.

 

In merito alla dinamica dei fatti era stato accertato, in particolare, che il giorno dell’evento il lavoratore era uscito dalla propria abitazione per recarsi, unitamente al suo suo datore di lavoro, di fatto da 20 anni e all'epoca intonachista in pensione, presso l'area agricola di proprietà del committente in quanto quest'ultimo gli aveva affidato lo svolgimento di alcuni lavori edili. Un ispettore dell’Organo di Vigilanza, allertato dai Carabinieri, recatosi sul posto, aveva rinvenuto l’operaio riverso sul pavimento nelle immediate adiacenze di un locale adibito a deposito, alto m. 3,50, nonché una scala metallica priva dei dispositivi antiscivolo e un secchio contenente attrezzature per l'edilizia.

 

Il giudice di primo grado, quindi, ha ritenuto provato che la caduta dalla scala si fosse verificata per la mancanza di tre dei quattro suoi piedini e tale circostanza è stata valutata senza dubbio come indicativa del fatto che la vittima fosse caduta dall'alto mentre utilizzava la scala stessa. I giudici di appello invece hanno considerato irrilevante la circostanza che la caduta fosse stata effettivamente cagionata dallo scivolamento della scala a causa della mancanza di piedini antiscivolo, essendo comunque emerso che il lavoratore, al momento del sinistro, fosse completamente privo di dispositivi di sicurezza, quali il casco protettivo e la cintura di sicurezza, nonostante fosse impegnato in un'attività svolta ad alcuni metri da terra.

 

I giudici di merito hanno quindi confermato la responsabilità del committente ritenendo privo di fondamento il motivo di appello secondo il quale quest'ultimo avesse convocato il datore di lavoro e il lavoratore nella sua area agricola esclusivamente al fine di effettuare un sopralluogo e di verificare i lavori da svolgersi sul manufatto in oggetto, sia sulla base di quanto emerso da una prova testimoniale sia sulla base della prova logica secondo la quale il fatto che il committente e il datore di lavoro avessero lasciato sul luogo dell'intervento edile il lavoratore, mentre entrambi si erano allontanati al fine di andare a prelevare una terza persona che avrebbe dovuto eseguire con loro il lavoro, non avesse altra spiegazione, se non nell'indicazione all’operaio stesso di iniziare l'esecuzione dei lavori.

 

Il ricorso per cassazione e le motivazioni

Il committente ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza con un unico motivo per mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sua responsabilità penale. Secondo la difesa, il richiamo nella sentenza impugnata alle modalità di uso della scala di cui all’art. 113 del D. Lgs. n. 81/2008 non poteva riguardare l’imputato trattandosi di prescrizione strettamente inerente al ruolo datoriale, non estensibile alla posizione di un committente.

 

Quanto alla violazione di cui all’art. 90 del D. Lgs. n. 81/2008, circa l'inidoneità dell'impresa appaltatrice prescelta, la difesa ha sostenuto che tale articolo non fosse applicabile al caso concreto non risultando assolutamente provate la posizione di committente e lo svolgimento sul luogo dell'infortunio di un'attività edile in corso. La Corte Territoriale infatti, secondo la difesa, era pervenuta a questa convinzione facendo appello alla prova logica in assenza di evidenze che contrastassero l’assunto di pensiero secondo il quale la terza persona che i due avrebbero prelevato quel giorno non avrebbe dovuto eseguire il lavoro ma semplicemente visionare il manufatto per sviluppare un preventivo; attività che non implicava l'uso di scale, trabattelli o altri strumenti per lavorare in quota, essendo sufficiente la presa visione del piccolo manufatto.

 

I giudici di merito, inoltre, secondo quanto sostenuto nel ricorso, hanno dato per acquisito che la scala fosse entrata nella dinamica dell'infortunio e non hanno dato invece alcun rilievo alla circostanza che il datore di lavoro e il suo dipendente non avessero portato con sé alcuna scala o trabattello o impalcatura, segno chiaro che non fosse previsto alcun lavoro in quota; è di comune esperienza del resto, ha aggiunto la difesa, che ogni artigiano porti con sé un piccolo compendio di attrezzi per l'eventualità che servano. La scala si trovava nei pressi del locale né la sua presenza in quel posto avrebbe potuto innescare nell’imputato il ragionevole dubbio che la stessa potesse essere incautamente e inopinatamente utilizzata dall’operaio sapendo che nessun lavoro doveva essere svolto sul tetto del locale; la scelta del lavoratore di prendere la scala presente sul posto e di salirvi sopra quindi eccedeva tutto ciò che avrebbe potuto essere ragionevolmente previsto e preventivato.

 

Mancando in definitiva ogni prova in ordine alla fase del conferimento dell'incarico e alla sussistenza di qualsivoglia relazione tra l'incarico presunto e la condotta del lavoratore infortunatosi, il ricorrente ha quindi concluso chiedendo l'annullamento della sentenza con la quale era stato condannato.   

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato da parte della Corte di Cassazione. Nel caso in esame, ha osservato la stessa, le due conformi sentenze di merito hanno descritto con dovizia di particolari l'antefatto e lo stato dei luoghi dopo la caduta del lavoratore dovendosi escludere, data l'evidenza dei fatti, che i giudici abbiano tralasciato di sviluppare il discorso argomentativo che ha condotto a ritenere provato che l'evento si fosse verificato in un contesto lavorativo di lavori edili commissionati dal proprietario del terreno in cui è avvenuto il decesso. Le dichiarazioni testimoniali, in particolare, avevano introdotto nel giudizio la prova che il lavoratore fosse stato informato dal datore di lavoro che l'indomani avrebbe dovuto svolgere lavori edili e si era preparato facendosi portare dal figlio una "mazzetta" che gli sarebbe servita per tale lavoro; che lo stesso datore di lavoro si avvaleva dell'opera di quell’operaio da venti anni, remunerandolo in contanti, e che più volte aveva lavorato nelle campagne del committente per svolgere lavori agricoli e lavori edili. La testimonianza dell'appuntato dei Carabinieri, inoltre, aveva introdotto nel giudizio la prova che sul posto non vi fossero a terra tracce ematiche ma solo di acqua, come se fosse stato lavato da poco mentre tracce ematiche erano presenti nel sedile posteriore dell'autovettura di proprietà del committente e inoltre che nelle immediate vicinanze del locale deposito accanto al quale era stato rinvenuto il corpo del lavoratore era presente una scala a pioli di altezza pari a tre metri circa.

 

La Corte di Appello, ha evidenziato la Sezione IV, in replica alla censura alla stessa riproposta secondo la quale non fosse stata raggiunta la prova che l’imputato avesse commissionato lavori edili al datore di lavoro di fatto dell’operaio infortunatosi, ha spiegato, con motivazione tutt'altro che carente o manifestamente illogica, che le testimonianze acquisite, anche sulla base di deposizioni di terzi estranei al contesto familiare della vittima, avevano fornito la prova che lo stesso operaio lavorasse da oltre venti anni alle dipendenze del suo datore di lavoro, pur in assenza di un formale contratto di lavoro, che l'attrezzatura per lavori edili fosse stata fornita dal committente, che il lavoratore fosse stato contattato il giorno prima dell'infortunio proprio perché si recasse a svolgere lavori edili presso il terreno del committente e che la mattina dell’infortunio l’operaio fosse stato lasciato a iniziare il lavoro, privo di dispositivi di protezione, mentre il committente con il datore di lavoro si recavano a prelevare un altro lavoratore.

 

Con riferimento alla individuazione delle responsabilità su quanto accaduto la Corte di Cassazione ha ricordato che, in linea con i criteri interpretativi enunciati in giurisprudenza, “la responsabilità del committente per gli infortuni verificatisi in occasione dei lavori commissionati non è esclusa sulla base del mero rilievo formale per cui il destinatario degli obblighi antinfortunistici è il datore di lavoro. Occorre infatti verificare, in concreto, quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole e immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo” e ha citato come riferimento quanto già sostenuto dalla stessa Corte di Cassazione in precedenti sentenze fra cui la sentenza n. 44131 del 2/11/2015 Sez. IV, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “La responsabilità del committente e l’eziologia dell’evento" e la sentenza n. 3563 del 30/1/2012 Sez. IV, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo "Sulla responsabilità per l’infortunio di un prestatore d’opera".

 

A fronte, inoltre, dell'argomento difensivo secondo il quale non sarebbe stato provato che l'infortunio si fosse effettivamente verificato in un contesto di lavori edili commissionati dall’imputato, la Corte di Appello, ha sostenuto la Sez. IV, ha elencato una consistente serie di prove dalle quali ha ritenuto desumibile con certezza che il lavoratore infortunato stesse operando su commissione dell'imputato al momento della caduta. Con tali specifiche argomentazioni la censura si è confrontata ma solo per proporre una lettura alternativa delle emergenze istruttorie, inammissibile in fase di legittimità. La sentenza impugnata ha, in sostanza, esaminato il punto nodale della questione, ossia che l'infortunio si fosse verificato mentre il lavoratore era addetto a svolgere un'attività di lavoro alle dipendenze di fatto di un'impresa del tutto disorganizzata sotto il profilo antinfortunistico, logicamente attribuendo la responsabilità per cooperazione colposa anche al committente, venuto meno agli obblighi di controllo posti a suo carico dalla normativa. La censura in definitiva ha proposto una spiegazione che, per quanto rappresentata come altrettanto plausibile, non è valsa a destrutturare il ragionamento offerto dal giudice di appello.

 

Alla declaratoria d'inammissibilità è seguita quindi la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e rilevato inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, che nel caso in esame non sono emersi elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", il ricorrente è stato condannato al pagamento di una somma stimata di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili oltre accessori di legge se dovuti.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 44360 del 6 novembre 2023 (u.p. 19 ottobre 2023) - Pres. Dovere – Est. Serrao – P.M. Tassone - Ric. (omissis). - La responsabilità del committente per un infortunio durante i lavori commissionati non è esclusa sul rilievo che destinatario degli obblighi antinfortunistici é il datore. Occorre verificare l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento.

 





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