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Su un infortunio per una vetrata non segnalata

Su un infortunio per una vetrata non segnalata
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

13/02/2023

Le pareti completamente vetrate nelle vie di circolazione devono essere chiaramente segnalate e costituite da materiali di sicurezza fino all’altezza di un metro dal pavimento in modo tale che i lavoratori non possano entrare in contatto con le stesse.

Le pareti trasparenti o traslucide e in particolare le pareti completamente vetrate nei locali o nelle vicinanze dei posti di lavoro e delle vie di circolazione, devono essere chiaramente segnalate e costituite da materiali di sicurezza fino all’altezza di un metro dal pavimento, ovvero essere separate dai posti di lavoro e dalle vie di circolazione in modo tale che i lavoratori non possano entrare in contatto con loro, né rimanere feriti qualora esse vadano in frantumi. E’ una prescrizione questa contenuta nel punto 1.3.6. dell’Allegato IV del D. Lgs. n. 81/2008, nel quale sono riportati i requisiti dei luoghi di lavoro, la cui violazione è stata contestata alla titolare di un esercizio commerciale condannata dal Tribunale, con sentenza successivamente confermata dalla Corte di Appello, in ordine al delitto di cui all’art. 590 del codice penale per l’infortunio subito da una cliente che nell’uscire dal negozio dalla stessa gestito aveva impattato con il volto sulla parte chiusa di una vetrina sulla quale non vi era indicazione alcuna della presenza del vetro così riportando la frattura del setto nasale.

 

Il ricorso presentato dalla titolare dell’esercizio, basato su elementi quali l’inattendibilità della ricostruzione dell’accaduto fatta dalla persona offesa e da alcuni testi, il comportamento anomalo tenuto dalla vittima dopo l’accaduto, il dubbio che l’incidente fosse avvenuto altrove e non nell’esercizio commerciale e l’esistenza di una documentazione attestante la presenza di tavolini e manichini davanti alla vetrata che avrebbero impedito l’impatto, è stato ritenuto inammissibile dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla prevista somma di tremila euro a favore della cassa delle ammende..

 

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Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

La Corte d'Appello ha confermata la sentenza di condanna della titolare di un esercizio commerciale emessa dal Tribunale alla pena di un mese di reclusione (con il beneficio della sospensione condizionale) in ordine al delitto di cui all'art. 590 cod. pen. in relazione all'art. 63 e al punto 1.3.6. dell’allegato IV del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81. Il processo aveva avuto ad oggetto l’infortunio di una cliente che, uscendo dal negozio gestito dall'imputata, aveva impattato con il volto sulla parte chiusa di una vetrina sulla quale non vi era indicazione alcuna della presenza del vetro, riportando così la frattura del setto nasale. All'imputata sono stati contestati, quali addebiti di colpa, negligenza, imprudenza, imperizia e violazione della normativa di prevenzione infortuni sul lavoro, per aver omesso di attuare un adeguato sistema di segnalazione della parete vetrata posta all'ingresso dell'esercizio commerciale.

 

L'imputata ha proposto ricorso, a mezzo di difensore, formulando alcune motivazioni. Con un primo motivo ha osservato essere maturato il termine massimo di prescrizione pari a 7 anni e 6 mesi. Con il secondo motivo ha dedotto la violazione di legge ed in specie dell'art. 546 cod. proc. pen. per avere la Corte di Appello motivato per relationem in ordine ai profili evidenziati con l'impugnazione. Il difensore ha lamentato in particolare che la Corte di Appello avrebbe operato un mero richiamo ai passaggi della sentenza di primo grado e non avrebbe adeguatamente replicato al rilievo sul fatto che nessuno si fosse accorto dell'incidente e che la persona offesa non si fosse immediatamente rivolta alla proprietaria del negozio né replicato al rilievo per cui nel referto del Pronto Soccorso nella modalità lesiva era stata sbarrata la voce "altro".

 

Con altro motivo la difesa ha dedotto il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta plausibilità della ricostruzione della parte civile. Secondo il ricorrente la Corte non aveva spiegato in particolare come avesse potuto l'imputata non accorgersi dell'incidente e più in generale non aveva adeguatamente motivato in merito alla credibilità della versione della parte civile e di una teste intervenuta nel processo. Il difensore inoltre ha rilevato che il Servizio di Prevenzione della Asl, nel corso del suo sopralluogo dopo l’incidente, non aveva riscontrato irregolarità, ovvero la violazione dell'art. 63 del D. Lgs n. 81/2008 e che l'affermazione fatta dalla Corte di Appello per cui la vetrina il giorno dell'infortunio non era protetta dall'interno e quindi segnalata con tavolino e manichini non aveva tenuto conto delle dichiarazioni dei testi della difesa. Con un quarto motivo ancora ha dedotto la violazione di legge ed in particolare dell'art. 133 cod. pen. in relazione al trattamento sanzionatorio ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il difensore ha poi lamentato in particolare che la Corte nella individuazione della pena non avrebbe tenuto in debito conto tutti i parametri indicati nell'art. 133 cod. pen. e avrebbe negato, senza adeguata motivazione le circostanze di cui all'art. 62 bis cod. pen..

 

Il procuratore generale, da parte sua, ha presentato conclusioni scritte con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e il difensore della parte civile successivamente ha depositato conclusioni con cui ha insistito per la dichiarazione di inammissibilità.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso. La stessa, circa il motivo con cui si è eccepita l’intervenuta prescrizione ha constatato che alla data della sentenza di secondo grado il termine massimo di prescrizione pari ad anni 7 e mesi 6 decorrenti dall’accaduto non era ancora spirato e, inoltre, al fine di meglio perimetrare i confini del giudizio di legittimità, ha ribadito alcuni principi importanti in relazione alle doglianze oggetto del ricorso.

 

Nel caso in cui il giudice di appello confermi la sentenza di primo grado, ha precisato, le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, purché la sentenza di appello si richiami alla sentenza di primo grado e adotti gli stessi criteri di valutazione della prova. Quanto alla natura del ricorso in cassazione, è stato affermato che il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione deve essere il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Sono, perciò, estranei alla natura del sindacato di legittimità l'apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori attinenti al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte di Cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e sono precluse altresì al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.

 

Circa i motivi inerenti il difetto di motivazione della sentenza della Corte di Appello in ordine alla affermazione della penale responsabilità, sia in relazione all'utilizzo della tecnica della motivazione per relationem, sia in relazione alla omessa autonoma considerazione delle censure fatte valere con l'atto di impugnazione, la suprema Corte li ha ritenuti manifestamente infondati.

La Corte di Appello in conformità ai principi sopra richiamati ha operato un richiamo alle argomentazioni svolte dal primo giudice in ordine alla ricostruzione del fatto, ma ha poi preso in esame le singole doglianze replicando ad ognuna di esse con motivazione congrua, coerente con i dati di fatto riportati e non illogica. La Corte ha, infatti, rilevato che:

  • l'attendibilità della parte civile non poteva essere revocata in dubbio, in quanto la sua deposizione era stata riscontrata da una teste;
  • il comportamento della parte civile dopo l'incidente, lungi dal poter essere considerato anomalo, valeva semmai a confermare la sua versione: la donna, non appena aveva avvertito dolore, infatti, si era recata ala Pronto Soccorso ove le era stata diagnosticata la frattura scomposta dell'osso nasale destro e quattro giorni dopo il fatto aveva inviato una raccomandata A.R. all'indirizzo dell'esercizio commerciale con descrizione dell'infortunio e richiesta di conoscere il nominativo della compagnia di assicurazioni. Il fatto che nel referto del Pronto Soccorso fosse stata sbarrata la casella "altro" a proposito della indicazione della modalità lesiva si spiegava, secondo la Sez. IV, con l'assenza, fra le tipologie di cause predeterminate nel programma informatico di compilazione del referto, della causa specifica verificatasi.
  • la tesi per cui la cliente infortunatasi e la teste si fossero accordate per addossare all'imputata, che nemmeno conoscevano, la responsabilità di un incidente avvenuto altrove, oltre che priva di riscontri, era inverosimile;
  • il mancato riconoscimento da parte della persona offesa dell’imputata come persona presente in negozio il giorno dell’accaduto poteva essere spiegato con il fatto che l'imputata era effettivamente assente e si fosse fatta sostituire da qualcuno; nessun rilievo poteva essere attribuito all'accertamento per cui la titolare del negozio non aveva commesse alle sue dipendenze, giacché poteva essersi trattato di una sostituzione momentanea;
  • le fotografie in atti valevano a dimostrare che davanti alla vetrina non vi erano né tavolino, né manichino che impedissero ai clienti di urtare contro il vetro nell'uscita, mentre il sopralluogo della Asl era stato effettuato per verificare, a distanza di nove mesi rispetto ai fatti, l'adempimento della prescrizione impartita a seguito dell'infortunio e i testi a difesa, una delle quali non indifferente in quanto sorella dell'imputata, si erano limitate a riferire la situazione da loro di solito percepita e non anche quella effettiva del giorno dell'incidente.

 

La Corte di Appello, quindi, secondo la Sez. IV, si è soffermata su ogni singola censura mossa con l'atto di impugnazione e con argomentazione esaustiva e logica mentre la ricorrente di contro, ha riproposto gli stessi motivi già dedotti, senza confrontarsi con il percorso argomentativo del giudice di appello e ha sollecitato la Corte di legittimità ad una inammissibile lettura alternativa del compendio probatorio.

 

La suprema Corte, infine, con riferimento al trattamento sanzionatorio ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ha precisato che, secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito così come pure, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità. Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione.

 

La Corte di Appello ha fatto in definitiva, secondo la Cassazione, buon governo di tali principi ed ha ritenuto che la pena di un mese di reclusione fosse addirittura troppo mite, se rapportata al grado della colpa e all'assenza di segnali di ravvedimento, né che fossero riconoscibili le circostanze attenuanti generiche, in assenza di elementi da valorizzare ai fini di una ulteriore mitigazione del trattamento sanzionatorio,

 

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso è seguita la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 3000 euro in favore della cassa delle ammende, nonché la condanna alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile che ha liquidate in complessivi 3000 euro, oltre agli accessori di legge.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 2308 del 20 gennaio 2023 (u. p. 16 dicembre 2022) - Pres. Montagni – Est. Ricci – P.M. Serrao D’Aquino - Ric. M.B.C.. - Le pareti completamente vetrate nelle vie di circolazione devono essere chiaramente segnalate e costituite da materiali di sicurezza fino all’altezza di un metro dal pavimento in modo tale che i lavoratori non possano entrare in contatto con le stesse.




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