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L’applicazione del principio di affidamento in materia di sicurezza sul lavoro

L’applicazione del principio di affidamento in materia di sicurezza sul lavoro
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

12/09/2022

Il principio di affidamento non può essere invocato da parte di chi sia già in colpa per avere violato norme precauzionali e ciononostante confidi che chi gli succede nella posizione di garanzia elimini le violazioni o ponga rimedio alle omissioni.

Verte questa sentenza della Corte di Cassazione su uno dei più importanti principi di diritto che regolano la materia della colpa e più in particolare della responsabilità colposa in materia di infortuni sul lavoro: il principio di affidamento. Questo principio è stato invocato nel caso in esame dal capocantiere di un’impresa, che è stato condannato dal Tribunale e dalla Corte di Appello per l’infortunio occorso a un capo squadra della stessa impresa per non avere vigilato sul suo operato, il quale è ricorso alla Corte suprema per l’annullamento della condanna subita basando la sua difesa sul fatto che l’infortunato aveva in precedenza maturata una notevole esperienza sul campo. La suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha fatto presente comunque che il principio di affidamento non può essere invocato da parte di chi sia già in colpa per avere violato norme precauzionali o avere omesso determinate condotte e, nonostante ciò, confidi che colui che gli succede nella posizione di garanzia elimini la violazione o ponga rimedio alle omissioni.

 

Il capocantiere, ha ricordato infatti la suprema Corte ha l’obbligo quale preposto, in applicazione dell’art. 19 del D. Lgs. n. 81/2008, di fornire istruzioni ai lavoratori in cantiere e di vigilare affinché i lavori siano eseguiti nel rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni. L’infortunio di cui al procedimento penale era accaduto per avere il lavoratore sbagliato nella scelta dell’attrezzatura da utilizzare per lavorare in quota e il suo comportamento non era stato ritenuto né abnorme né esorbitante.  La Corte di Cassazione ha richiamato in merito quanto già sostenuto dalla stessa Sezione IV nella sentenza n. 123 del 11/12/2018, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ La responsabilità per un infortunio dovuto a un cancello non a norma e cioè che in tema di reati colposi omissivi impropri, l'effetto interruttivo del nesso causale può essere dovuto solo a circostanze che introducano un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare. Il rischio che si è verificato nel caso in esame invece rientrava esattamente nella sfera di controllo del capocantiere, diretto superiore gerarchico del lavoratore infortunato, obbligato a vigilare sulle modalità di organizzazione del lavoro.


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Il fatto e l’iter giudiziario.

La Corte di Appello ha confermata la sentenza emessa dal Tribunale quanto alla affermazione della penale responsabilità di un capocantiere e responsabile della sicurezza di un’impresa che era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di due anni di reclusione per aver cagionato la morte di un dipendente della stessa società per colpa consistita in violazione di norme in materia di prevenzione infortuni sul lavoro ed in specie dell'art. 19 comma 1 lettere a) ed f) del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81.

 

Secondo la ricostruzione dell’infortunio compiuta dai giudici di merito il lavoratore, dipendente di una impresa che aveva ricevuto in appalto lavori da eseguire sulla rete elettrica territoriale, il giorno dei fatti stava lavorando al potenziamento della linea a bassa tensione nella via di una cittadina. L'infortunio si era verificato alle 15.45 e la linea interessata ai lavori era stata in precedenza, intorno alle 14.30, riconsegnata all'ente gestore committente per la riattivazione dell'energia elettrica. Il lavoratore infortunato, che rivestiva la qualifica di capo squadra, stava eseguendo un lavoro a circa quattro metri dal suolo, ove si era portato utilizzando il cestello di un autoelevatore. Durante la manovra di discesa del cestello, a causa della pendenza e della pioggia che aveva reso scivolosa la strada, il veicolo si era messo in movimento e aveva preso velocità terminando la sua corsa in una scarpata a margine della strada per cui lo stesso, di conseguenza, era stato sbalzato fuori dal cestello e era morto sul colpo.

 

Contro la sentenza della Corte di Appello ha proposto tempestivo ricorso il difensore dell'imputato articolandolo in diversi motivi. Lo stesso, con una prima motivazione, ha fatto presente che al momento dell’infortunio l’imputato non era in cantiere e che ci è andato invece alle 14.30, quando la linea elettrica era stata riconsegnata all'ente gestore e i lavori erano già terminati per cui lo stesso non poteva essere chiamato a rispondere di una attività successiva al termine dei lavori.

 

Con un secondo motivo, il ricorrente si è lamentato perché non era stata valutata la circostanza che il lavoratore infortunato era «capo squadra» e che, secondo quanto stabilito dal Piano Operativo di Sicurezza, era un compito suo quello di verificare che il personale fosse dotato di dispositivi di protezione individuale e ne facesse uso e che quindi era lui a dover compiere le condotte doverose la cui omissione era stata invece ascritta all’imputato.

 

Come ulteriore motivo, il capocantiere ha osservato che, quando è andato in cantiere, l'autoelevatore si trovava fuori dall'area del cantiere stesso sicché la Corte territoriale aveva errato nel rimproverargli di non aver adempiuto ai propri obblighi di vigilanza circa «l'utilizzo della scale in luogo del cestello», utilizzo comunque che, nel momento in cui si era verificato l'infortunio, egli non aveva il potere di impedire. L’infortunato, inoltre, ha sottolineato lo stesso, anche se i lavori erano finiti, aveva deciso in autonomia di continuare a lavorare e di portarsi in quota utilizzando il cestello dell'autoelevatore e, così facendo, aveva creato una situazione di pericolo esorbitante dalla sfera di rischio da lui governata.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati i motivi del ricorso. La stessa, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, ha messo in evidenza che i giudici di merito non avevano trascurata la circostanza che l'infortunio si fosse verificato in un momento successivo alla riconsegna della linea elettrica all'ente gestore. La sentenza di primo grado invece, al contrario, aveva sottolineato che quel giorno era stata concordata la sospensione dell'energia elettrica dalle ore 9.00 alle ore 15.00 e che la riconsegna della linea, che consentiva all'ente di riattivare la corrente, era avvenuta poco dopo le 14.20. Non per questo però, avevano osservato i giudici di merito, i lavoratori avevano terminato la propria attività e comunque il lavoratore infortunato non avrebbe avuto altra ragione di portarsi in quota, in corrispondenza di un palo della luce, se non quella di completare il proprio lavoro. La Corte territoriale, ha precisato la Sezione IV, aveva inoltre sottolineato che, secondo alcuni testimoni, dopo la riconsegna della linea elettrica, si doveva «sistemare il posto di lavoro» e che il lavoratore infortunato, a detta dei suoi figli e del fratello, si era portato in quota per sostituire gli elementi di bloccaggio dell'ultimo palo della luce interessato ai lavori programmati.

 

Secondo i giudici di merito, quindi, l'avvenuta riconsegna della linea, necessaria alla riattivazione dell'energia elettrica, non aveva comportato che i lavori fossero del tutto terminati, essendo necessario compiere ulteriori attività volte alla sistemazione del posto di lavoro, oppure volte (come si legge nella sentenza di primo grado) a preparare il terreno per le attività che sarebbero state compiute il giorno dopo previa nuova sospensione dell'erogazione di energia elettrica. Dalla sentenza di primo grado era risultato inoltre, ha così proseguito la suprema Corte, che l’impresa appaltatrice doveva sostituire cavi elettrici "nudi" con cavi elettrici "inguainati" passando attraverso pali in cemento armato dell'altezza di otto metri, che ancora, a detta dello stesso imputato, i lavori dovevano proseguire il giorno dopo lungo la medesima strada (con elevato grado di pendenza) e che, a tal fine, era già stato pubblicato un avviso per una nuova sospensione dell'erogazione dell'energia elettrica nella zona interessata.

 

Avendo la Corte territoriale valutato in definitiva, con motivazione congrua e coerente, che l'attività svolta al momento dell'infortunio rientrava tra le mansioni cui i lavoratori erano stati destinati, che i lavori programmati inoltre dovevano essere eseguiti in quota, che nel tratto di strada luogo del sinistro era presente uno dei pali della luce interessati dal lavoro, che quel tratto di strada aveva una pendenza media del 19,88% (accertata in grado di appello, con indagine peritale, su richiesta della difesa), che il cestello autoelevatore del quale il lavoratore si era servito per portarsi in quota «non poteva essere utilizzato in quella strada» perché, come era risultato dal manuale di uso e manutenzione, poteva operare in condizioni di sicurezza soltanto se la pendenza del suolo non fosse stata superiore al 10% e che, di conseguenza era necessario (a maggior ragione perché quel giorno aveva piovuto) avvalersi, per portarsi in quota in condizioni di sicurezza, di «scale all'italiana» che erano «indicate come in dotazione all'impresa» ma che non erano state «rinvenute dai tecnici della prevenzione al momento del sopralluogo» successivo all'incidente, i giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto che al capocantiere dovesse essere attribuito un profilo di colpa per quanto accaduto.

 

Si tratta di conclusioni non contraddittorie, ha così proseguito la Sezione IV, né manifestamente illogiche e conformi ai principi di diritto che regolano la materia della colpa e, specificamente, della responsabilità colposa in materia di infortuni sul lavoro. Il capocantiere, infatti, ha l'obbligo di vigilare affinché i lavori siano eseguiti nel rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni, e la «rinomata esperienza sul campo» del lavoratore non aveva esonerato il ricorrente da tale obbligo di vigilanza. Lo stesso non poteva fare affidamento sull'esperienza del lavoratore perché non gli aveva impartito istruzioni in ordine alla necessità di portarsi in quota utilizzando le scale e non l'autocestello e perché non si era assicurato che scale idonee allo scopo fossero state effettivamente portate in cantiere. “Il principio di affidamento non può essere invocato, infatti, da parte di chi sia già in colpa per avere violato norme precauzionali o avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che colui che gli succede nella posizione di garanzia elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione”.

 

Come noto peraltro, ha sottolineato ancora la suprema Corte, in tema di reati colposi omissivi impropri, l'effetto interruttivo del nesso causale può essere dovuto solo a circostanze che introducano un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare e tale non è certamente quello relativo all'utilizzo non corretto delle attrezzature di lavoro nel caso in cui sia stata omessa la doverosa vigilanza e in merito al concetto di rischio nuovo o radicalmente esorbitante ha richiamato la già citata sentenza n. 123 del 11/12/2018 della stessa Sezione IV. Il rischio verificatosi quindi nel caso in esame rientrava esattamente nella sfera di controllo del capocantiere quale diretto superiore gerarchico del lavoratore infortunato e perciò, ai sensi dell'art. 19 del D. Lgs. n 81/08, preposto alla vigilanza sulle modalità di organizzazione del lavoro.

 

Diversamente poi da quanto sostenuto dal ricorrente, ha così concluso la Corte di Cassazione, non ha avuto alcuna importanza che l'infortunio si fosse verificato circa un'ora dopo la riconsegna della linea elettrica. Come chiarito dalle sentenze di merito, infatti, il lavoro che l’infortunato stava svolgendo consistito nel preparare le attività che avrebbero dovuto essere svolte il giorno dopo, non era affatto estraneo all'appalto ricevuto dall’impresa; né si può ignorare che i lavori ricevuti in appalto dalla società dovevano svolgersi in quota, sicché il capocantiere aveva l'obbligo di vigilare sulla concreta idoneità delle attrezzature utilizzate a tal fine. Il rischio di una imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore, in definitiva, non era certamente da configurare come un rischio «eccentrico» rispetto a quelli che l’adozione delle cautele omesse era destinata a prevenire.

 

Per quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 30832 del 09 agosto 2022 (u.p. 13 luglio 2022) - Pres. Dovere – Est. Vignale – PM Picardi - Ric. P.G.. - Il principio di affidamento non può essere invocato da parte di chi sia già in colpa per avere violato norme precauzionali e ciononostante confidi che chi gli succede nella posizione di garanzia elimini le violazioni o ponga rimedio alle omissioni.




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