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Non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo

Non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

11/11/2024

Il datore di lavoro è il garante della sicurezza del lavoratore per cui ove non ottemperi agli obblighi di tutela risponde di un evento lesivo in base al principio che non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.

 La Corte di Cassazione ha rivolta la propria attenzione in questa sentenza sull’obbligo posto a carico del datore di lavoro di provvedere a valutare tutti i rischi presenti nella propria azienda e di elaborare il relativo documento di valutazione nel quale riportare i rischi stessi e le misure adottate per eliminarli o ridurli al minimo, obbligo che il legislatore ha volutamente reso indelegabile con l’articolo 17 del D. Lgs n. 81/2008. E’ stato ribadito anche dalla suprema Corte nell’occasione il principio ormai saldamente consolidato in giurisprudenza secondo cui il datore di lavoro, proprio in forza delle disposizioni specifiche previste dalla normativa antinfortunistica oltre che di quella generale di cui all'art. 2087 c.c., è il ‘garante’ dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del lavoratore, con la conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, un evento lesivo gli viene addebitato in forza del principio secondo cui “non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” (art. 40, comma 2, cod. pen..

 

L’infortunio di cui al procedimento penale in esame era accaduto a un lavoratore che, nel mentre in una azienda era intento ad eseguire delle operazioni di carico di alcune capriate sul rimorchio di un automezzo per il successivo trasporto, era stato investito dal ribaltamento di una di esse che, dopo essere stata poggiata sul mezzo e non  adeguatamente assicurata con fasce alle sponde del mezzo stesso, si era rovesciata investendolo e procurandogli gravi lesioni costituite da trauma toracico, contusioni multiple e distorsione grave alla caviglia, con durata della malattia superiore a 40 giorni.

 

Per quanto accaduto è stato condannato dal Tribunale, con sentenza confermata dalla Corte di Appello, alla pena di 1.000 euro di multa per il reato di lesioni colpose un dirigente dell’azienda con delega alla sicurezza per essere venuto meno all'obbligo di organizzare l'attività di carico degli elementi prefabbricati in modo che ne fosse garantita la stabilità in ogni fase.  Lo stesso ha ricorso però per cassazione sostenendo che l’incidente non era accaduto per una mancata organizzazione dei lavori ma per una carenza del documento di valutazione dei rischi (DVR) e quindi per un fatto non di sua competenza ma di competenza del suo datore di lavoro. 

 

La Corte di Cassazione ha osservato che nella sentenza emanata dalla Corte territoriale, benché fosse stato reiteratamente sottolineato che sul datore di lavoro grava l’obbligo di valutare tutti i rischi, anche sulla base dell’esperienza e della scienza tecnica, e fosse stato bene evidenziato che il DVR richiedeva una integrazione contenente ulteriori istruzioni in merito alla organizzazione delle operazioni di carico, non aveva escluso che tale compito potesse formare oggetto di valida ed efficace delega a terzi, alla luce del disposto dell’art. 17 del D. Lgs. n. 81/2008 ritenendo peraltro il delegato un alter ego del datore di lavoro. Avendo ritenuta quindi la sentenza impugnata insufficientemente motivata ed essendo incorsa la stessa nel vizio denunciato consistito nel non avere chiarito perché l’imputato fosse tenuto a prescrivere le regole precauzionali integrative del DVR idonee ad evitare il rischio concretizzatosi in luogo del datore di lavoro ed in una materia da quest’ultimo non delegabile, ha annullata la sentenza stessa con rinvio pe un nuovo giudizio alla Corte di Appello di provenienza.



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Il fatto e l’iter giudiziario.

La Corte di Appello ha confermata la sentenza pronunciata dal Tribunale con la quale il dirigente di una società, con delega di funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, era stato condannato alla pena di 1.000 euro di multa per il reato di lesioni colpose subite da un dipendente della società il quale, mentre era intento ad eseguire le operazioni di carico di alcune capriate, era stato investito dal ribaltamento di una di esse che, dopo essere stata poggiata sul rimorchio per il successivo trasporto, si era rovesciata, non essendo stata adeguatamente assicurata con fasce alle sponde del mezzo, attingendo lo stesso lavoratore che riportava pertanto lesioni costituite da trauma toracico, contusioni multiple, distorsione grave alla caviglia, con durata della malattia superiore a 40 giorni.

 

I giudici di merito, con decisioni conformi, avevano ritenuto che l'imputato, nella sua qualità di dirigente con delega alla sicurezza, era venuto meno all'obbligo di organizzare l'attività di carico degli elementi prefabbricati in modo che ne fosse garantita la stabilità in ogni fase. La Corte di Appello, aveva rilevato, rispetto al documento di valutazione dei rischi che prevedeva in maniera generica lo stoccaggio ordinato e stabile del materiale vietando lo stazionamento degli operatori sotto i carichi in movimento e posizionamento, che non erano state fornite ai dipendenti prescrizioni più puntuali e precise, in tal modo non impedendo la prassi aziendale secondo la quale il carico veniva trasportato fin sopra il rimorchio con il carrello elevatore, poi abbassato sul rimorchio e sostenuto solo con le mani da un lavoratore affinché non si rovesciasse, quindi sganciato dal carrello e tenuto in posizione dall'addetto fino all'arrivo del carico successivo, e solo al termine delle operazioni di carico di tutti i pannelli, si provvedeva a legarli con fasce.

 

Si era ritenuto che l'imputato avrebbe dovuto organizzare l'attività di carico degli elementi prefabbricati in modo che ne fosse assicurata la stabilità in ogni fase, prevedendo il fissaggio di ciascun pannello alle sponde del rimorchio, prima che lo stesso venisse sganciato dal mezzo di sollevamento. La Corte distrettuale aveva quindi ricondotto l'evento al fatto che le singole strutture (capriate) non erano state ancorate, una per una, alle sponde, ma fissate solo al termine delle operazioni di carico.

 

II documento di valutazione dei rischi, ha osservato ancora la Corte, prevedeva al riguardo, a livello generale, che lo stoccaggio avvenisse in modo ordinato, assicurando la stabilità del materiale ma tale previsione necessitava tuttavia di essere meglio definita, disciplinando l'attività di carico degli elementi prefabbricati in modo tale che fosse garantita la stabilità degli elementi in ogni fase lavorativa, mediante il fissaggio di ciascuna struttura alle sponde del rimorchio prima che la stessa venisse sganciata dal mezzo di sollevamento. Tale regola precauzionale era stata, in effetti, inserita successivamente al sinistro allorquando erano state dettate specifiche prescrizioni che prevedevano che, in fase di carico, l'operatore procedesse al fissaggio della prima parete al piantone mediante fascia e viti, e analogamente, in sequenza, ad assicurare le pareti successivamente caricate, mediante catene e viti; in tal modo, solo dopo aver messo in sicurezza la singola parete, l'operatore avrebbe dato il segnale per lo gancio dal mezzo di sollevamento.

 

In ordine al ruolo dell'imputato ed alla sua responsabilità, la Corte di Appello, dopo aver richiamato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui sul datore di lavoro grava l'obbligo di valutare tutti i rischi connessi all'attività lavorativa e di individuare così le misure cautelari necessarie a prevenirli, adottandole ed assicurandosi che i lavoratori le osservino, obbligo di prevenzione che non è limitato al solo rispetto delle norme tecniche ma che richiede anche la produzione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi per i lavoratori, ha affermato che, nel caso in esame, al dirigente imputato, quale delegato del datore di lavoro ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 81/2008, competeva l'adozione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi per i lavoratori con valutazione adeguata e completa per specificare concretamente regole descrittive dei comportamenti da tenere per prevenirne il verificarsi di incidenti.

 

La Corte di Appello ha richiamato quindi il contenuto della delega, rilasciata con atto notarile, con la quale lo stesso era stato delegato, ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 81/08, allo svolgimento di tutte le funzioni del datore di lavoro delegabili relative alla sicurezza con riferimento a tutte le proprie sedi, stabilimenti, uffici, luoghi di lavorazione ed unità produttive. Il documento prevedeva, tra gli obblighi specificamente delegati, quelli di curare la completa attuazione di tutte le misure di protezione e prevenzione contenute nei documenti di valutazione dei rischi relativamente alle attività svolte nelle diverse sedi, cantieri e unità produttive (lett. a della delega); curare l'aggiornamento delle misure di prevenzione e protezione e dei documenti di valutazione dei rischi (lett. b); curare il corretto utilizzo da parte dei lavoratori collaboratori delle attrezzature di lavoro (lett. d); curare la formazione, l'informazione e l'addestramento dei propri preposti e dei lavoratori (lett. h). Era stato altresì evidenziato che l’imputato avrebbe dovuto adottare le stesse prescrizioni che erano state impartite subito dopo che era avvenuto il sinistro, al fine di evitare che quanto già accaduto potesse ulteriormente ripetersi.

 

Il ricorso per cassazione e le motivazioni.

L’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza della Corte di merito per l'inosservanza ed erronea applicazione della legge, sulla base di un unico motivo. Lo stesso ha rilevato, in primo luogo, che dalla lettura della sentenza non emerge con chiarezza se l'omissione a lui contestata fosse riconducibile alla sola mancanza di adozione di procedure operative che dessero concreta attuazione alle linee generali previste dal documento di valutazione dei rischi, ovvero anche ad una preventiva insufficiente e lacunosa redazione del documento medesimo.

 

Il difensore ha evidenziato altresì che il ricorrente era stato ritenuto responsabile nella sua veste di delegato dall'amministratore ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 81/2008 e che la suddetta delega, che ha lo scopo di trasferire obblighi, funzioni, responsabilità del datore di lavoro ad altro soggetto, non può essere estesa all'all'elaborazione del documento di valutazione dei rischi ed alla designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi, essendo ciò testualmente impedito dalla disposizione contenuta nel successivo articolo 17. Alla luce di tale ricostruzione, quindi, ha sostenuto il ricorrente, il giudice di secondo grado, avendolo ritenuto responsabile per una inadeguatezza del documento di valutazione dei rischi, non avrebbe potuto ascrivergli l'addebito, stante la non delegabilità della redazione del suddetto documento. Ugualmente estraneo alla sua sfera soggettiva sarebbe stato altresì l'addebito di responsabilità riguardo alla mancata predisposizione di specifiche istruzioni operative attuative del documento di valutazione dei rischi.

 

La difesa del ricorrente, in proposito, ha ricordato che la normativa antinfortunistica delinea essenzialmente tre figure di garanti che incarnano distinte funzioni e livelli di responsabilità; la prima è quella del datore di lavoro che ha la responsabilità dell'organizzazione aziendale e dell'unità produttiva; la seconda, del dirigente che attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività in vigilando su di essa; la terza, del preposto, ovvero colui che sovrintende all'attività che attua le direttive ricevute controllandone l'esecuzione. In tale cornice la delega opera la traslazione al delegato dei poteri e responsabilità proprie del delegante nei limiti in cui è consentita dalla legge.

 

In ragione di detti principi, all’imputato quindi sarebbero stati attribuiti erroneamente il ruolo di datore di lavoro e di dirigente, che, in astratto, possono pure coesistere ma, in una realtà aziendale complessa come quella della società di appartenenza alle cui dipendenze lavoravano circa 300 persone, con cantieri distribuiti su tutto il territorio nazionale, le tre figure avrebbero dovuto essere distinte, e per ognuna individuato un centro di obblighi e responsabilità differente. Infine, ha ritenuto non pertinente il richiamo al contenuto della delega rilasciata all'imputato, posto che la stessa non conteneva specifiche previsioni limitandosi a ripetere gli obblighi e gli adempimenti già attribuiti dalla legge al datore di lavoro, senza far venir meno la suddivisione dei ruoli aziendali tra datore di lavoro, dirigente e preposto.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione. La stessa ha osservato che nella sentenza della Corte distrettuale è emersa effettivamente la contraddizione, evidenziata dal ricorrente, ravvisabile nell'aver sottolineato, da un lato, che il sinistro rientrava nella sfera di controllo del datore di lavoro; che le precauzioni necessarie a prevenire il sinistro non erano state colposamente indicate nel DVR dal medesimo predisposto, giudicato lacunoso e dall'altro, che l’imputato, in ciò essendo stata ravvisata la sua colpa, avrebbe dovuto previamente adottare, in qualità di delegato in materia di sicurezza, le stesse prescrizioni successivamente inserite, al fine di contenere il rischio di verificazione dell'evento.

 

Si tratta delle istruzioni lavorative, adottate ad integrazione del DVR lacunoso che non aveva adeguatamente valutato il rischio di ribaltamento dei manufatti prefabbricati di grandi dimensioni durante la fase del loro carico sui mezzi di trasporto. Il DVR, infatti, si era limitato a prevedere che lo stoccaggio avvenisse in modo ordinato, assicurando la stabilità del materiale, laddove invece le richiamate istruzioni lavorative prescrivevano modalità di carico effettivamente idonee a contenere il rischio di ribaltamento.

 

Nella decisione impugnata, ha evidenziato la suprema Corte, al fine di ricollegare il rischio in esame alle funzioni svolte dall'imputato, è stato ritenuto che lo stesso, in virtù della delega conferitagli, avesse assunto la stessa posizione di garanzia del datore di lavoro delegante, sul quale grava l'obbligo di valutare tutti i rischi connessi all'attività lavorativa e di individuare così le misure cautelari necessarie a prevenirli, adottandole ed assicurandosi che i lavoratori le osservino.

 

Tale motivazione però, ha ricordato la Sezione IV, è in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza, e poi recepiti anche nel testo unico sulla sicurezza del lavoro, in tema di allocazione delle responsabilità per la violazione delle norme antinfortunistiche. Giova infatti rammentare al riguardo che, secondo affermazione consolidata nella giurisprudenza della Corte di legittimità, il datore di lavoro, che nelle società di capitali, per altrettanto consolidato indirizzo, si identifica con il legale rappresentante è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica. Ciò dovendosi desumere, anche a non voler considerare gli obblighi specifici in tal senso posti a carico dello stesso datore di lavoro dal D. Lgs. n. 81/2008, dalla "norma di chiusura" stabilita nell'art. 2087 cod. civ., che integra tuttora la legislazione speciale di prevenzione, imponendo al datore di lavoro di farsi tout court garante dell'incolumità del lavoratore.

 

Va, quindi, ribadito ancora una volta a tal punto, ha precisato la suprema Corte, che “il datore di lavoro, proprio in forza delle disposizioni specifiche previste dalla normativa antinfortunistica e di quella generale di cui all'art. 2087 c.c., è il ‘garante’ dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del lavoratore, con la già rilevata conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo gli viene addebitato in forza del principio che ‘non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo (art. 40, comma 2, cod. pen.)”.

 

È bensì vero che nelle imprese di grandi dimensioni occorre un puntuale accertamento, in concreto, della gerarchia delle responsabilità all'interno dell'apparato strutturale, così da verificare la eventuale predisposizione di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l'organo di vertice da responsabilità di livello intermedio e finale ma è altrettanto consolidato il principio che la delega non può essere illimitata quanto all'oggetto delle attività trasferibili.

 

Tali principi hanno trovato del resto conferma nel D. Lgs. n. 81 del 2008, il quale prevede, infatti, gli obblighi del datore di lavoro non delegabili, per l'importanza e, all'evidenza, per l'intima correlazione con le scelte aziendali di fondo che sono e rimangono attribuite al potere/dovere del datore di lavoro (art. 17). Trattasi in particolare a) dell'attività di valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza al fine della redazione del documento previsto dall’art. 28 del citato D. Lgs., contenente non solo l'analisi valutativa dei rischi, ma anche l'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate; b) della designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (RSPP).

 

Nel caso in esame, secondo la Corte di Cassazione, occorre concentrare l'analisi sulla redazione del documento di valutazione dei rischi, posto che la contestazione è connessa alle lacune ravvisate nella sua formulazione. La valutazione dei rischi connessi all'attività lavorativa, infatti, fin dalla entrata in vigore del D. Lgs. n. 626/1994, è il perno della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. Gli artt. 15, 17, 28 e 29 sono le principali disposizioni che si occupano della valutazione dei rischi, delineandone i profili più caratteristici, tra i quali qui è sufficiente rammentare la riserva in capo al datore di lavoro e la sua onnicomprensività: devono essere valutati tutti i rischi connessi all'attività lavorativa, ivi compresi quelli implicati dallo stesso modo di produzione.

 

Abbandonando l'indifferenza per l'organizzazione del lavoro manifestatasi con la legislazione degli anni Cinquanta del secolo scorso, il legislatore ha imposto al datore di lavoro di definire l'organizzazione per la produzione in modo che essa sia al contempo un'organizzazione per la prevenzione dei rischi ai quali è esposto il lavoratore. Di pari passo, l'attribuzione di responsabilità per il fatto colposo ha progressivamente spostato la propria attenzione dalla mancata adozione di singole misure di prevenzione alla mancata o inidonea progettazione della sicurezza del lavoro. Il deficit organizzativo è divenuto il principale addebito mosso al datore di lavoro. Si pretende da questi la predisposizione di un sistema di gestione della prevenzione, articolato in termini congrui rispetto alle dimensioni e alla complessità dell'organizzazione produttiva, sia quanto alle figure soggettive chiamate a concorrere al funzionamento di tale sistema, sia quanto alle funzioni da assegnare ai diversi ruoli, coerentemente al disegno legislativo che contempla, accanto al datore di lavoro, il dirigente, il preposto, il medico competente, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e, infine, lo stesso lavoratore (a tacere di altre figure, esterne all'organigramma aziendale), ciascuno titolare di compiti peculiari.

 

Come insegna la giurisprudenza della Corte di legittimità, ha ricordato la Sezione IV, in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l'obbligo di analizzare e individuare, con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro, e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D. Lgs. n. 81 del 2008, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.

 

Tanto premesso, la Corte di Cassazione ha osservato che la sentenza impugnata ha dapprima reiteratamente sottolineato che sul datore di lavoro grava l'obbligo di valutare tutti i rischi; che l'obbligo di prevenzione gravante sul medesimo non è limitato al solo rispetto delle norme tecniche ma richiede anche l'adozione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi per i lavoratori; che lo stesso datore di lavoro ha l'obbligo giuridico di analizzare ed individuare, anche sulla base dell'esperienza e della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, redigere ed aggiornare il DVR.

 

Successivamente però ha attribuito decisivo rilievo, ai fini in esame, alla delega conferita in materia di sicurezza all’imputato, ritenendolo perciò, in quanto espressamente delegato, un alter ego del datore di lavoro tenuto a valutare adeguatamente i rischi ed a specificare regole descrittive del comportamento da osservare per prevenire il verificarsi dell'evento. E tutto ciò, avendo pure affermato che il DVR era lacunoso, tanto da richiedere una integrazione con istruzioni che prevedevano differente, più articolata fase di lavorazione, con maggiori e più accurate cautele per l'operatore. Tuttavia, in questa prospettiva, non si è adeguatamente confrontata con i fondamentali aspetti della disciplina in materia.

 

Il fatto stesso che si trattasse di un aspetto dell'organizzazione ricompreso nel contenuto essenziale del documento di valutazione dei rischi avrebbe dovuto condurre ad escludere che i compiti e le responsabilità connesse al suo governo potessero formare oggetto di valida ed efficace delega a terzi, alla luce del testuale disposto dell'art. 17 del T.U. che, come detto, esclude espressamente la delegabilità della valutazione di tutti i rischi e della elaborazione del relativo documento (previsto dall'art. 28): attività che, ai sensi dell'art. 29, comma 3, deve essere "immediatamente" nuovamente eseguita "in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori".

 

In ciò, ha sostenuto la suprema Corte, ha colto nel segno la censura fatta dal ricorrente che ha contestata l'argomentazione contenuta in sentenza secondo cui la delega fosse idonea a trasferirgli compiti e responsabilità del datore di lavoro, connessi al fattore di rischio individuato ad origine dell'evento letale, trascurando di considerare che trattavasi di aspetto non contingente dell'organizzazione del lavoro all'interno del cantiere.  Ciò, del resto, è confermato dalla circostanza, pure contraddittoriamente evidenziata in altra parte della motivazione, dove si sostiene che la riprova della originaria insufficienza delle previsioni contenute nel DVR era ricavabile dalla successiva adozione di istruzioni operative che, in via generale, disponevano adeguate cautele riferite alla fase di carico propedeutico al trasporto dei suddetti manufatti.

 

La sentenza impugnata in conclusione si è rilevata, secondo la Corte di Cassazione, si è rivelata insufficientemente e contraddittoriamente motivata ed è incorsa nel denunciato vizio consistito nel non aver chiarito perché è stato ritenuto che l’imputato fosse tenuto a prescrivere le regole precauzionali integrative del DVR, idonee ad evitare il rischio concretizzatosi, in luogo del datore di lavoro ed in materia da quest'ultimo non delegabile. La sentenza è stata annullata e rinviata, per nuovo giudizio, alla Corte di Appello di provenienza.

 

Gerardo Porreca

 

 

 

Corte di Cassazione Sezione IV penale - Sentenza n. 39168 del 25 ottobre 2024 (u. p. 9 luglio 2024) -  Pres. Dovere  – Est. Branda – Ric. omissis.  - Il datore di lavoro è il garante della sicurezza del lavoratore per cui ove non ottemperi agli obblighi di tutela risponde di un evento lesivo in base al principio che non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.

 

 

 



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