Sugli obblighi delle imprese affidatarie nei cantieri temporanei o mobili
La sentenza in commento si riferisce ad un infortunio mortale occorso a un lavoratore dipendente di un’impresa subappaltatrice a seguito del quale è stato condannato, nei due primi gradi di giudizio, il titolare dell’ impresa affidataria perché ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo con inosservanza della disciplina in materia di infortuni sul lavoro. All’imputato era stata contestata l'inosservanza dell'art. 7 del D. Lgs. 19/9/1994 n. 626, vigente al momento dell’evento, per avere omesso di promuovere la cooperazione con la ditta subappaltatrice e di collaborare con essa nella individuazione e valutazione dei rischi e nell'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione, nonché di verificare che la ditta subappaltatrice, nella esecuzione dei lavori di "oliatura del cassero", installasse ed utilizzasse adeguate opere provvisionali, quali trabattelli e cavalletti, idonee a prevenire la caduta dall'alto del lavoratore infortunatosi. Nello stesso procedimento era stato imputato anche il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione che, giudicato a parte, è stato però assolto.
Nel suo ricorso alla Cassazione il titolare dell’impresa affidataria ha evidenziato, fra le varie motivazioni, il contrasto fra i due giudizi, quello nei suoi confronti e quello nei confronti del coordinatore ma la suprema Corte lo ha rigettato non ritenendo sovrapponibili le due posizioni, alla luce anche delle disposizioni in materia di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili. Solo successivamente, infatti, in verità il legislatore ha fornito dei chiari orientamenti in merito agli obblighi delle imprese affidatarie e al rapporto fra gli stessi e quelli del coordinatore per la sicurezza.
L’art. 7 del D. Lgs. n. 626/1994 sulla sicurezza degli appalti è stato infatti sostituito e integrato con l’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008, le disposizioni in materia di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili sono state inserite nel Titolo IV dello stesso decreto e gli obblighi di sicurezza a carico del datore di lavoro delle imprese affidatarie nei cantieri edili sono stati riportati negli articoli 96 e 97 di tale D. Lgs.. In particolare nel comma 2 dell’art. 96 è stato stabilito che l'accettazione da parte di ciascun datore di lavoro delle imprese del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 100 (PSC) nonché la redazione del piano operativo di sicurezza (POS) costituiscono, limitatamente al singolo cantiere interessato, adempimento alle disposizioni di cui all'articolo 17 comma 1 lettera a) (sulla valutazione dei rischi), all’articolo 26, commi 1, lettera b) (sulla informazione che il committente datore di lavoro deve dare all’appaltatore sui rischi specifici del proprio ambiente), al comma 2 (sulla cooperazione e coordinamento fra committente e appaltatore), al comma 3 (sulla elaborazione del Duvri da parte del committente) e al comma 5 (sulla indicazione dei costi della sicurezza). Nel comma 2 dell’art. 97, inoltre, è stato stabilito che “gli obblighi derivanti dall’art. 26, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 96 comma 2, sono riferiti anche al datore di lavoro dell’impresa affidataria” che per la verifica della idoneità tecnico professionale farà riferimento alle modalità di cui all’Allegato XVII.
Quindi dalla lettura combinata degli articoli 26, 96 e 97 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. emerge sostanzialmente che nei cantieri edili l’obbligo del coordinamento e quello della valutazione dei rischi interferenziali sono stati affidati al coordinatore per la sicurezza, se c’è, e che l’obbligo delle informazioni e della cooperazione fra committenti e imprese affidatarie viene assicurato attraverso lo scambio dei piani di sicurezza e cioè del PSC e del POS.
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte di Appello ha confermata la decisione del Tribunale che aveva riconosciuto il legale rappresentante di un’impresa affidataria responsabile del reato di omicidio colposo con inosservanza della disciplina in materia di infortuni sul lavoro ai danni del lavoratore di una ditta subappaltatrice e lo ha condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, pena condonata ai sensi dell'art. 1 della legge n. 241/2006.
All’imputato era stata contestata l'inosservanza dell'art. 7 del D. Lgs. n. 626 del 19/9/1994 perché nella sua qualità di titolare della impresa appaltatrice dei lavori aveva omesso di promuovere la cooperazione con la ditta subappaltatrice, di collaborare con essa nella individuazione e valutazione dei rischi e nell'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione nonché di verificare che la ditta subappaltatrice, nella esecuzione dei lavori di "oliatura del cassero", installasse ed utilizzasse adeguate opere provvisionali, quali trabattelli e cavalletti, idonee a prevenire la caduta dall'alto ed eseguire tali lavori in sicurezza.
Il giudice distrettuale aveva escluso in primo luogo che l’imputato., in ragione della complessità della struttura societaria articolata in distinte unità operative e in diversificate posizioni di garanzia con numerosissimi cantieri aperti, potesse ritenersi estraneo alla gestione del rischio connesso al coordinamento dell'attuazione delle misure di sicurezza nel cantiere in esame. A tale proposito aveva evidenziato come nonostante l'esistenza in cantiere delle figure del preposto e del direttore dei lavori, faceva difetto una specifica delega di funzioni con delimitazione dell'ambito di responsabilità e indicazione dei poteri di spesa, per cui all'assunzione di fatto di tali vesti di garanzia non corrispondeva una investitura ufficiale tale da fare escludere la responsabilità dell'amministratore ricorrente, non avendo questi definito ruoli e competenze in materia di sicurezza dei suoi dipendenti pure presenti sul cantiere.
Il giudice territoriale aveva evidenziato altresì come l’imputato avesse omesso di verificare la idoneità tecnico organizzativa della ditta subappaltatrice e di coordinare l'attività della sua impresa che di fatto gestiva il cantiere, con quella che operava in cantiere per la esecuzione di specifiche opere di carpenteria ed era chiamata a utilizzare impalcature e tavole fornite dall'appaltatrice, senza che questa avesse dismesso una ingerenza nelle suddette lavorazioni. Aveva escluso, infine, che l'assoluzione in un separato giudizio del CSE potesse influire favorevolmente sulla posizione dell'imputato ricorrente, sia in ragione del diverso rito prescelto e della diversità del materiale probatorio acquisito, sia per il fatto che l'ambito di garanzia del coordinatore atteneva al rischio interferenziale.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni
Avverso la sentenza della Corte di Appello la difesa dell'imputato ha proposto ricorso per cassazione prospettando due motivi di doglianza.
Con un primo motivo ha dedotto violazione di legge in relazione agli art.40, 42 e 43 del codice penale, in primo luogo per essere stata riconosciuta a suo carico una posizione di garanzia in relazione all'infortunio occorso al dipendente ignorando che, anche in considerazione delle dimensioni aziendali, la verifica del rispetto della disciplina antinfortunistica era rimessa ad una serie di figure intermedie. Erano stati posti in cantiere, infatti, almeno tre figure tutoriali che avevano assunto di fatto la gestione del cantiere e vigilavano sulla esecuzione dei lavori e sul rispetto della disciplina antinfortunistica. Lo stesso ha evidenziato, inoltre, il comportamento abnorme della persona offesa, che si era posto a lavorare sopra il cassero omettendo di utilizzare tavole e cavalletti per eseguire gli interventi di disarmo.
L’imputato ha sottolineato, altresì nel ricorso, che l'assoluzione del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e in fase di esecuzione, nonché direttore dei lavori, si poneva in insanabile contrasto con la pronuncia di responsabilità a suo carico in ragione dell’analogo rimprovero mosso per difetti di controllo in sede esecutiva. Difettava, inoltre, la prevedibilità in concreto dell'evento dato che nessuno lo aveva informato dell'affidamento in subappalto delle opere di carpenteria.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondata la motivazione del ricorso basata sulla presenza in cantiere di diverse figure intermedie Nessun dubbio ha ritenuto sussistesse sul fatto che il ricorrente abbia rivestito al momento dell’evento la qualifica formale di legale rappresentante, responsabile della gestione della società e che pertanto costituiva la massima espressione della rappresentanza e della operatività dell'azienda. Su di esso correva quindi l'obbligo primario di procedere alla valutazione dei rischi e di assicurare la sicurezza e l'adozione di misure di prevenzione sul luogo di lavoro e conseguentemente di predisporre il documento di valutazione dei rischi. In materia di infortuni sul lavoro, ha ricordato la Sez. IV, gli obblighi di prevenzione e di sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D. Lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, che sia espresso ed effettivo e non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa.
Nel caso particolare, ha aggiunto la suprema Corte, è apparso evidente che mancasse qualsiasi elemento da cui inferire la presenza dei requisiti essenziali per consentire un trasferimento di una o più funzioni dal soggetto delegante, facendo totalmente difetto una delega formale volta a definire l'ambito circoscritto, o ben definito, delle competenze trasferite, risolvendosi in una mera allegazione difensiva il generico riferimento alla presenza sul cantiere di soggetti preposti alla vigilanza, alla direzione dei lavori e alla sicurezza.
Con riferimento agli obblighi di cooperazione e coordinamento tra la ditta appaltatrice e quella subappaltatrice chiamata ad eseguire specifiche lavorazioni utilizzando peraltro strumenti di lavoro, impalcature assi, tavole e cavalletti posti a disposizione della impresa affidataria la quale di fatto aveva il controllo del cantiere anche con riferimento alle opere concesse in sub appalto, la suprema Corte ha precisato che ,pur mancando all'epoca dei fatti un obbligo specifico di formare un documento unico che garantisse la condivisione normativa tra committente e appaltatore delle misure volte a prevenire e a fronteggiare il rischio derivante dalla coesistenza o dall'alternarsi all'interno di una azienda di lavorazioni in grado di "interferire", certamente esisteva una specifica disciplina e cioè l’art.7 del D. Lgs. n. 626/1994 peraltro oggetto di contestazione all'imputato, che onerava il committente di promuovere la cooperazione e il coordinamento in un ambito nevralgico e fonte di rischi.
Il primo comma dell’art.7 di tale decreto legislativo (vigente alla data dell'Infortunio) prevedeva che il datore di lavoro in caso di affidamento dei lavori all'interno della azienda, ovvero della unità produttiva a imprese appaltataci o a lavoratori autonomi fornisse agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività. E’ una regola generale, ha precisato la Sez. IV, diretta a porre l'appaltatore o il lavoratore autonomo, le cui professionalità vengono introdotte nell'azienda ovvero nello stabilimento, a conoscenza di tutti i rischi connessi alle lavorazioni in tali ambienti, regola questa che certamente non può essere derogata dal contratto di appalto con la previsione di una inversione degli obblighi prevenzionistici in capo all'appaltatore, ovvero attraverso il mero travaso di informazioni, che si assume la ditta appaltatrice sia tenuta a partecipare alle proprie maestranze.
Il secondo comma dell’art. 7 del D. Lgs. n. 626/1994 imponeva ai datori di lavoro di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto nonché di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nella esecuzione dell'opera complessiva. Tale disposizione rende evidente come l'attività di consultazione, di cooperazione e di coordinamento tra datori di lavoro debba proseguire anche in corso di esecuzione del contratto di appalto e, sebbene non accompagnata da un documento ufficiale, deve valere a enucleare i rischi e ad elaborare strategie comuni per la loro prevenzione. E’ soprattutto l'azienda committente (nel caso in esame la ditta affidataria) a dovere promuovere la cooperazione e il coordinamento di cui ai secondo comma con esclusione dei rischi specifici dell'opera della ditta appaltatrice (art.7 comma III del D. Lgs. 626/1994) e, conseguentemente ad elaborare un Duvri che tenga conto di tali criticità.
Pertanto, ha così proseguito la suprema Corte, del tutto coerentemente il giudice distrettuale, con i dati testimoniali acquisiti e con gli elementi oggettivi di cui si era avvalso per ricostruire la dinamica del sinistro, ha segnalato le gravissime lacune nella promozione del coordinamento e della cooperazione con l'impresa sub appaltatrice in cui era incorsa la ditta affidataria in persona del suo titolare omettendo di verificare la idoneità tecnico organizzativa della subappaltatrice la quale, tra l’altro, ebbe a dileguarsi dal cantiere subito dopo i fatti relativi all'infortunio.
Non è stata neanche accolta dalla Sez. IV la censura che assumeva la inesigibilità di un comportamento alternativo in presenza di un lavoratore che abbia trascurato volontariamente di utilizzare i sistemi antinfortunistici indicati dal coordinatore per la sicurezza in sede di progettazione e di esecuzione (tavole e cavalletti a cuneo) atteso che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento-morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore sia stato abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento. Il comportamento del lavoratore si ritiene abnorme quando, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e non quando abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli.
Analogamente la Corte di Cassazione ha ritenuta destituita di fondamento la censura riguardante la possibile incoerenza di giudicati tra la pronuncia di condanna dell’imputato, suscettibile di passare in giudicato in ipotesi di rigetto del ricorso, con la pronuncia assolutoria, peraltro non definitiva, del CSE imputato nel medesimo procedimento ma separatamente sottoposto a giudizio. Invero sotto un primo profilo non è affatto vero che, come sostenuto dalla parte ricorrente, le due posizioni siano sovrapponibili, laddove al coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione era stato contestato un difetto di coordinamento tra imprese impregnate nelle opere di realizzazione del manufatto e un difetto nella verifica del rispetto del PSC da parte delle maestranze della impresa affidataria in relazione al rischio interferenziale, laddove i doveri di cooperazione, coordinamento ed informazione tra imprese committente ed appaltatrice di cui era onerato il titolare attenevano al diverso piano della collaborazione tra imprese che operano nello stesso cantiere e agli obblighi di informazione e di condivisione correnti in capo alla ditta affidataria delle opere, con particolare riferimento all'obbligo di rappresentare i rischi, ad essa noti, derivanti dalle lavorazioni oggetto di appalto.
Per quanto sopra detto la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca
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