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La responsabilità del direttore tecnico di cantiere e del capocantiere
In più occasioni la Corte di Cassazione ha sostenuto che in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascun garante risulta per intero destinatario dell'obbligo di impedire un evento, fino a che non si esaurisca il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia. In questa circostanza i soggetti ritenuti garanti entrambi della sicurezza sono stati il direttore tecnico di cantiere ed il capocantiere, figure inquadrabili rispettivamente in quella del dirigente e del preposto. Questi ultimi, ha sostenuto la suprema Corte, sono, seppure a distinti livelli di responsabilità, titolari di autonome posizioni di garanzia dell'obbligo di dare attuazione alle norme in materia di salute e di sicurezza sul lavoro per cui ne consegue che la nomina di un capocantiere non implica di per sé il trasferimento a quest'ultimo della sfera di responsabilità propria del ruolo dirigenziale del direttore tecnico. Alla luce di tali considerazioni il direttore tecnico di cantiere è stato ritenuto nel caso in esame responsabile dell’infortunio occorso al capocantiere, a seguito di una sua errata valutazione, per non essere intervenuto a verificare il rispetto delle norme di sicurezza ed a far osservare quanto previsto nel POS e nel piano di demolizione.
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte d'Appello ha confermata la sentenza di condanna emessa del locale Tribunale nei confronti del direttore tecnico di un’impresa edile alla pena di giustizia per il reato di cui all'art. 590, III comma, c.p. per avere cagionato ad un dipendente dell’impresa stessa quale capocantiere delle lesioni personali consistite in una "frattura radio/ulna dx" con prognosi iniziale di 35 giorni, prolungata fino a un totale di 73 giorni a seguito di certificati medici rilasciati dall'INAIL alle successive visite di controllo, per imprudenza, negligenza e imperizia e per la violazione delle norme antinfortunistiche di cui all'art. 18 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81.
La Corte era pervenuta alla pronuncia di condanna rilevando che l'infortunio si era verificato a seguito del cedimento, per eccessivo carico (costituito da una benna carica appoggiata per l'asportazione dei detriti) del solaio ove il lavoratore infortunato stava lavorando unitamente ad altro operaio ed a seguito di un rischio del tutto prevedibile che andava fronteggiato con le opportune e specifiche cautele, del tutto omesse. Nonostante, infatti, il piano delle demolizioni prevedesse che l'abbattimento dei solai in legno avrebbe dovuto essere eseguita "con gli addetti imbracati ed ancorati a funi opportunamente tesate", tale minima misura di salvaguardia, che avrebbe evitato l'incidente, non era stata predisposta per cui era stata attribuita la responsabilità dell'evento all’imputato, indicato nel POS e nel piano di demolizione come direttore tecnico di cantiere, il quale avrebbe dovuto in questa sua veste vigilare le attività quotidianamente svolte e pretendere che gli operai lavorassero ancorati a funi di sicurezza.
Il ricorso per cassazione e le decisioni della suprema Corte di Cassazione
L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, sostenendo in particolare che era stata configurata a suo carico una posizione di garanzia che invece spettava allo stesso capocantiere (preposto) che si era infortunato e che è stato riscontrato un vizio di motivazione ed una violazione di legge in relazione all'art. 40, primo comma, e 41 c.p. per mancanza del nesso di causalità tra la sua condotta omissiva e l'evento lesivo. Il ricorso è stato però ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato.
Quanto alla presunta infondatezza dell’accusa la Corte suprema ha messo in evidenza che carico dell’imputato è stata attribuita sia una colpa generica sia un profilo di colpa specifica segnatamente per la violazione dell'art. 18 lett. f) del D. Lgs. n. 81/2008, applicabile a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio, che impone ai datori di lavoro e ai dirigenti di richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza ed igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione. L’imputato pertanto è stato posto nelle condizioni di svolgere, così come ha svolto, ogni opportuna ed ampia attività difensiva relativamente alla sua responsabilità.
Per quanto riguarda il nesso di causalità la Sez. IV ha fatto presente che la Corte di merito aveva analizzato la causa del crollo del solaio ed aveva accertato, fornendone adeguata e logica motivazione in base alle testimonianze assunte, che non vi era stato alcun puntellamento, che vi era stata appoggiata una benna (traslata a mezzo gru) per l'asportazione dei materiali di risulta della demolizione, che non era stata verificata la presenza di travi logorate per cui ha ritenuto valida la tesi del sovraccarico concentrato, non mancando tuttavia di evidenziare come in ogni caso un solaio risalente nel tempo e che non consentiva una precisa intelligibilità della sua consistenza, avrebbe dovuto indurre ad adottare le misure di salvaguardia minime, destinate a garantire la sicurezza degli operai che vi lavoravano rispetto ai pericoli oggettivamente incombenti, perché insiti nella vetustà dell'immobile e nella insondabilità di insidie non immediatamente percepibili. Malgrado ciò e nonostante l'espressa previsione nel piano di demolizione sia l’infortunato che un altro operaio lavoravano senza alcuna imbracatura e senza alcun sistema di ancoraggio, che ne avrebbe evitato la caduta sotto il cedimento del piano di appoggio.
La dinamica del fatto così come individuata quindi, secondo la Sez. IV, ha reso evidente il nesso di causalità tra l'omessa adozione della misura di prevenzione antinfortunistica e l'evento lesivo per cui se l'operaio fosse stato imbracato ed ancorato a funi opportunamente tese, come richiesto dal piano delle demolizioni, sarebbe rimasto "sospeso" e non sarebbe precipitato a terra. E’ stata quindi raggiunta la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che se fosse stata attuata la condotta omessa il sinistro non si sarebbe verificato, così come ritenuto dalla Corte territoriale.
In merito alla individuazione delle responsabilità la Corte suprema ha quindi rammentato che “in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascun garante risulta per intero destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, fino a che non si esaurisca il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia: in particolare, il direttore tecnico ed il capo cantiere, figure inquadrabili rispettivamente in quella del dirigente e del preposto, sono titolari di autonome posizioni di garanzia, seppure a distinti livelli di responsabilità, dell'obbligo di dare attuazione alle norme dettate in materia di sicurezza sul lavoro. Ne consegue che la nomina di un capo cantiere non implica di per sé il trasferimento a quest'ultimo della sfera di responsabilità propria del ruolo dirigenziale del direttore tecnico”.
Dunque, se è vero, ha così proseguito la suprema Corte, che il capocantiere è destinatario diretto dell'obbligo di verificare che le concrete modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative all'interno del cantiere rispettino le normative antinfortunistiche si deve rilevare che nel caso in esame il capo cantiere ha affermato di aver deciso autonomamente che quel solaio poteva sopportare il carico della benna piena senza bisogno di particolare accorgimenti di sicurezza, compiendo così una valutazione che si è rivelata errata, ed è in ciò, ad avviso della Corte di merito, che si è incentrata la responsabilità del direttore tecnico di cantiere il quale aveva il preciso obbligo di verificare il minuto rispetto delle norme di sicurezza e di far osservare quanto previsto dal POS e dal piano di demolizione e non rimettere agli stessi dipendenti la salvaguardia della loro incolumità.
Giuste sono state quindi ritenute in definitiva le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte territoriale rilevando che l'imputato avrebbe dovuto vigilare e tenere sotto controllo le attività quotidianamente svolte nel cantiere, evitando di consentire ai dipendenti di operare scelte spettanti alla dirigenza e di assumere iniziative operative proprie e avrebbe dovuto nella specie accertarsi e pretendere che gli operai lavorassero ancorati alle funi di sicurezza come previsto dal ripetuto piano delle demolizioni e non rimanere assente dal cantiere, sebbene informato del lavoro da svolgere, senza aver imposto le osservanze di salvaguardia.
Gerardo Porreca
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