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La gestione dei rischi affidata ai CSE nei cantieri edili

La gestione dei rischi affidata ai CSE nei cantieri edili
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

06/07/2020

I rischi la cui gestione è affidata al CSE sono soltanto quelli interferenziali fra le imprese o anche quelli specifici di ogni singola impresa? E’ una domanda alla quale si cerca di dare un riscontro nel commentare delle sentenze della Cassazione.

Neanche qualche mese fa lo scrivente ha commentato lungamente e dettagliatamente una sentenza della Sezione Feriale penale della Corte di Cassazione, la n. 45317 del 7/11/2019 (vedi articolo “ La non responsabilità del coordinatore per un infortunio in cantiere”), che ha presentato, considerato il suo contenuto, come una “lectio magistralis” della suprema Corte indirizzata soprattutto ai giudici del merito oltre che agli operatori giudiziari direttamente interessati quali i magistrati, gli avvocati e i consulenti tecnici di sicurezza. La sentenza aveva riguardato in particolare la corretta applicazione dell’art. 92 del D. Lgs. n. 81/2008 che ha fissato gli obblighi posti a carico dei coordinatori per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE) nei cantieri temporanei o mobili, l’individuazione delle loro competenze e sostanzialmente delle loro responsabilità nel caso che nel cantiere nel quale svolgono la loro attività si infortuni un lavoratore, ed ecco che ora ci troviamo a commentare un’altra sentenza della stessa Corte di Cassazione, emanata questa volta dalla IV Sezione penale, la n. 10136 del 16/3/2020 che dice giusto il contrario e che dà delle indicazioni che contrastano con quelle fornite con la precedente.

 

La domanda alla quale bisogna dare una risposta, che sia certa, è se il rischio la cui gestione è affidata al CSE è soltanto quello interferenziale fra le imprese sottoposte al suo coordinamento o è invece anche quello specifico dell’attività lavorativa svolta da ogni singola impresa che opera nel cantiere. La risposta deve essere certa, tenuto conto che nel campo penale la certezza delle norme è un requisito assolutamente essenziale. E’ un punto quello sopraindicato sul quale la suprema Corte, a distanza di circa 25 anni dall’introduzione delle disposizioni di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, non riesce a trovare una linea precisa e uniforme.

 

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Analogamente a quanto affermato dalla sopracitata sentenza n. 45317 del 7/11/2019 si era già espressa anche la IV Sezione penale della stessa Corte in un’altra precedente sentenza, la n. 27165 del 4/7/2016 (vedi articolo “ Il CSE e la verifica dell’efficacia della formazione”), nella quale la Sezione ebbe a sostenere il principio di diritto secondo cui il coordinatore per l'esecuzione ha una posizione di garanzia che non va confusa con quella del datore di lavoro. Il coordinatore, ha sostenuto la suprema Corte in quella occasione, ha “una autonoma funzione di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto). L'unica eccezione è costituita dalla previsione di cui all'art. 92 lett. f) D.lgs 81/08 secondo cui egli, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, ed evidentemente immediatamente percettibile, è tenuto a sospendere le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate. Il coordinatore per l'esecuzione, in altri termini, non è il controllore del datore di lavoro, ma il gestore del rischio interferenziale”.

 

In verità questa incertezza sulle competenze del CSE lo scrivente l’ha potuta riscontrare più volte anche direttamente nello svolgimento della propria attività di consulenza tecnica in procedimenti penali susseguiti ad eventi infortunistici nei cantieri edili nel corso dei quali ha potuto osservare che i giudici di merito, a seconda delle circostanze, a volte si attestano su di posizione colpevolista nei confronti del CSE e a volte su quella innocentista. Lo scrivente comunque per buona norma ritiene di citare ogni volta nelle memorie che deposita nell’ambito dei procedimenti penali nel corso dei quali è intervenuto e intervenire, quale consulente tecnico, gli indirizzi prevalenti che la suprema Corte fornisce in merito e che sarebbe opportuno che vengano attuati.

 

Nella citata sentenza n. 45317 del 7/11/2019, con la quale la suprema Corte ha annullata la sentenza di condanna di un CSE emessa nei gradi di merito, la Cassazione ha ribadito chiaramente che la sfera di competenza del CSE è quella dei rischi interferenziali sui quali deve appunto intervenire nella sua attività di vigilanza e non quella dei rischi specifici di ogni singola impresa e lo ha fatto facendo delle considerazioni del tutto condivisibili. Il CSE non è tenuto, ha infatti sostenuto la suprema Corte, ad intervenire allorquando il pericolo è inerente a un rischio specifico di un datore di lavoro in quanto, in caso contrario l’intervento del CSE, ha inoltre precisato, costituirebbe una ingerenza nella gestione di lavori estranei alla sua sfera di competenza comportando la presa in carico di rischi specifici dell’impresa esecutrice il che implica, ai sensi dell’art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008, l’assunzione di una posizione di garanzia relativa ai datori di lavoro, dirigenti e preposti, stabilendo appunto l’articolo 299 che "Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'art. 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti".

 

D’altra parte, ha aggiunto la Cassazione, se l’assunzione da parte del CSE dei rischi che non gli competono comporta che il medesimo risponda di un evento lesivo conseguito alla violazione della normativa precauzionale non può sostenersi che egli sia tenuto ad assumere direttamente un rischio, intervenendo su situazioni di pericolo non inerenti al suo ambito di intervento.

 

La riflessione che lo scrivente fa e che ha fatto in occasione delle precedenti sentenze della Cassazione, alla ricerca di una motivazione circa la diversa posizione che di volta in volta la stessa assume, è che tale diversità e legata ed è da mettere certamente in relazione con una diversa interpretazione che viene data della disposizione di legge di cui all’art. 92 del D. Lgs. n. 81/2008 il che dovrebbe indurre il legislatore a rivedere se non a riscrivere l’articolo stesso allo scopo di rendere più chiara la sua applicazione.

 

E’ il punto e) del comma 1 dell’art. 92, in particolare, quello che secondo lo scrivente può creare confusione nella individuazione dei compiti del CSE allorquando indica che il CSE è tenuto a contestare per iscritto alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati “le inosservanze alle disposizioni degli articoli 94. 95, 96 e 97, comma 1” oltre che alle prescrizioni del PSC, ove esistente. La contestazione viene richiesta, è evidente, allo scopo di farne oggetto di segnalazione al committente o al responsabile dei lavori perché intervenga, ma, contenendo gli articoli citati gli obblighi di sicurezza a carico dei datori di lavoro delle imprese esecutrici oltre che dei datori di lavoro delle imprese affidatarie e dei lavoratori autonomi, è facile pensare che il legislatore abbia invece voluto affidare al CSE il compito diretto di controllare che i soggetti sopraindicati rispettino le disposizioni di sicurezza assegnandogli così una sorta di posizione di garanzia nell’ambito della sicurezza del cantiere, il che in effetti non è rimanendo sempre tale garanzia esclusivamente in capo ai singoli soggetti citati.

 

Alla luce delle considerazioni appena svolte quindi sarebbe opportuno, a parere di chi scrive, rivedere il testo della lettera e) dell’art. 92 e, fermo restando l’obbligo di segnalare al committente le inadempienze in materia di salute e sicurezza che dovesse riscontrare affinché adotti i suoi provvedimenti, sarebbe opportuno limitare l’intervento del CSE al solo controllo che siano attuate le prescrizioni di cui al PSC con la condizione però di dare  contemporaneamente indicazioni ai coordinatori in fase di progettazione (CSP) di non elaborare i PSC inserendo in esso tutti i rischi anche specifici di tutte le imprese esecutrici che operano nel cantiere e di fare del PSC una sorta di raccolta di tutti i rischi che posssono essere presenti nello stesso ma di limitarsi a indicare solo quelli di essi che possono costituire interferenza fra le imprese. L’individuazione delle carenze di sicurezza delle imprese va finalizzata, così come sostenuto dalla Cassazione nella sentenza sopracitata n. 27165 del 4/7/2016, ad adottare il provvedimento di sospensione di cui alla lettera f) dell’articolo 92 nel caso che le stesse carenze, direttamente riscontrate ed evidentemente immediatamente percettibili, costituiscono un pericolo grave e imminente.

 

Il fatto e l’iter giudiziario

La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale, all'esito di un complesso procedimento plurisoggettivo per omicidio colposo con violazione della disciplina antinfortunistica, ha dichiarato non doversi procedere anche nei confronti di un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione in relazione alle contestate contravvenzioni, perché estinte per prescrizione, e, riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche in relazione all'accertato reato di omicidio colposo per l’infortunio di un lavoratore e stimate le stesse equivalenti alla riconosciuta aggravante, ha rideterminato la pena a suo carico.

 

Con riferimento alla dinamica dell’infortunio lo stesso era accaduto durante alcuni lavori di manutenzione di un viadotto autostradale, lavori che il committente aveva affidato con un contratto di appalto ad un raggruppamento di imprese con capogruppo l’impresa alle cui dipendenze lavorava l’infortunato. Questi, che aveva le mansioni di carpentiere, la mattina dell’accaduto si trovava in un piazzale presso un pilone del viadotto in questione, area destinata ad impastare il cemento, a forma approssimativamente triangolare con larghezza massima utile oscillante tra 6,00 e 4,50 metri, con un ciglio delimitato da una rete di plastica colorata e da picchetti che segnavano la fine della zone pianeggiante e l'inizio di una scarpata ripida con pendenza del 54 %, cioè di 32 gradi. Il lavoratore aveva preso le chiavi di una betoniera ivi presente, chiavi che erano accessibili a tutti gli operai, essendo in un cassetta dentro un baracca aperta, era salito sul mezzo, lo aveva messo in moto e, percorsi 3-4 metri, a causa di un errore di manovra, era precipitato, non incontrando nessun ostacolo fisso quali barriera o guard-rail, nella scarpata sottostante, per fermarsi infine 12 metri più sotto sul letto di un torrente.

 

Durante la caduta il lavoratore, non essendo la betoniera provvista di barra contro lo schiacciamento dell'autista in caso di ribaltamento né cinture di sicurezza, era sbalzato fuori e aveva subito plurimi gravissimi traumi, anche a zone vitali (torace, carotide, aorta, spina dorsale), che ne avevano causata la morte. Si era accertato che la betoniera in questione era in condizioni pessime, arrugginita, priva di sistemi di protezione antischiacciamento del guidatore e di sistemi di ritenuta, di costruzione risalente a circa 20-30 anni prima, non essendo stato possibile risalire all'anno di fabbricazione.

 

Il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione era stato ritenuto corresponsabile dell'omicidio colposo per non avere, nella sua veste, mai rilevata nessuna carenza del piano operativo di sicurezza, piano che invece, secondo i giudici di merito, presentava criticità, ed per non avere inoltre segnalato al datore di lavoro nessuna delle criticità incidenti sotto il profilo della sicurezza, così violando l'art. 92, comma 1, rispettivamente lett. b) ed e), del D. Lgs. 9/4/2008, n. 81.

 

Le criticità in questione avevano riguardato il non avere colto, benché fosse andato in cantiere periodicamente circa ogni 20-30 giorni, la limitatezza delle dimensioni dello spiazzo in cui era la betoniera, anche in relazione al tipo di lavorazioni che ivi da circa sette mesi in concreto si stavano svolgendo ed alle condizioni di vetustà del mezzo-betoniera impiegato, né la pericolosità della situazione derivante dalla presenza di una ripida scarpata, essendosi il coordinatore stesso limitato a dare disposizioni affinché la rete rossa posta sul ciglio della discesa fosse sorretta da tondini di ferro, comunque inadatti a reggere la eventuale spinta di un mezzo in movimento.

 

Al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione doveva ritenersi attribuito, secondo i giudici di merito, anche il compito di verificare la «situazione del cantiere, in particolare in relazione al sistema interno di viabilità, alla ubicazione degli spazi di manovra ad ai generali sistemi di protezione, contesto che i giudici avevano ricostruito non già come una «contingenza estemporanea come tale imprevista e imprevedibile, scaturita da una altrettanto eccentrica modalità di svolgimento del lavori, bensì conseguenza di una modalità esecutiva, quanto ai mezzi impiegati ed alla lavorazione in loco ed alla presenza quindi di materiali cumuli ed altro, oramai consueta perché in atto da tempo e sulla quale dunque l’imputato doveva esercitare i compiti di controllo e di "alta vigilanza" attribuitigli.

 

Il ricorso per cassazione e le motivazioni

L’imputato ha ricorso per cassazione l’imputato tramite i difensori di fiducia, affidandosi a due motivi, con i quali ha denunziato promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione. Lo stesso ha richiamato gli obblighi del coordinatore e in particolare quelli dell'art. 92, obblighi essenzialmente riconducibili ad un'attività di coordinamento in fase di prevenzione e di gestione dei rischi interferenziali ed aggiuntivi derivanti dalla presenza, nello stesso cantiere, di più imprese esecutrici e di più lavoratori autonomi, e di alta vigilanza e non già invece di puntuale controllo, momento per momento, che è demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto).

 

La vittima, ha evidenziato ancora lo stesso, era salita sulla betoniera di propria iniziativa e comunque in assenza di una precisa disposizione al riguardo, non essendo nemmeno qualificata all'uso del mezzo, sicché si sarebbe avuta una condotta occasionale ed estemporanea, non riconducibile a carenze organizzative generali, in ultima analisi ricadente nella sfera di controllo del datore di lavoro e dei suoi collaboratori, con esclusione della sua posizione di garanzia. La gestione del rischio che aveva portato all’infortunio, ha dedotto il ricorrente, era di esclusiva competenza dell’impresa esecutrice mentre il rischio la cui gestione è affidata al CSE è soltanto quello interferenziale.

 

Ad avviso del ricorrente, inoltre l'evento, verificatosi a seguito del ribaltamento dell'autobetoniera, era accaduto in quanto il lavoratore deceduto, senza adeguata formazione, aveva posto in essere una manovra su un mezzo che non era abilitato ad usare, mezzo non provvisto di adeguati presidi antinfortunistici, durante le lavorazioni in un cantiere nel quale, anche al momento del fatto, era presente un preposto per cui, laddove il preposto avesse correttamente presieduto e vigilato sull'operato dei lavoratori dipendenti, il lavoratore non sarebbe potuto salire sulla betoniera, posto che non era adibito ad operare sul mezzo, Se il mezzo, infine, fosse stato fornito di adeguati presidi di protezione presumibilmente le conseguenze non sarebbero state letali.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato rigettato dalla Corte di Cassazione. In particolare la suprema Corte ha riconosciuto corretto e pertinente il richiamo da parte della sentenza di primo grado al principio di diritto secondo il quale «In tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza, che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori, ha ad oggetto quegli eventi riconducibili alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione e non anche gli eventi contingenti, scaturiti estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori medesimi e, come tali, affidati al controllo del datore di lavoro e del suo preposto.

 

Ed è, appunto, alla configurazione complessiva dell'attività, e non già ad una situazione contingente, che i giudici di merito concordemente avevano ricondotta la sottovalutazione da parte dell'imputato del pericolo di precipitazione del mezzo nella scarpata, come purtroppo accaduto, in relazione ad un'area di lavoro di modeste dimensioni, il cui ciglio era sì segnalato da una rete colorata ma privo di adeguate sottolineatura del rischio, come si sarebbe potuto fare con cartelli, e comunque non provvisto di accorgimenti idonei, ad esempio guard-rail o parapetti, a trattenere un pesante mezzo in movimento.

 

I giudici di merito, secondo la Sez. IV, con motivazione congrua e logica avevano dato atto che l'imputato non aveva verificato l'idoneità del piano operativo di sicurezza ( POS), che non aveva preso atto, nonostante i lavori fossero andati avanti da molti mesi, che la scarpata estremamente ripida costituiva un serio pericolo per l'incolumità e persino per la vita dei dipendenti; che non aveva considerato la insufficienza, a fronte del rischio di precipitazione nella scarpata, della mera presenza di un operatore a terra e che aveva trascurato elementi premonitori di rischio, pur presenti (la vetustà del mezzo, in pessime condizioni, privo di sistemi di protezione antischiacciamento del guidatore e di sistemi di ritenuta).

 

Logico ed immune da vizi, ha ritenuto altresì la suprema Corte, anche il ragionamento svolto dai giudici di merito sia circa la sussistenza del nesso causale sia circa la esclusione di comportamenti abnormi o esorbitanti da parte del lavoratore, che era intento alle lavorazioni cui era stato destinato in area aziendale, nel prescritto orario, a bordo del mezzo che gli era stato fornito dalla società di cui era dipendente. Ne è conseguito quindi il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

Gerardo Porreca

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 10136 del 16 marzo 2020 (u. p. 29 gennaio 2020) - Pres. Ciampi – Est. Cenci – P.M. De Masellis - Ric. B.L.. - I rischi la cui gestione è affidata al CSE sono soltanto quelli interferenziali fra le imprese o anche quelli specifici di ogni singola impresa? E’ una domanda alla quale si cerca di dare un riscontro nel commentare delle sentenze della Cassazione.

 

Corte di Cassazione Sezione Feriale Penale - Sentenza n. 45317 del 7 novembre 2019 (u. p. 29 agosto 2019) -  Pres. Diotallevi – Est. Nardin – P.M. Di Leo - Ric. M.S.V..  - Per determinare la posizione di garanzia del CSE occorre prima verificare in concreto se la realizzazione di un rischio sia dovuta all'interferenza fra l'opera di più imprese o se, invece, essa inerisca all'esclusiva attività della singola impresa.

 

Corte di Cassazione Penale, Sez. 4 - Sentenza n. 27165 del 4 luglio 2016 - Lavori per la realizzazione del Lotto 13 della variante di valico della autostrada A1 Firenze-Bologna. Infortuni mortali per il cedimento durante la fase di ancoraggio. Ruolo di un CSE.




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Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
06/07/2020 (14:11:57)
Configurazione del cantiere e colpa del CSE
Una sentenza eccellente che fa buon governo dei principi giuridici del Titolo IV del D.Lgs. n. 81/2008, in relazione ad una fattispecie nella quale un pericolo evidente e persistente attinente la configurazione del cantiere è stato colpevolmente trascurato dal CSE: In tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza, che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori, ha ad oggetto quegli eventi riconducibili alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione e non anche gli eventi contingenti, scaturiti estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori medesimi e, come tali, affidati al controllo del datore di lavoro e del suo preposto.



Ed è, appunto, alla configurazione complessiva dell'attività, e non già ad una situazione contingente, che i giudici di merito concordemente avevano ricondotta la sottovalutazione da parte dell'imputato del pericolo di precipitazione del mezzo nella scarpata, come purtroppo accaduto, in relazione ad un'area di lavoro di modeste dimensioni, il cui ciglio era sì segnalato da una rete colorata ma privo di adeguate sottolineatura del rischio, come si sarebbe potuto fare con cartelli, e comunque non provvisto di accorgimenti idonei, ad esempio guard-rail o parapetti, a trattenere un pesante mezzo in movimento.



I giudici di merito, secondo la Sez. IV, con motivazione congrua e logica avevano dato atto che l'imputato non aveva verificato l'idoneità del piano operativo di sicurezza ( POS), che non aveva preso atto, nonostante i lavori fossero andati avanti da molti mesi, che la scarpata estremamente ripida costituiva un serio pericolo per l'incolumità e persino per la vita dei dipendenti; che non aveva considerato la insufficienza, a fronte del rischio di precipitazione nella scarpata, della mera presenza di un operatore a terra e che aveva trascurato elementi premonitori di rischio, pur presenti (la vetustà del mezzo, in pessime condizioni, privo di sistemi di protezione antischiacciamento del guidatore e di sistemi di ritenuta)" Corte di Cassazione, IV Sezione penale, n. 10136 del 16/3/2020
Rispondi Autore: Giovanni Bersani - likes: 0
06/07/2020 (18:09:11)
Non me ne voglia chi mi ha preceduto, ma chiedo solo lumi per capire se mi è sfuggito qualcosa: il commento mi parrebbe essere una mera copiatura di alcuni parti dell'articolo stesso, compreso il rif. alla sentenza.
A che pro... Per dar manforte all'autore, quasi ne avesse bisogno, ricopiando il testo? O forse mi è sfuggito un apporto utile... che allora mi serve visto il tema molto interessante. Grazie
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
06/07/2020 (21:04:11)
Giovanni Bersani le è sfuggito il fatto che io sostengo una cosa diametralmente opposta a quanto scrive l'autore dell'articolo. Lui critica la sentenza che io definisco eccellente. Rilegga con attenzione.
Rispondi Autore: Tedone Massimo - likes: 0
07/07/2020 (00:13:25)
Scusate ma voglio permettermi di far presente una cosa molto importante; non solo in questo caso siamo dinnanzi a due più che seri e preparati professionisti ma l'Avv. Dubini, che ho conosciuto nella mia città, Genova, quello che secondo me vuole comunicare è che il grandissimo problema è far capire ai tecnici e addetti ai lavori, come ragiona la Cassazione.
Quindi giusto per esempio, se pianti un chiodo e ti fai male, al Giudice non interessa solo come e perchè ti sei fatto male ma se era necessario fare tale operazione. Ora pensate a un qualcosa di più grande.
Rispondi Autore: Giovanni Bersani - likes: 0
07/07/2020 (10:43:50)
Ok grazie, ora ho capito meglio la sottigliezza della diversità di opinione.
Per quanto mi riguarda da sempre controllo senz'altro tutti gli aspetti di sicurezza, quindi anche quelli non interferenziali ma di 'contesto' ampio del cantiere, stando comunque attento durante i sopralluoghi a non fare (né dare l'idea fuorviante, appunto) il cane da guardia come fossi preposto o datore di lavoro, che sarebbe insensato e controproducente per me in primis.

Se poi in futuro la normativa verrà meglio scritta (come quindi auspica l'autore dell'articolo) ben venga una minor responsabilità del CSE su ciò che interferenziale non è...
Ma al momento... occhio a tutto ciò che è parte del'organizzazione e a ciò che, anche se non interferenziale, è 'duraturo'...
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
07/07/2020 (11:25:11)
La normativa è recepimento di una direttiva europea. Non può essere scritta diversamente perché l'Italia, come qualunque stato membro della UE, è obbligata a recepire fedelmente le direttive. A differenza di quanto scrive l'autore io ritengo la norma vigente chiarissima, attuale e, se applicata correttamente, perfettamente adeguata a garantire la sicurezza nei cantieri. I CSE scrupolosi solitamente vengono assolti, e io stesso be ho fatti assolvere diversi come difensore in giudizio. Non esistono i magistrati innocentisti o colpevolisti. Esistono difese in grado di dimostrare l'innocenza dell'imputato che ha applicato scrupolosamente le norme di legge. La legalità è il fondamento della convivenza civile. Non mi pare poi che la differenza tra la mia posizione e quella dell'autore sia sottile. In verità è enorme. Da giurista professionista non condivido nulla di quello che ha scritto.
Rispondi Autore: Giovanni Bersani - likes: 0
07/07/2020 (12:44:12)
Per mia fortuna non ho avuto il dispiacere di essere chiamato a giudizio... ma da quanto ho sentito raccontare da colleghi, e da quanto leggo nelle sentenze commentate, lei Dubini mi pare un po' troppo apodittico in queste sue affermazioni, relativamente sia al modus operandi dei magistrati che all'autore dell'articolo.
Detto ciò, ognuno la pensi come ritiene giusto e andiamo avanti rispettosamente. Un saluto
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
07/07/2020 (17:56:43)
Non è questione di essere apodittici o meno, la questione è la perizia professionale di chi scrive a ragion veduta. Io non mi limito a commentare le sentenze della Cassazione, io vado a esercitare la funzione di difensore avanti ai giudici della Suprema Corte di Cassazione penale, difendo gli imputati dal verbale di Prescrizione fino al giudizio definitivo, quindi parlo di cose che vivo ogni giorno direttamente, non come spettatore. Il rigore paga sempre, il metodo a spanne meno.
.
Rispondi Autore: Giovanni Bersani - likes: 0
07/07/2020 (19:02:27)
Dopo aver (lecitamente) detto che non concorda con l'articolista, ora di fatto gli sta dando dell'incompetente.
Io cerco di fermarmi qui, ci sono già state discussioni nei mesi scorsi e non è il caso di farne una fase 2.
Ribadisco la buona fortuna a lei, al suo lavoro e a quello di tutti nella 'filiera' safety.
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
07/07/2020 (19:17:28)
Guardi immagino che lei sia un ingegnere Giovanni Bersani, io faccio il mio mestiere di giurista, lavoro con le leggi e le sentenze ogni giorno, come avvocato, ed immagino che il suo lavoro sia ben diverso. Ad ognuno il suo, giusto? Se devo progettare un impianto mi rivolgo a professionisti come lei. Immagino che se lei deve farsi difendere avanti un giudice non lo farà di persona.
Rispondi Autore: Giovanni Bersani - likes: 0
07/07/2020 (19:41:16)
Certo e CONCORDO in generale... ma ammetto che se avrò bisogno forse non chiamerò lei (è una battuta...).
E' vero che, ad esempio, l'ambito giuridico è specifico, delicato ecc. ma forse non si può essere così 'tranchant'... ci sono prestazioni professionali e situazioni lavorative che richiedono flessibilità, competenze trasversali, ecc. ecc.
Tra l'altro, consequenzialmente, potrebbe/dovrebbe anche suggerire alla Redazione di Puntosicuro di rinunciare a certe collaborazioni perché allora parrebbero del tutto fuori luogo.
Non so... (e comincio a essere incerto su questa discussione pubblica, ma confido che almeno sia un minimo costruttiva).
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
07/07/2020 (19:44:56)
Siamo in Italia, e c'è spazio per tutti. Sta poi al lettore esercitare le sue capacità critiche e valutare autonomamente le situazioni. Io non suggerisco proprio nulla alla redazione, che non ha bisogno di essere tirata per la giacchetta da nessuno. Sa benissimo cosa fare, e lo fa molto bene da tanti anni. D'altro canto senza un po di pepe nessuno leggerebbe nulla, o molto poco. L'importante è che l'obiettivo sia la massima professionalità, cosa non facile ne semplice. D'altra parte Lei no n ha certo bisogno di me, può benissimo difendersi da solo.
Rispondi Autore: Gerardo Porreca - likes: 0
13/07/2020 (11:19:07)
Mi aspettavo dei commenti un po’ più costruttivi, data l’estrema importanza del tema di cui alla sentenza, e meno critici e pieni di inutili polemiche. Con l’amico Dubini condivido che ognuno è libero di pensare e dire quello che vuole ma quando vengono fatte delle affermazioni sul mio conto che non rispondono al vero mi sento in dovere, anche se non amo molto entrare nelle mischie, di intervenire per apportare delle opportune rettifiche. Ho alle spalle, e pensavo che lo sapesse e mi conoscesse meglio, una esperienza di più di 45 anni di attività ispettiva in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolar modo nel settore dell’edilizia, e di consulenze tecniche e giudiziarie, ancora in corso, e non mi limito quindi solo a commentare le sentenze emanate dalla Corte di Cassazione, come ho avuto modo di leggere.
Ho stima nella Cassazione quanto lui se non più e certamente non la critico ma anzi l’ammiro: le centinaia di sentenze commentate parlano da sé. Quelli che critico invece sono i giudici di merito ma solo quando non si allineano agli indirizzi che la stessa Corte suprema fornisce in merito alle interpretazioni delle disposizioni di legge e alla individuazione delle responsabilità dei vari operatori di sicurezza che in questo caso sono i coordinatori per la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili.
Anche io, come tanti altri, ho assistito e assisto coordinatori che sono rimasti coinvolti in procedimenti giudiziari a seguito di infortuni sul lavoro e mi impegno a tirarli fuori dai guai giudiziari riuscendoci spesso con successo specie quando hanno operato correttamente nel cantiere. Quindi, che si sappia, parlo a ragion veduta per cui mi è seccato un po’ aver sentito parlare di mancata perizia professionale
Quello che non condivido invece con quanto sostenuto da Dubini è che le disposizioni di legge sulle competenze dei coordinatori nei cantieri edili siano chiare e precise. Se lo lasci dire da uno che di cantieri ne ha bazzicati proprio per il controllo dell’applicazione delle disposizioni stesse. Del resto se così fosse non avremmo decisioni e sentenze così contrastanti da parte dei giudici per quanto riguarda le competenze dei CSE e le loro responsabilità per eventi infortunistici accaduti nei cantieri. Nella mia esperienza, posso dire, ho visto condannare imputati anche se ho dimostrato la loro innocenza per avere gli stessi applicato scrupolosamente le norme di legge e ciò è accaduto perché le norme a volte non sono chiare o sono comunque ambigue.
Ecco allora la domanda che rappresenta un po’ il filo conduttore del commento di questa sentenza. I rischi che deve gestire il CSE nei cantieri sono anche quelli specifici di ogni singola impresa o sono solo quelli di essi che risultano essere anche interferenziali fra le imprese? Dobbiamo dare una chiara risposta a questa domanda. Neanche questa volta si è avuta una chiara risposta ed è proprio questa incertezza che porta i giudici di merito a decidere caso per caso e a seconda delle circostanze in un senso o nell’altro, il che è inaccettabile.
Una risposta lo scrivente l’ha comunque individuata leggendo le affermazioni fatte dalla suprema Corte in alcune delle ultime sentenze nelle quali ha sostenuto che “per determinare l'estensione della posizione di garanzia occorre prima inquadrare la natura del rischio, verificando in concreto se la sua realizzazione sia conseguenza di un'attività riconducibile all'interferenza fra l'opera di più imprese o se, invece, essa inerisca all'esclusiva attività della singola impresa” (sentenza n. 45317 del 7/11/2019 Sez. feriale penale) e ancora che “il CSE ha una autonoma funzione di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto). L'unica eccezione è costituita dalla previsione di cui all'art. 92 lett. f) D. lgs 81/08 secondo cui egli, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, ed evidentemente immediatamente percettibile, è tenuto a sospendere le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate. Il coordinatore per l'esecuzione, in altri termini, non è il controllore del datore di lavoro, ma il gestore del rischio interferenziale. (sentenza n. 27165 del 4/7/2016 IV Sezione penale).
E’ questa la via da seguire e l’inquadramento della natura dei rischi va fatta fin dai primi gradi di giudizio ed è in quella sede che si valuta la vera professionalità dei difensori e dei consulenti tecnici né dobbiamo aspettare che sia la Cassazione a imporlo. Quante volte la suprema Corte ha rinviato alle corti territoriali il procedimento perché questa valutazione era stata omessa? Certo se ogni carenza di sicurezza specifica delle singole imprese la vogliamo inquadrare come una carenza della organizzazione del cantiere sottoposta al controllo del CSE, come si è verificato nel caso della sentenza in commento è chiaro che per i CSE non ci sarà scampo e sarà sempre ritenuto responsabile delle conseguenze e questo non è giusto.
E’ per questo quindi e per questa ambiguità che si ritiene che sarebbe opportuno investire del problema il legislatore o quanto meno il Ministero del Lavoro affinché fornisca dei chiarimenti o apporti delle opportune modifiche alle disposizioni i legge. Le norme sono europee, viene detto, e non si possono cambiare, ma quante volte le abbiamo modificate, integrate se non raggirate per adeguarle alle nostre esigenze? In conclusione mi aspettavo dei suggerimenti sulle iniziative che si potrebbero prendere per intervenire sulle norme e invece, dopo tante discussioni, non ci rimangono in mano che dei pareri apodittici, come ha osservato un interlocutore, e un pugno di critiche e di polemiche inutili. Che delusione.
Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0
13/07/2020 (19:13:23)
https://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/ruoli-figure-C-7/coordinatori-C-78/l-attivita-del-cse-controllore-aggiunto-o-regista-della-sicurezza-AR-16273/
Rispondi Autore: Gaetano - likes: 0
17/07/2020 (00:03:58)
Quando gli avvocati si improvvisano CSE...! Caro Dubini se la normativa fosse chiara i tribunali sarebbero meno sotto pressione. Vale nella sicurezza, ma in molti altri campi e questa aleatorietà giova a chi con i tribunali mangia.
Rispondi Autore: Giovanni - likes: 0
18/07/2020 (17:03:08)
Mio Dio....quando la contestazione ed il pensar diversamente dagli altri ( la maggior parte se non quasi totalità) uno c'è l'ha nel sangue ..... non c'e niente da fare . D'altronde si capisce ..... la visibilità e la ricerca di clienti .... Buona domenica a tutti nessuno escluso
Rispondi Autore: carmelo catanoso - likes: 0
19/07/2020 (09:38:58)
Purtroppo il nostro legislatore ha totalmente ignorato che la direttiva 92/57/CEE non era nata con l'obiettivo di aggiungere un ulteriore livello di controllo sull'operato delle impresa da parte del CSE.

Su Puntosicuro (vedi link sottostante), avevo proposto dei suggerimenti per riavvicinarci agli obiettivi del legislatore europeo.
Sono suggerimenti già proposti ai tempi del 528 (1999) e del 106 (2009).

Purtroppo il mix tra incompetenza, mancanza di consapevolezza situazionale e ideologia del nostro "legislatore" genera situazioni confuse anche a distanza di 23 anni dall'entrata in vigore del provvedimento di recepimento (D.Lgs. n. 494/1996) della citata direttiva.
https://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/settori-C-4/edilizia-C-10/perche-non-rivedere-il-capo-i-del-titolo-iv-del-d.lgs.-n-81/2008-AR-16921/

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