Le responsabilità di committente e appaltatori negli appalti interni
E’ ancora una volta l’applicazione dell’art. 26 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, al centro di questa sentenza della Corte di Cassazione, un articolo ritenuto a ragione uno dei più importanti del suddetto decreto legislativo in quanto fissa le regole di sicurezza sul lavoro da rispettare negli appalti e subappalti che sono da sempre, e in particolar modo negli ultimi periodi, al centro delle attenzioni di quanti sono impegnati a vario titolo nell’attuazione della prevenzione nei luoghi di lavoro e nella lotta al fenomeno infortunistico sempre più allarmante.
L’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., che si applica nei casi in cui un datore di lavoro committente affidi lavori, servizi e forniture a imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda o di una sua singola unità produttiva, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo, si basa su sette disposizioni fondamentali per l’attuazione delle quali sono coinvolti tutti i datori di lavoro delle imprese appaltatrici e subappaltatrici e tutti i lavoratori autonomi che operano nello stesso ambiente e che vanno dalla verifica tecnico professionale, a carico dei committenti e subcommittenti delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi, allo scambio delle informazioni sui rischi ai quali i lavoratori vanno in contro, dalla loro cooperazione al coordinamento nell’esecuzione dei lavori, servizi o forniture, dalla valutazione dei rischi interferenziali alla elaborazione del documento unico di valutazione dei rischi interferenziali (Duvri) e alla stima dei costi della sicurezza.
Nel caso di cui alla sentenza in commento era stato condannato nei due primi gradi di giudizio il datore di lavoro di una ditta appaltatrice perché ritenuto responsabile dell’infortunio mortale di un suo dipendente deceduto per folgorazione nel mentre in un campo sportivo stava provvedendo a spostare un trabattello, alto 10 metri e utilizzato per la sostituzione di alcune lampade dell’impianto di illuminazione, venuto in contatto con una linea a media tensione posta lungo il bordo del campo. Le norme di prevenzione allo stesso contestate erano state quella di non essersi attenuto, prima di effettuare lo spostamento dell’attrezzatura, a ridurre la sua altezza, come prescritto dal libretto di istruzioni, e di non essersi altresì mantenuto alla distanza di sicurezza di almeno cinque metri dalla linea elettrica.
Nel ricorrere alla Corte di Cassazione il datore di lavoro dell’impresa appaltatrice ha basato il suo ricorso sul fatto che nel procedimento penale per l’accaduto non era stata individuata la corresponsabilità del committente dei lavori derivante asseritamente da una culpa in eligendo in ordine alla scelta dell’appaltatore nonché dalla mancata informazione del rischio legato alla presenza della linea elettrica in tensione presente ai bordi del campo.
La suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha chiarito che l'eventuale responsabilità del committente in relazione all’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008 non fa evidentemente venire meno la responsabilità dell'appaltatore, in relazione al complesso degli obblighi inerenti alla posizione di datore di lavoro; ciò in quanto i doveri relativi alla sicurezza dei lavoratori gravanti sul committente non elidono la posizione di garanzia comunque riconducibile al datore di lavoro, quale primo destinatario della stessa nei confronti dei propri dipendenti, allorquando, anche a fronte di competenze altrui, egli destini gli stessi a mansioni oggettivamente pericolose in ragione del generale contesto in cui tali mansioni sì svolgono. Con riferimento poi alla mancata informazione sulla presenza della linea elettrica la Corte di Cassazione ha rilevato come nel caso in esame non fosse necessaria alcuna informazione supplementare in ordine a tale presenza in quanto la stessa era da ritenersi evidente.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
La Corte d'i Appello ha confermata la sentenza emessa dal Tribunale nei confronti del titolare di una società, imputato del reato previsto dall'art. 589, commi 1 e 2, cod. pen. con la quale lo stesso era stato condannato, in qualità di datore di lavoro, alla pena di due anni di reclusione, con concessione del beneficio della sospensione condizionale oltre che al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile, con riconoscimento di una provvisionale immediatamente esecutiva.
All'imputato era stato contestato di avere colposamente cagionata la morte di un dipendente, deceduto per folgorazione, colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonché nella violazione degli artt. 71, comma 4 e 83 del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. In particolare l’infortunio era accaduto mentre stava procedendo, unitamente alla persona offesa e ad altro dipendente, a spostare un trabattello alto 10 metri, al fine di sostituire due lampade dell'impianto di illuminazione del campo sportivo di una cittadina, senza avere proceduto, prima di effettuare lo spostamento, a ridurre l'altezza fino a un massimo di tre campate (4 metri), come prescritto dal libretto di istruzioni, e senza essersi mantenuto a distanza di almeno cinque metri dai cavi elettrici, omettendo altresì di adottare disposizioni idonee a proteggere i lavoratori dai rischi derivanti dalla linea elettrica di media tensione che attraversava la parte terminale del campo sportivo. L’infortunio era accaduto per essere andato il trabattello, durante lo spostamento, a urtare la predetta linea elettrica provocando la scarica che aveva causato il decesso del lavoratore.
La Corte territoriale ha previamente esposto la ricostruzione del fatto operata da parte del Tribunale; esponendo che, sulla base delle risultanze istruttorie, l'imputato aveva trasportato e montato sul campo sportivo, ubicato in una frazione della cittadina, un trabattello di altezza pari a dieci metri, costituito da un telaio su ruote avente altezza di 40 cm e otto elementi di un metro ciascuno, fornito da una ditta edile; che, occorrendo spostare la struttura, il titolare dell’impresa e il lavoratore dipendente si erano portati sul campo per rimuoverla e, poiché lo spostamento provocava oscillazioni, l'imputato aveva chiesto a un collaboratore di afferrare la corda legata alla sommità della struttura al fine di ridurre le oscillazioni; che questi, nell'afferrare la corda, aveva avvertito una lieve scossa alle mani e aveva quindi visto il titolare e il lavoratore accasciarsi a terra a causa di una scossa elettrica.
La Corte ha quindi esposto che gli accertamenti compiuti dall'ufficio prevenzione della ASL avevano permesso di evidenziare profili di colpa in capo al titolare dell’azienda, quale datore di lavoro, con specifico riferimento all'art. 71 del D. Lgs. n. 81/2008, per non avere seguito le istruzioni sullo spostamento del trabattello ove, tra l'altro, era raccomandato di tenere la struttura ad almeno cinque metri dai cavi elettrici; nonché in riferimento all'art. 83 del D. Lgs. n. 81/2008, che fa divieto di eseguire lavori non elettrici in vicinanza di linee elettriche o di impianti elettrici con parti attive non coperte; ha esposto quindi che il Tribunale aveva ritenuto sussistenti i predetti profili di colpa specifica e che aveva escluso che la condotta del lavoratore dovesse considerarsi abnorme rispetto al procedimento lavorativo in corso di esecuzione. Il giudice dell'appello ha quindi ritenuto infondato il motivo riguardante il dedotto difetto di responsabilità in riferimento specifico alla posizione del committente, la cui eventuale corresponsabilità non avrebbe comunque fatto venire meno quella dell'appaltatore dei lavori; rilevando come non fosse necessaria alcuna informazione supplementare in ordine alla presenza delle linee elettriche, in quanto la stessa era da ritenersi evidente.
Avverso la sentenza della Corte di Appello l’imputato ha presentato ricorso per cassazione tramite i propri difensori, articolandolo con dei motivi di impugnazione. Fra questi lo stesso ha dedotto l'errata applicazione dell'art. 589 cod. pen. in ordine ai profili di responsabilità e la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.. Ha dedotto infatti che i giudici di merito avrebbero omesso di collocare la vicenda in esame nel quadro di un contratto di appalto tra il titolare del campo sportivo e la ditta dell'imputato, pur non essendo lo stesso stato consacrato in forma scritta; assumendo che l'appaltatore non avesse nessuna competenza nei lavori elettrici e non potesse quindi individuare la situazione di pericolo con conseguente culpa in eligendo in capo al committente
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e le costituite parti civili hanno fatto pervenire le proprie conclusioni, nelle quali hanno chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso o comunque di rigettarlo.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile dalla Corte di Cassazione. La parte ricorrente, secondo la stessa, ha difatti evocato, nella esposizione, eventuali profili di corresponsabilità in capo al committente dei lavori, asseritamente derivanti da una culpa in eligendo in ordine alla scelta dell'appaltatore. La suprema Corte ha comunque evidenziato che l'eventuale responsabilità del committente, in relazione agli articoli 26 e 90 del D. Lgs. n. 81/2008, non fa evidentemente venire meno la responsabilità dell'appaltatore, in relazione al complesso degli obblighi inerenti alla posizione di datore di lavoro e ha citato in merito come precedente quanto contenuto nella sentenza della IV Sezione penale n, 3563 del 30/01/2012, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ Sulla responsabilità per l’infortunio di un prestatore d’opera" e ciò in quanto “i doveri relativi alla sicurezza dei lavoratori gravanti sul committente non elidono la posizione di garanzia comunque riconducibile al datore di lavoro, quale primo destinatario della stessa nei confronti dei propri dipendenti, allorquando, anche a fronte di competenze altrui, egli destini gli stessi a mansioni oggettivamente pericolose in ragione del generale contesto in cui esse sì svolgono”.
Il motivo di ricorso si è risolto quindi in una valutazione in ordine alla sussistenza di profili di responsabilità del committente obbligato in relazione al dedotto obbligo di verifica dell'idoneità tecnico - professionale dell'impresa appaltatrice, ma senza alcuna deduzione inerente alla sussistenza della responsabilità del datore di lavoro in ordine alla violazione delle disposizioni richiamate in sede di capo di imputazione. Da qui, ha sottolineato la Corte di Cassazione, l'evidente carenza di specificità della doglianza.
Essendo stati inoltre ritenuti inammissibili dalla suprema Corte anche gli altri motivi di ricorso, che avevano riguardato la mancata esclusione della parte civile e il diniego delle circostanze attenuanti generiche, la stessa ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", ha condannato il ricorrente stesso al pagamento di una somma di 3000 euro in favore della Cassa delle ammende. Nulla ha provveduto infine in ordine alle spese sostenute dalle parti civili, essendosi le stesse limitate a depositare in atti le proprie conclusioni senza apportare alcun fattivo contributo alla dialettica del contraddittorio.
Gerardo Porreca
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