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L’obbligo del committente di designare il CSE

L’obbligo del committente di designare il CSE
Carmelo G. Catanoso

Autore: Carmelo G. Catanoso

Categoria: Sentenze commentate

08/11/2023

La pronuncia della Cassazione n. 42845/2023 si può prestare ad interpretazioni strumentali che mirano a reinquadrare il ruolo del CSE in quello di controllore aggiunto o UPG onorario o supplente; in realtà non è così. Un’attenta lettura delle motivazioni.

Questa recente sentenza della Suprema Corte, visti alcuni commenti già apparsi, sembra aver rinfocolato l’ardore dei soliti profeti dell’integralismo repressivo riguardo gli obblighi del CSE con conseguente estensione del perimetro delle responsabilità di questa figura.

 

Questo delirio onanistico da parte di questi soggetti sulle responsabilità di tale figura si trascina da tempo nonostante la stessa Cassazione Penale, a partire dal 2010 avesse circoscritto chiaramente quale dovesse essere il ruolo del CSE riavvicinandosi a quanto previsto dalla fonte primaria e cioè dalla direttiva 92/57/CEE che già nei considerando e cioè nelle motivazioni che avevano portato all’emanazione della stessa, ben delineava i contorni dell’operatività di tale figura. Sull’argomento, chi scrive, aveva già prodotto alcuni contributi, tra cui quello su Puntosicuro del 07/09/2016 ( L’attività del CSE: controllore aggiunto o regista della sicurezza?).

 

Adesso, con questa nuova pronuncia che, in effetti, non riguarda direttamente il CSE in quanto, è opportuno chiarirlo da subito, questa figura non era stata designata dal committente, si rischia, dando credibilità alle esternazioni dei soliti noti, di fare un passo indietro rispetto il ruolo e le responsabilità del CSE delineate da numerose pronunce della Suprema Corte che si sono susseguite dal 2010 ad oggi.

 

Tutto nasce da una sentenza di assoluzione della Corte di Appello di Trieste che aveva assolto il committente, condannato in primo grado per il reato di disastro colposo (crollo della struttura in metallo ground support) e omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sugli infortuni sul lavoro, ai danni di un lavoratore assunto da una cooperativa in forza di contratto di collaborazione coordinata occasionale, mentre questi era intento in mansioni di facchinaggio in zona sottostante detto ground support, e di più reati di lesioni colpose, parimenti aggravate, in danno di altrettante persone offese con le stesse mansioni del lavoratore deceduto.

 

I fatti, ampiamente noti alle cronache, erano avvenuti presso il palazzetto dello sport di Trieste, in occasione dell'allestimento del palcoscenico per un concerto. La vicenda all'esame riguarda, per l'appunto, il crollo di una struttura metallica, denominata ground support, evento che si è definitivamente accertato esser stato conseguenza di un errore di calcolo nella progettazione da parte del progettista, già condannato.

 

La Cassazione Penale con questa pronuncia si è pertanto concentrata sul ruolo del committente, qualifica anch'essa non contestata e, segnatamente, sugli obblighi che gravano, in base alla normativa antinfortunistica, su tale particolare figura.

 

I giudici della Corte d’Appello hanno esaminato la posizione del committente al fine di verificare se la nomina del CSE con la conseguente operatività di tale figura, avrebbe potuto evitare l’accadimento dell’evento. Quindi, l'affermazione di responsabilità dell'imputato è, dunque, passata attraverso l'accertamento di una doppia omissione: quella direttamente attribuita al committente e la seconda riferibile al CSE, quest'ultima solo virtuale, imputabile al committente in ragione della prima. Tale impostazione ha determinato, come ovvia conseguenza, che il giudizio controfattuale si è incentrato sul ruolo del CSE e sui suoi poteri ostativi, onde verificare sul piano logico il necessario collegamento etiologico tra l'omissione del committente e l'evento. Con la conseguenza che l'attenzione dei giudici del merito si è incentrata sulla verifica dell'obbligo d'intervento del CSE.

 

Su questo aspetto i giudici d'appello non hanno concordato con le decisioni del giudice di primo grado ed  hanno affermato che <<al coordinatore non spetta un controllo generale sulle lavorazioni, richiamando il concetto di concretizzazione del rischio per spiegare che l'evento è imputabile al soggetto solo ove rappresenti, per l'appunto, la concretizzazione di quel rischio specifico, mentre, ove il fatto attribuito all'imputato consista in una condotta estranea all'area di rischio coperta dalla posizione di garanzia, la sua inerzia, anche ove naturalisticamente accertata, non può produrre responsabilità, difettando la violazione di uno specifico obbligo di attivarsi>>.

 

La Corte d'appello ha ritenuto quantomeno dubbio che, tra i compiti del CSE, rientrasse quello di vigilare sull'innalzamento della struttura crollata, egli avendo solo compiti di alta vigilanza, inerenti alla generale configurazione delle lavorazioni che comportano un rischio interferenziale, ma non anche quelli di un puntuale controllo delle singole attività lavorative, demandato ad altre figure operative, fatto salvo l'obbligo di cui all’art. 92, lett. f) del D. Lgs. n. 81/2008 del 2008 e cioè di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni sino alla verifica degli avvenuti adeguamenti. In altri termini, la Corte ha ritenuto che il CSE non possa essere considerato un controllore del datore di lavoro, ma il gestore di un rischio diverso, per l'appunto quello interferenziale, cosicché può esser chiamato a rispondere solo di infortuni che siano riconducibili a carenze organizzative generali di immediata percepibilità.

Nel caso all'esame, il giudice d'appello ha ritenuto che il rischio evoluto nella produzione dell'evento concernesse la fase del montaggio della struttura metallica che competeva a un soggetto specifico (impresa esecutrice del montaggio) ed escluso che il pericolo inerente al montaggio e alla solidità statica della struttura fosse riconducibile all'area di rischio astrattamente riconducibile al CSE.

 

Le cause del crollo sono state ravvisate nell'errore del progettista e nella mancata fornitura, da parte del datore di lavoro, di un componente previsto nel manuale d'uso dell'opera.

In entrambi i casi, il rischio, secondo il decidente, era inerente alla fase della fornitura e del montaggio della struttura, attività che presuppongono competenze specifiche e i relativi rischi sarebbero stati diversi rispetto a quelli derivanti dalla compresenza sul luogo di lavoro di più imprese.

Sotto altro profilo, poi, ha ritenuto che l'errore di calcolo nel progetto rappresentasse un vizio occulto, nel senso che solo un tecnico avrebbe potuto rilevarlo, i segnali di pericolo essendosi verificati dopo l'innalzamento della struttura e durante la fase del suo allestimento.

Solo in questa fase, la comparsa della cosiddetta “freccia”, aveva determinato l'allertamento del progettista che, però, aveva ritenuto il fenomeno normale e invitato a proseguire il lavoro.

Infine, pur riconoscendo che il CSE ha l'obbligo di adeguare il POS all'evoluzione dei lavori e di attivare i poteri inibitori in caso di pericolo grave e imminente, ha ritenuto che il dovere di sospendere i lavori derivi da un pericolo constatato personalmente dal CSE e da esso immediatamente percepibile, situazioni che, in ogni caso, andrebbero sempre coordinate con l'area di rischio che il CSE è chiamato a gestire, non potendo essere investito di un dovere di costante presenza nel cantiere.

 

Nella specie, il vizio non è stato ritenuto immediatamente percepibile e il Tribunale, secondo la Corte territoriale,<<aveva invertito tale prospettiva, assegnando al coordinatore un obbligo compatibile solo con una costante presenza in cantiere, la gestione del rischio non trovando in tal modo la sua fonte nella presenza di più imprese, ma nelle singole lavorazioni, altresì osservando come fosse emerso dall'istruttoria che un altro soggetto era stato indicato per risolvere imprevisti tecnici (il direttore della produzione), soggetto che lo stesso consulente del pubblico ministero aveva ritenuto investito di un ruolo essenziale di coordinamento>>.

Riguardo questa sentenza, il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Trieste ha proposto ricorso, formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla valutazione della penale responsabilità del committente, in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare circostanze fondamentali emerse in istruttoria, svolgendo un ragionamento contraddittorio: i segnali di cedimento della struttura erano stati avvertiti dalle maestranze che avevano allertato invano il progettista, aspetto tralasciato dai giudici del gravame che hanno, invece, affermato che il vizio era "occulto".

Il primo giudice, sul punto, aveva analiticamente riferito che <<il crollo della struttura non era stato improvviso, ma preannunciato da una serie di indici di sofferenza, dei quali si erano accorti i lavoratori, l'anomalia essendosi manifestata sin dalla mattina del giorno del crollo, allorquando la struttura era ancora in fase di innalzamento e prima, dunque, che si procedesse al suo allestimento>>.

Pertanto, se il CSE fosse stato nominato dal committente <<il vizio sarebbe stato percepibile da questi senza che, a tal fine, ne fosse richiesta una presenza costante in cantiere. Ciò perché era la delicata fase di "carico" della erigenda struttura a costituire una fase estremamente pericolosa dell'intera realizzazione dell'opera appaltata ed essa imponeva una verifica e una presenza del coordinatore proprio a causa della interferenza tra le varie attività lavorative, rischio connesso anche alla frenesia delle attività in corso, alla presenza di maestranze diverse, dipendenti da ditte diverse, all'approntamento di impianti, alla costruzione di palchi e quant'altro>>.

 

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Analogo ricorso era stato presentato anche dalla Parte Civile.

 

Preso atto dei ricorsi, la Cassazione Penale ha accolto gli stessi rinviando, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste

Va premesso che per la Cassazione la divergenza tra i due giudizi riguarda sole le conclusioni sulla penale responsabilità del committente, avendo i giudici di appello sovvertito il verdetto di condanna, a seguito di un giudizio controfattuale operato sul presupposto che, anche ove nominato dal committente, il CSE non avrebbe avuto l'obbligo di attivarsi, atteso che il rischio concretizzatosi non era collegato ai suoi doveri di alta vigilanza, bensì a un vizio occulto, non percepibile da parte di un soggetto dotato di comuni conoscenze.

 

Riguardo le questioni sollevate con i ricorsi, la Cassazione ha ribadito in premessa cosa intenda per “rischio interferenziale”, dalla cui ricorrenza discende l'obbligo di designazione del CSE in capo al committente, nonché il significato della locuzione "alta vigilanza" cui si ricorre per definire i compiti del CSE quale figura concorrente nella gestione dei rischi.

 

Per la Cassazione, ai fini della verifica della ricorrenza di un rischio interferenziale <<occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione - ma all'effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte>>.

 

Quanto agli obblighi del CSE, invece, va ribadito che il CSE è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto <<gli spettano, per l'appunto, compiti di "alta vigilanza", consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS>>.

 

Sempre in premessa, la Cassazione ha ribadito che <<detta funzione di alta vigilanza ha ad oggetto esclusivamente il rischio c.d. generico, relativo cioè alle fonti di pericolo riconducibili all'ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative ed alla convergenza in esso di più imprese; ne consegue che il coordinatore non risponde degli eventi riconducibili al c.d. rischio specifico, proprio dell'attività dell'impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo>>.

 

Riguardo, poi, gli obblighi del CSE previsti dall’art. 92 comma 1, lett. f) del D. Lgs. n. 81/2008 inerenti al potere/dovere di sospensione delle singole lavorazioni in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate, la Cassazione Penale ribadisce che <<la legge delinea sul coordinatore per la sicurezza una funzione peculiare, rispetto al generale compito di alta vigilanza che, come sopra già precisato, grava su tale figura della sicurezza: egli, oltre ai compiti specificamente assegnatigli dall'art. 92 citato, svolge una autonoma funzione di alta vigilanza sulla generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale e, sebbene non sia tenuto a un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, demandato ad altre figure operative, mantiene l'obbligo di attivarsi, in caso di sussistenza di un pericolo nei termini di cui all'art. 92, comma 1, lett. f)>>.

Infatti, è ormai un orientamento giurisprudenziale consolidato che l’obbligo di cui all’art. 92 comma 1, lett. f) del D. Lgs. 81/2008 <<non è correlato alla natura del rischio interferenziale che è chiamato a gestire, poiché egli risponde per colpa in omissione, allorquando versi in condizioni di avvedersi o essere informato dell'esistenza di un pericolo grave e imminente e rimanga inerte, a prescindere dal fatto che il pericolo sia correlato a un rischio interferenziale>>.

Secondo la Suprema Corte, tale interpretazione discende direttamente dalla lettera della legge in quanto alla lett. e) della norma richiamata, infatti, il legislatore prevede che il CSE, allorquando riscontri la violazione di obblighi assegnati ad altre figure della sicurezza, proponga la sospensione dei lavori al committente o al responsabile dei lavori, ove nominato, previa contestazione delle violazioni ai lavoratori autonomi o alle imprese.

La successiva ipotesi di cui alla lett. f), invece, non è correlata al riscontro di specifiche violazioni da parte delle altre figure di gestori del rischio, ma direttamente ed esclusivamente alla riscontrata esistenza di un pericolo grave e imminente.

Pertanto, a tal fine, diventa rilevante la verifica del momento del manifestarsi di inequivocabili segnali di sussistenza di tale pericolo e della sua imminenza, ma anche quella della prevedibilità in capo al CSE medesimo, sul quale, come sopra ricordato, non grava l'obbligo di una presenza costante in cantiere.

 

Ciò significa che sul CSE grava un obbligo più generale di sospensione delle lavorazioni ogni qualvolta abbia contezza di una siffatta situazione di pericolo.

Pertanto, secondo la Cassazione, la Corte d'appello, pur avendo correttamente richiamato i principi regolatori della materia e concordato con il Tribunale sulla qualifica di committente dell'imputato, ricostruendone gli obblighi specifici è incorsa:

  • nella violazione di legge con specifico riferimento al potere inibitorio del CSE venendo meno all'obbligo di rendere una motivazione puntuale e adeguata e fornire una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, quanto alle competenze di tale figura della sicurezza sui luoghi di lavoro;
  • nel travisamento probatorio, dedotto dai ricorrenti, avendo omesso di valutare e confutare con puntuale giustificazione, una serie di elementi fattuali valutati dal Tribunale per dimostrare, da un lato, la riconducibilità del rischio concretizzatosi agli obblighi di alta vigilanza del CSE e, sul piano della colpa in senso soggettivo, la evidenza e, quindi, diretta percepibilità dei segnali di un pericolo grave e imminente di crollo;
  • nel non aver svolto il giudizio controfattuale, a fronte di un ragionamento predittivo del Tribunale saldamente agganciato alle risultanze istruttorie che avevano dato conto della tempistica del verificarsi del cedimento (comparsa della cosiddetta “freccia” nelle prime ore della mattina, durante la fase di innalzamento del ground support) e della tipologia dei segnali di allarme (le maestranze presenti essendosi accorte della deformazione della struttura di tipo progressivo, cioè prodottasi nell'arco di alcune ore, lasso di tempo che il primo giudice ha ritenuto apprezzabile, quando non francamente significativo), ragionamento concluso da quel giudice con una prognosi positiva di utilità della condotta doverosa omessa. Di contro, la Corte d'appello, senza alcun confronto con i dati fattuali valorizzati dal primo giudice e senza confutare in maniera rigorosa il ragionamento predittivo da quegli operato, ha ritenuto del tutto irrilevante la presenza del CSE operando un giudizio unitario sulla causalità della colpa e sulla colpa in senso soggettivo.

 

Sempre secondo la Suprema Corte, la Corte territoriale ha escluso in maniera apodittica che l'evento fosse stato conseguenza del concretizzarsi di un rischio interferenziale, derivandone così l'assenza di un obbligo di attivazione del CSE.

Tuttavia, ha omesso di confutare in maniera puntuale il rilievo che il Tribunale aveva assegnato, sul punto specifico, al momento nel quale gli eventi si erano prodotti (individuato nella fase di passaggio dall'innalzamento della struttura a quella del suo allestimento), tenuto anche conto dell'accertata compresenza di maestranze impegnate in lavorazioni diverse e della evidenziata delicatezza di quello specifico passaggio tra le lavorazioni, ritenuto particolarmente rilevante quanto al rischio di interferenze tra di esse, omettendo di considerare l'ulteriore obbligo del CSE, previsto dall’art. 92 comma 1, lett. f) del D. Lgs. 81/2008 comunque sganciato dalla sussistenza di un rischio interferenziale.

 

Quanto al secondo aspetto, invece, la Corte d'appello ha ritenuto che anche a voler ipotizzare, nella specie, l'esistenza di un rischio interferenziale, il CSE non avrebbe potuto rendersi conto del pericolo grave e imminente di crollo, posto che lo stesso era stato conseguenza di un errore di calcolo del progettista e che il rischio evoluto nella produzione dell'evento aveva riguardato la fase del montaggio della struttura che competeva all'appaltatore, salvo poi affermare, che solo un ingegnere con le competenze del progettista avrebbe potuto rendersi conto, verificando il progetto e gli schemi di montaggio, della presenza dell'errore e soprattutto del fatto che la flessione si era delineata solo nel corso dell'allestimento.

 

Per la Cassazione Penale, in questo ragionamento vi è una palese contraddizione in quanto <<la Corte d’appello afferma, dapprima, che il rischio concerneva la fase dell'innalzamento, ma subito dopo precisa che la c.d. freccia si era delineata solo nel momento in cui le maestranze a ciò deputate stavano montando luci, riflettori, casse acustiche e quant'altro. Ma essa è anche manifestamente illogica, poiché si inferisce l'assenza di un rischio interferenziale dalla natura del vizio della struttura che ha determinato la comparsa della c.d. freccia, ciò che attiene semmai al tema della percepibilità del vizio, ma non a quello della causalità della colpa, avuto riguardo alla natura del rischio interferenziale come sopra precisata>>.

 

Quanto, poi, alla colpa in senso soggettivo, si è già chiarito che, nell'ipotesi di cui all’art. 90, comma 4 del D. Lgs. n. 81 del 2008, il committente deve designare, ancor prima dell'affidamento dei lavori, un CSE che sia in possesso dei requisiti di cui all'art. 98 (quindi, del correlato titolo di studio, nonché di esperienza nello specifico settore della sicurezza e della prevenzione). Pertanto, <<è del tutto incongrua, rispetto al paradigma legale, la affermazione della Corte d’appello secondo la quale il CSE non avrebbe potuto percepire il pericolo grave e imminente di cedimento, non essendo in possesso di competenze pari a quelle del progettista>>.

 

Pertanto, secondo la Cassazione, i giudici d'appello sono, ancora una volta, venuti meno all'obbligo di fornire una motivazione puntuale e rigorosa rispetto al ribaltamento di valutazione, a fronte di una decisione, con la quale il Tribunale aveva lungamente argomentato sull'evidenza del cedimento, percepito sin dall'alba della giornata lavorativa dalle maestranze impegnate in cantiere.

 

Premesso che le motivazioni con cui la Cassazione Penale ha accolto il ricorso sono condivisibili, tutto ciò non va strumentalmente collegato, come già stanno facendo coloro che hanno sempre considerato il CSE come un controllore aggiunto oppure un UPG onorario o supplente, ad un ruolo di questa figura che per poter avere contezza del pericolo debba presidiare con continuità le attività in cantiere.

 

Infatti, basta ricordare che il p.2.3.3 dell’Allegato XV già identifica i momenti in cui risulta necessaria la presenza del CSE: << 2.3.3. Durante i periodi di maggior rischio dovuto ad interferenze di lavoro, il coordinatore per l'esecuzione verifica periodicamente, previa consultazione della direzione dei lavori, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi interessati, la compatibilità della relativa parte di PSC con l'andamento dei lavori, aggiornando il piano ed in particolare il cronoprogramma dei lavori, se necessario>>.

 

Questo aspetto, e cioè la presenza del CSE durante le fasi di lavoro a maggiore criticità è stato confermato dalla Cassazione nelle motivazioni con cui è stato accolto il ricorso.

Inoltre, è importante chiarire che non si può neanche lontanamente pensare che il CSE debba essere un tuttologo con competenze professionali pari a quelle, ad esempio, di progettisti strutturali, impiantistici, ecc., in modo da sopperire ad eventuali errori commessi da questi avvedendosi di qualunque tipologia di pericolo derivante dalle mancanze commesse da questi professionisti.

 

Infatti, il caso in esame, invece, fa riferimento ad un pericolo avvertito dal personale addetto al montaggio alcune ore prima dell’accadimento dell’evento e comunicato al progettista strutturale.

 

Pertanto, è sostenibile pensare che, se il committente avesse designato il CSE, questi anche se non necessariamente presente ma avvertito da chi operava in cantiere, si sarebbe attivato con un immediato sopralluogo per verificare la situazione segnalata e procedere, nella fattispecie, alla sospensione della lavorazione per pericolo grave e imminente vista la palese situazione di pericolo di crollo della struttura facilmente percepibile dalla visibile progressiva deformazione della struttura.

 

In conclusione, la pronuncia della Cassazione va letta all’interno del perimetro caratterizzato dal caso specifico, dove la situazione di pericolo grave e imminente si era manifestata con chiarezza da alcune ore prima dell’evento senza che ciò comporti, come conseguenza, un illogico ampliamento degli obblighi e delle responsabilità del CSE da cui derivi la richiesta dell’adozione di una condotta penalmente e logicamente inesigibile in quanto caratterizzata da una presenza continua in cantiere e da competenze in ogni ramo dell’ingegneria attribuendogli così un ruolo da  “tuttologo ad honorem”.

 

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione

 


Corte di Cassazione Penale, Sez. 4 - Sentenza n. 42845 del 19 ottobre 2023 - Crollo di una struttura metallica denominata ground support durante l'allestimento del palco. Obbligo del committente di designare il CSE.






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