Le attività lavorative con maggiore esposizione a formaldeide
Milano, 31 Gen – Se il Regolamento UE N. 895/2014 del 14 agosto 2014 ha precisato che la formaldeide risponde ai criteri di classificazione come sostanza cancerogena, non abbiamo tuttavia molti dati precisi relativi all’esposizione a questa sostanza.
Possiamo trovare qualche informazione attraverso i dati del Sistema Informativo Internazionale “CAREX” (Carcinogen Exposure) sulle esposizioni professionali a cancerogeni noti e sospetti, un sistema che fornisce stime del numero di lavoratori esposti a cancerogeni. Alcuni dati, non recenti, relativi all’esposizione occupazionale a formaldeide indicano che circa 1 milione sono stati i lavoratori considerati esposti nell’Unione Europea nel 1990-93.
Quali sono gli ambiti lavorativi dove sono maggiori le esposizioni a formaldeide?
Per dare una riposta a questa domanda possiamo fare riferimento a quanto riportato nella “ Linea guida regionale sulla stima e gestione del rischio da esposizione a formaldeide: razionalizzazione del problema e proposta operativa”, un documento approvato dalla Regione Lombardia con il recente Decreto n. 11665 del 15 novembre 2016.
Nel documento si indica che in ambito sanitario la formaldeide in soluzione acquosa, ovvero formalina, trova i seguenti utilizzi:
- “raccolta e trasporto di tessuti derivati da interventi chirurgici e biopsie nelle sale operatorie e negli ambulatori di prelievo bioptico (endoscopico, radiologico etc);
- fissazione di tessuti in anatomia patologica”. Si segnala che linee guida nazionali e internazionali, “raccomandano l’utilizzo di formalina tamponata sia per esami istologici che immunoistochimici e molecolari (mutazioni geniche)” e che ad oggi “non è ancora disponibile una valida alternativa alla formaldeide come fissativo dei tessuti nei servizi di anatomia patologica, risultandone indispensabile l’utilizzo ferma restando l’applicabilità obbligatoria delle procedure preventive a tutela della salute dei soggetti esposti”;
- “conservazione del materiale tissutale residuo alla fase di campionamento (riduzione dei tessuti per preparazioni istologiche) da eliminare conclusa la diagnosi”.
Si indica poi che nel Piano di Prevenzione e Promozione della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro 2005-2007 della regione Veneto sono state elencate le “esposizioni ambientali nelle sale operatorie durante le fasi di riempimento dei contenitori per campioni biologici con formalina al 4% e in anatomia patologica durante le diverse fasi di manipolazione del tessuto”. E “considerate le piccole quantità utilizzate, il rischio da esposizione in tutte queste realtà è di solito ‘moderato’ e pertanto tali attività, così come qualsiasi manipolazione della formalina, devono essere svolte sotto cappa o adeguato sistema aspirante”.
Mentre studi sui livelli di formalina nelle sale riduzione (sale di manipolazione e taglio dei campioni bioptici e chirurgici) dei laboratori di anatomia patologica “hanno dimostrato una più elevata esposizione rispetto ad altre mansioni e quindi la necessità di un’adeguata tecnologia (cappe da ventilazione, adozione di cappe e banchi aspiranti) e di dotazione dei lavoratori di opportuni mezzi di protezione individuali, e di prevenzione secondaria con aumento della periodicità della sorveglianza sanitaria. Altri autori hanno dimostrato che l’esposizione in sala riduzione è dovuta alla manipolazione di campioni chirurgici immersi in formalina ed è maggiore per campioni complessi e di grandi dimensioni e che i livelli di formalina valutati con sistemi di rilevazione su singolo operatore a parità di condizioni sono variabili da operatore a operatore”.
Nel documento, che vi invitiamo a leggere integralmente, sono riportati ulteriori dettagli sull’ esposizione degli operatori a formaldeide.
Ricordiamo ora brevemente l’esposizione nella lavorazione delle materie plastiche.
Sono riportate le applicazioni industriali della formaldeide (resine fenoliche, novolacche, resoli,
aminoresine, …) e si segnala che lo stampaggio per compressione “rappresenta la tecnica di lavorazione più utilizzata per le resine termoindurenti. Trattate ad una temperatura che oscilla tra i 100-170 °C, diventano plastiche e in un tempo più o meno breve induriscono e il materiale diventa infusibile”.
Per quanto riguarda il settore del legno, la formaldeide trova “applicazione nella produzione di resine ureiche a loro volta impiegate per la preparazione di vernici ureiche (dette a volte impropriamente acide), di adesivi e di carte impregnate per la nobilitazione”.
L'utilizzo principale di queste resine “si ha comunque nella produzione di pannelli”. Praticamente tutte le tipologie di pannelli “sono realizzate quasi esclusivamente con questo adesivo termoindurente. L'elevata ‘affinità per il legno’ unita all'indurimento indotto da catalizzatori acidi e dal calore, porta alla costituzione di reticoli tridimensionali di resina che rappresentano una struttura legante molto efficace per il legno”. Il successo dell'impiego delle resine ureiche nella produzione di pannelli (costo relativamente basso; prestazioni adeguate all'utilizzo del prodotto; facilita di impiego) “trova tuttavia nell'emissione di formaldeide un problema con il quale il settore e chiamato da vari anni a doversi confrontare. Per effetto di fenomeni chimici di idrolisi la formaldeide viene, infatti, continuamente liberata dalla stessa resina ureica di cui e costituito il pannello e quindi emessa in ambiente. Per tale motivo sul mercato vengono offerti o richiesti prodotti che rispondono a varie classi di emissione di formaldeide”.
Si segnala che in Italia con il Decreto 10 ottobre 2008 “Disposizioni atte a regolamentare l'emissione di aldeide formica da pannelli a base di legno e manufatti con essi realizzati in ambienti di vita e soggiorno” viene stabilito che “pannelli a base di legno e manufatti con essi realizzati, sia semilavorati che prodotti finiti, contenenti formaldeide, non possono essere immessi in commercio se la concentrazione di equilibrio di formaldeide, che essi provocano nell'aria dell'ambiente di prova, superi il valore di 0,124 mg/m3.
Veniamo al settore metalmeccanico dove lo “sviluppo tecnologico dei centri di lavoro robotizzati, le lavorazioni sempre più complesse e impegnative e la richiesta di aumenti della produttività hanno influito sull’utilizzo sempre più vasto degli oli minerali, in particolare come fluidi lubrorefrigeranti ma anche come componenti dei circuiti oleodinamici e come lubrificanti per gli ingranaggi dei macchinari. Le lavorazioni che prevedono l’utilizzo degli oli lubrificanti sono principalmente: il taglio, la tranciatura, la fresatura, la tornitura e la rettifica”.
Il documento si sofferma ampiamente sulle tipologie e sulle problematiche dell’esposizioni a fluidi lubrorefrigeranti, anche con riferimento a quanto indicato dalla IARC (International Agency for Research on Cancer), che ha classificato gli oli minerali non raffinati o mediamente raffinati, come cancerogeni per l’uomo (gruppo 1). Al di là dei rischi più conosciuti si indica poi che altri rischi “provengono dall’utilizzo di oli solubili in acqua per la lavorazione meccanica, tali oli miscelati all’acqua in una percentuale compresa tra il 5 e 15% in volume, in effetti oltre al componente minerale possono contenere componenti rischiosi per la salute degli operatori tra cui:
- Ammine secondarie; Acido Borico;
- Biocidi che rilasciano formaldeide (donatori di formaldeide);
- Composto organici volatili (es. Monoetanolammina, alcoli, eteri, ecc..)”.
Veniamo infine a dare qualche cenno dell’esposizione nelle fonderie di ghisa.
Si indica che la presenza di formaldeide nel ciclo tecnologico delle fonderie di ghisa “si deve all’utilizzo di tale sostanza nella mescola che costituisce le anime in terra di fonderia. I componenti della terra di fonderia per la formatura a resina sono:
- sabbia silicea;
- resine sintetiche: in genere furaniche ma talvolta anche fenoliche, fenolfuraniche, ureiche”.
In particolare le resine fenoliche sono “prodotti di condensazione tra fenolo e formaldeide, la cui composizione chimica è determinata da policondensati fenolo-formaldeide, fenolo libero, formaldeide libera, additivi di vario tipo secondo gli impieghi; la resina ureico-furanica è una resina di condensazione tra alcool furfurilico, formaldeide e urea”.
Si segnala che le resine “possono essere fornite allo stato solido, sotto forma di scaglie o polvere, in sacchi di carta o plastica o anche in contenitori di cartone o di materiali sintetici, ma più spesso sono fornite allo stato liquido in soluzione alcolica, idroalcolica o emulsione acquosa, in fusti di acciaio o in apposite cisterne attrezzate per il travaso a mezzo di pompe. Si tratta di resine, induritori e distaccanti per coclea utilizzati nella fase di preparazione della terra di fonderia per formatura a resina, prodotti con i quali gli addetti possono venire a contatto sia durante la taratura del mescolatore, sia nel caso in cui venga effettuata la movimentazione o il travaso manuale dei prodotti, o accadano sversamenti accidentali”.
Anche in questo caso il documento riporta ulteriori indicazioni sull’eventuale esposizione a formaldeide in questi specifici ambienti di lavoro.
Concludiamo ricordando che la nuova “Linea Guida” della Regione Lombardia, che rappresenta un utile strumento per la valutazione e gestione del rischio connesso all’esposizione dei lavoratori a formaldeide, definisce i valori guida (limiti di esposizione per la popolazione generale, negli ambienti di vita; limiti di esposizione occupazionali) e permette una programmazione razionale del monitoraggio ambientale.
Tiziano Menduto
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