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Sulla necessità di pretendere che i lavoratori utilizzino idonei DPI

Sulla necessità di pretendere che i lavoratori utilizzino idonei DPI
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Sentenze commentate

13/12/2017

Una sentenza della Corte di Cassazione si sofferma sulle responsabilità per un infortunio durante l'insegnamento all'uso di una macchina utensile a tornio parallelo con utilizzo di dispositivi di protezione non idonei.

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Roma, 13 Dic – Sono numerosi gli infortuni professionali che sono causati o aggravati dall’assenza di idonei dispositivi di protezione individuale (DPI), cioè - come indicato nel D.Lgs. 81/2008 (art. 74) – di idonea “attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo”. DPI (art. 75) che “devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro”.

 

Il tema dell’importanza, ai fini preventivi, dei DPI è stato più volte affrontato dal nostro giornale nelle puntate di “ Imparare dagli errori”, rubrica dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, e sottolineato anche dai commenti di varie sentenze della Corte di Cassazione, come la sentenza n. 27543 dell'1 giugno 2017, relativa alle conseguenze dell’inidoneità di un DPI, o la sentenza n. 18296 del 5 maggio 2014.  

 

Una recente sentenza della Cassazione che ha affrontato un ricorso relativo ad un infortunio avvenuto durante l'uso di una macchina utensile a tornio parallelo aggravato dall’assenza di adeguati DPI è la sentenza n. 45842 del 05 ottobre 2017.

 

Nella sentenza n. 45842 si indica che la Corte d'appello di Brescia ha confermato in data 18 novembre 2016 la condanna emessa nei confronti di G.T., in data 12 marzo 2012, dal Tribunale di Brescia, in relazione al delitto di lesioni personali colpose cagionate a S.EM., “con violazione delle norme in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro” (“reato contestato come commesso” il 21 settembre 2009).

 

In particolare il reato è addebitato a G.T. nella sua qualità di legale rappresentante della XXX s.p.a., società della quale il S.EM. era dipendente con mansioni di operaio.

E l'episodio relativo all’infortunio “si verificava mentre la persona offesa stava imparando da un operaio più esperto, tale G.C., una lavorazione su una macchina utensile a tornio parallelo, che serviva per la tornitura di cilindretti in plastica, che per essere lavorati dovevano essere avvitati su un perno filettato montato su un mandrino che, quindi, si muoveva in orizzontale verso la lama montata sul portattrezzi. La macchina era dotata di opportune sicurezze che bloccavano ogni possibilità di movimento meccanico nelle fasi di montaggio e smontaggio del cilindretto; tuttavia il S.EM., che aveva provato a lavorare il suo primo pezzo (dopo alcune lavorazioni mostrategli dal G.C.), a fine lavorazione si accingeva a estrarre il cilindretto dal perno, tirandolo con la mano destra; ma il cilindro si staccava improvvisamente e così, per forza d'inerzia, la mano dell'operaio andava ad urtare contro la lama collocata sul portattrezzi”.

E il rimprovero mosso al G.T., in qualità datoriale, è in sostanza “di non avere disposto e preteso che il dipendente indossasse il necessario dispositivo di protezione individuale (guanti in pelle idonei a prevenire il contatto delle mani con parti taglienti) e di non avere preteso che i preposti al reparto esigessero che i lavoratori osservassero tale misura di sicurezza. In azienda, come accertato dall'ASL, erano presenti due tipologie di guanti: un tipo di guanti in lattice (che la vittima indossava al momento dell'Infortunio) e uno in pelle, modello che a differenza del precedente poteva essere teoricamente idoneo a proteggere le mani degli operai dalle parti taglienti e abrasive, ma che a sua volta neppure era in concreto adatto a tale funzione protettiva, secondo il funzionario ASL che aveva eseguito gli accertamenti. Inoltre, è emerso che la mano del lavoratore impegnato nell'asportazione del cilindretto lavorato veniva a trovarsi a una distanza di appena 20-30 cm. dalla lama, e ciò rendeva ulteriormente pericolosa la manovra, specie per chi, come il S.EM., stava imparando a eseguirla e non era quindi ancora padrone della corretta procedura di lavorazione”.

 

Il ricorso, corredato da una “premessa ricostruttiva della vicenda processuale”, in generale denuncia “violazione di legge in relazione al ritenuto nesso causale tra la condotta ascritta all'Imputato e l'evento lesivo, nonché all'errata valutazione del l'imprevedibilità ed eccezionalità del comportamento posto in essere dal lavoratore”. E si indica che in primo luogo “il manuale d'uso del macchinario sconsigliava l'uso dei guanti e, in secondo luogo, che il S.EM. lavorava presso la C.R.G. da sette anni ed era, quindi, un lavoratore formato; evidenzia inoltre il ricorrente che anche i lavoratori, in base all'attuale sistema prevenzionistico, sono soggetti obbligati sul piano delle cautele antinfortunistiche. Nella specie, il funzionario dell'ASL ha riferito di non avere esaminato il manuale d'uso del macchinario (che sconsigliava l'uso di guanti) e ha omesso di analizzare la dinamica dell'incidente, fornendo una diversa procedura per l'utilizzo della macchina; il S.EM. aveva spostato la mano imprevedibilmente e in modo anomalo, avendo impresso una forza eccessiva per rimuovere il cilindretto; dal canto suo il G.T. aveva messo a disposizione tutti i mezzi idonei alla prevenzione, ed in specie i guanti in pelle, più resistenti di quelli che il S.EM. aveva autonomamente deciso di usare, evidentemente consapevole del pericolo cui andava incontro. Infine, la stessa presenza del G.C., un lavoratore di maggiore esperienza, pur a fronte dell'ordinarietà dell'attività da eseguire, costituiva un'ulteriore cautela adottata dal G.T., che però la Corte di merito ha omesso di considerare”.

 

Tuttavia secondo la Corte di Cassazione tale ricorso è infondato.

 

In particolare si sottolinea che “il tema del divieto (previsto dal manuale d'uso) di indossare i guanti nel corso delle lavorazioni sul macchinario ove avvenne l'incidente, introdotto dal ricorrente anche nei motivi d'appello, è debitamente affrontato dalla Corte di merito a pagina 7 della sentenza impugnata: vi si osserva, infatti, che tale previsione era riferita a situazioni nelle quali vi fossero parti del macchinario in movimento, con conseguente necessità di precauzioni finalizzate a evitare che l'operatore potesse restare impigliato (previsione analoga riguardava l'esigenza di evitare di avvicinarsi al macchinario con capelli troppo lunghi). Tali precauzioni, osserva la Corte territoriale, erano rivolte quindi ad affrontare situazioni ben diverse da quella occorsa nel caso di specie: infatti, l'operazione nel corso della quale il S.EM. si ferì (estrazione di un cilindretto appena lavorato) presupponeva che la macchina non fosse in movimento. A fronte di ciò, è risultato pacificamente che i guanti in lattice indossati dal S.EM. al momento dell'infortunio erano del tutto inidonei a prevenire o ridurre il rischio di infortuni del tipo di quello verificatosi”.

 

Inoltre – continua la Cassazione – l'operazione che il lavoratore infortunato stava imparando a eseguire (con l'assistenza del più anziano operaio G.C.) “comportava sicuramente il rischio che, al termine della sagomatura del cilindretto, in fase di estrazione dello stesso, la persona offesa agisse con la mano in prossimità della lama e che la urtasse nel caso di manovre poco attente o troppo energiche, come avvenuto nel caso di specie. Si trattava però di un rischio che il G.T., nella sua posizione datoriale, ben doveva conoscere e che invece ignorò, a causa di un'evidente sottovalutazione di detto rischio, pur già concretizzatosi in passato”.

 

E dunque in primo luogo “deve ritenersi evidente il nesso causale tra le lesioni e il comportamento del G.T., il quale omise di pretendere dai dipendenti (e nella specie dal S.EM.) l'uso di idonei dispositivi di protezione individuale che, se impiegati, avrebbero impedito il verificarsi dell'evento lesivo; e di pretendere altresì che i preposti al reparto esigessero dagli operai l'uso di tali dispositivi”. Ed è infatti noto e costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (da ultimo Sez. 3, Sentenza n. 13096 del 17/01/2017, Molino, Rv. 269332), “che l'art. 18, comma primo, lett. d), del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che impone di fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, costituisce un precetto al quale il datore di lavoro è tenuto a conformarsi a prescindere dal fatto che il loro utilizzo sia specificamente contemplato nel documento di valutazione dei rischi di cui all'art. 28 dello stesso decreto. Parimenti è noto e costantemente affermato l'obbligo giuridico, gravante sul datore di lavoro, di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda”. E con “ragionamento controfattuale” è necessario considerare l'ipotesi che, “contrariamente a quanto accaduto, il S.EM. avesse indossato guanti protettivi idonei, che il G.T. non gli mise a disposizione”. E si deve altrettanto necessariamente concludere “ritenendo che, in tale ipotesi, l'infortunio non si sarebbe verificato o, al più, si sarebbe verificato con minore potenzialità lesiva”.

 

E quanto al comportamento del S.EM., indicato nel ricorso come eccezionale e imprevedibile, si segnala che “non si può parlare né di comportamento eccezionale, imprevedibile, abnorme, né tanto meno (ricorrendo a un concetto accolto dalla giurisprudenza più recente) di comportamento ‘eccentrico’ rispetto alla lavorazione in corso, e, più in generale, al processo produttivo nel quale era inserito il S.EM.. La condotta di quest'ultimo fu sicuramente negligente, ma non caratterizzata dalla c.d. abnormità, ossia da quel comportamento del lavoratore che assume valenza interruttiva del nesso di causalità fra la condotta eventualmente omissiva del garante in tema di sicurezza e l'evento dannoso verificatosi a suo danno: tale condizione, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza apicale della Corte regolatrice, si verifica non perché il comportamento del lavoratore qualificato come abnorme sia ‘eccezionale’ ma perché esso risulta eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare ( Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, non massimata sul punto)”.

 

Tuttavia, in definitiva, la Corte di Cassazione pur ritenendo il ricorso privo di fondamento e con riferimento al tempo decorso dal reato, constata che lo stesso è “estinto per maturata prescrizione”.

Dunque la sentenza n. 45842 “annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione”.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica la sentenza da cui è tratto l’articolo:

Corte di Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza 05 ottobre 2017, n. 45842 - Infortunio durante l'insegnamento all'uso di una macchina utensile a tornio parallelo. Guanti inidonei



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