Differenze di genere e salute e sicurezza: lo stato dell’arte normativo
Come noto, l’articolo 28 comma 1 del D.Lgs.81/08 (“Oggetto della valutazione dei rischi”) prevede che “la valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal D.Lgs.151/01, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro.”
La previsione dell’obbligo del datore di lavoro di considerare le differenze di genere nella valutazione dei rischi - all’interno di una norma penalmente sanzionata - segna l’importante passaggio avvenuto nel 2008 da una concezione “neutra” del lavoratore (che caratterizzava il D.Lgs.626/94) ad una visione del lavoratore - a partire dall’emanazione del D.Lgs.81/08 - che tenga conto anche delle differenze di genere.
Come vedremo nell’ultimo paragrafo di questo contributo, l’articolo 28 non è l’unico articolo del D.Lgs.81/08 a fare riferimento alle differenze di genere, dal momento che sono numerosi i riferimenti normativi che il Testo Unico di salute e sicurezza dedica alla considerazione delle differenze di genere.
Certo è che però l’articolo 28, nel prevedere che le differenze di genere rappresentino un elemento che deve essere obbligatoriamente valutato nell’ambito di quell’attività e quello strumento - la valutazione dei rischi e il relativo documento - attorno ai quali ruota e sui quali si impernia tutta la pianificazione della prevenzione e la definizione delle tutele prevenzionistiche in azienda, funge da norma atta ad impedire (o quantomeno “dovrebbe” impedire) che la valorizzazione delle differenze di genere operata dal Testo Unico resti una mera enunciazione di principio senza tradursi nella pratica in concrete tutele di salute e sicurezza basate sul genere.
VERSO IL SUPERAMENTO DEL CONCETTO DI “NEUTRALITÀ” DEL LAVORATORE
Gli anni ’90: la “neutralità” del lavoratore all’interno del D.Lgs.626/94
Sebbene da un punto di vista più generale la svolta di cui si è detto sia riconducibile al Testo Unico del 2008, in realtà a ben vedere sotto il profilo legislativo essa è stata anticipata già vari anni prima del 2008 da alcuni passaggi normativi significativi in ambito italiano ed europeo e da un’evoluzione culturale complessiva che ha portato ad una accresciuta sensibilità al tema delle differenze di genere anche per gli aspetti legati ai rischi lavorativi e alle tutele.
Come sottolineato da un interessante documento (INAIL e Dipartimento Pari Opportunità, “Genere e stress lavoro-correlato: due opportunità per il Testo Unico”, 2009, Parte Prima: “Salute e sicurezza sul lavoro, una questione anche di genere: riflessioni sulla evoluzione normativa”, di A. Ninci, p. 1 e ss.), “il dibattito su questi temi inizia a far data dagli anni 90: mentre si dava attuazione alle indicazioni europee in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro con una normativa pregevole e complessa quale il D.Lgs. 626/94, ma del tutto “neutra” quanto al riferimento ai “lavoratori” (intendendo per tali anche le lavoratrici) si è fatta sempre più strada la convinzione che il tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro dovesse tenere nella adeguata considerazione le specificità delle lavoratrici in quanto tali e non solo in quanto madri..”
Infatti, ad esempio, “il D.Lgs. 626/94 si riferisce a un diverso trattamento per donne e uomini solo con riferimento ai servizi igienici, lavabi e spogliatoi nei luoghi di lavoro (che devono essere separati) nonché alle madri che allattano e alle donne in stato di gravidanza che devono avere la possibilità di riposarsi in posizione distesa e in condizioni appropriate.”
Prima del 2008, dunque, il tema delle differenze di genere sotto il profilo della tutela dai fattori di rischio veniva agganciato sostanzialmente al tema della tutela delle donne in stato di gravidanza sui luoghi di lavoro.
Come ricordato dal documento su citato, “gli anni 2000 sono caratterizzati da una diverso atteggiamento. Si è dovuto attendere fino al XXI secolo perché le due politiche comunitarie in materia sociale, ovverosia le pari opportunità e la salute sul lavoro, si legassero ed entrassero a far parte l’una dell’altra.”
Vediamo ora alcuni dei più importanti passaggi normativi avvenuti dal 2002 al 2008 che hanno scandito questo percorso di avvicinamento verso il riconoscimento delle differenze di genere quale fattore rilevante nell’individuazione e quindi nella predisposizione delle tutele dei lavoratori sui luoghi di lavoro: un percorso poi sfociato nel 2007-2008 in veri e propri obblighi normativi cogenti di salute e sicurezza.
Gli anni 2002-2007: la Stategia Comunitaria 2002-2006; il D.Lgs.13 marzo 2013 n. 32 attuativo della Direttiva direttiva 2007/30/CE ; la Legge 123/2007 (Legge Delega per il Testo Unico SSL)
La strategia comunitaria 2002/2006
Il primo di questi passaggi (individuati senza pretese di esaustività) si è avuto con la strategia comunitaria 2002/2006.
La “Comunicazione della Commissione - Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e dalla società: una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006”, al punto 2.1.1. (“Una società più femminile”), sottolineava quanto segue: “la più ampia partecipazione delle donne al mondo del lavoro, che si manifesta ormai da svariati decenni e che rappresenta uno degli obiettivi fondamentali fissati a Lisbona nel contesto dell'invecchiamento della popolazione attiva, introduce una nuova dimensione nel campo della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro.”
La Comunicazione precisava che “l'83% delle donne è impiegato nei servizi e questo spiega perché esse registrino un'incidenza di infortuni e di malattie professionali sensibilmente inferiore a quella degli uomini e perché il loro rischio di subire infortuni sia inferiore.
Nonostante ciò, esse subiscono un'evoluzione sfavorevole in quanto le attività nelle quali la loro presenza è dominante assistono ad un aumento dei tassi d'incidenza, anche per quanto riguarda gli infortuni mortali sul lavoro. Per quanto non rappresentassero (nel 1995) che il 17,8% delle malattie professionali diagnosticate, le donne facevano registrare percentuali nettamente superiori in determinati gruppi: 45% delle allergie, 61% delle malattie infettive, 55% dei problemi di natura neurologica, 48% dei problemi di natura epatica e dermatologica. Tali cifre evidenziano pertanto le specificità significative delle donne nei riguardi delle malattie professionali. Nota: Per contro [sottolinea la Comunicazione] gli uomini rappresentano, ad esempio, il 93% dei problemi muscolo-scheletrici e delle malattie ematologiche, il 97% dei problemi all'udito e il 91% delle malattie polmonari.”
Per quanto attiene alle misure da adottare, la strategia europea 2002-2006 sottolinea che “le azioni di prevenzione, così come gli strumenti di misura e le norme di compensazione e di indennizzo, devono prendere in considerazione in modo specifico la partecipazione crescente delle donne al mondo del lavoro, nonché i rischi per i quali le donne presentano una particolare sensibilità [Nota: Si veda in particolare il resoconto dei lavori del seminario "Differenze tra i sessi nelle condizioni di lavoro", organizzato nel quadro del progetto " Work Life 2000".
Tali azioni rivolte alle donne devono essere basate su ricerche che coprano gli aspetti ergonomici, la realizzazione dei posti di lavoro, gli effetti dell'esposizione agli agenti fisici, chimici e biologici, nonché la valutazione delle differenze fisiologiche e psicologiche nell'organizzazione del lavoro.”
Inoltre, all’interno della medesima Comunicazione della Commissione, nel punto che illustra specificatamente la strategia europea 2002-2006 (3.1. “Per una strategia globale del benessere sul luogo di lavoro”), si evidenzia che “la strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro deve avere come obiettivo il continuo miglioramento del benessere, sia esso fisico, morale e sociale, sul luogo di lavoro. Tutti i soggetti interessati devono pertanto perseguire svariati obiettivi complementari:
[1….]
2. l'integrazione della dimensione legata al genere nella valutazione dei rischi, nelle misure di prevenzione, nonché nei dispositivi di riparazione e di compensazione, al fine di prendere in considerazione le particolari caratteristiche delle donne in materia di salute e di sicurezza sul luogo di lavoro […].”
Il D.Lgs.13 marzo 2013 n. 32 attuativo della Direttiva direttiva 2007/30/CE
Il secondo di questi passaggi, poi, si è avuto nel 2007 con l’emanazione della direttiva 2007/30/CE a cui il nostro Paese ha dato attuazione circa 6 anni dopo con il D.Lgs.13 marzo 2013 n. 32 recante “Attuazione della direttiva 2007/30/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive del Consiglio 89/391/CEE, 83/477/CEE, 91/383/CEE, 92/29/CEE e 94/33/CE”.
Come ricordato dal documento già citato dell’INAIL e Dipartimento Pari Opportunità (v. sopra), tale direttiva infatti ha introdotto “l’art. 17bis nella direttiva 89/391 prevedendo che nella relazione quinquennale sull’attuazione della direttiva vengano forniti, ove appropriati e disponibili, dati disaggregati per genere.”
Anche se questo passaggio può apparire di importanza minore, si tratta invece di una tappa normativa assai rilevante data l’importanza - quando parliamo di tutela legata al genere - del tema legato alla raccolta dei dati e delle informazioni che rappresentano il punto di partenza fondamentale per qualsiasi valutazione in materia.
In attuazione di tale direttiva, il Decreto Legislativo 32/2013 all’art.1 (“Recepimento della direttiva 2007/30/CE e semplificazione della documentazione”) ha modificato il Testo Unico prevedendo l’aggiunta di un ulteriore compito a quelli già attribuiti alla Commissione Consultiva Permanente dall’art.6 D.Lgs.81/08, ovvero il compito di “redigere ogni cinque anni una relazione sull'attuazione pratica della direttiva 89/391/CEE del Consiglio e delle altre direttive dell'Unione europea in materia di salute e sicurezza sul lavoro, comprese le direttive del Consiglio 83/477/CEE, 91/383/CEE, 92/29/CEE e 94/33/CE, con le modalità previste dall'articolo 17-bis della direttiva 89/391/CEE del Consiglio” (art. 6 comma 8 lett.i-bis) D.Lgs.81/08).
Secondo il medesimo decreto (art. 1 c. 2), “la prima delle relazioni di cui all'articolo 6, comma 8, lettera i-bis), del decreto legislativo n. 81 del 2008, come introdotta dal comma 1, relativa al periodo 2007-2012, è predisposta entro il 30 giugno 2013”.
La Legge 123/2007 (Legge Delega per il Testo Unico SSL)
Infine, non possiamo non citare il provvedimento che ha avuto una ricaduta diretta sulla definizione degli obblighi del D.Lgs.81/08 legati alle differenze di genere: la legge delega n.123/2007.
Tutta l’accresciuta sensibilità verso la considerazione di genere sui luoghi di lavoro di cui si è detto ha trovato diretta espressione nell’art.1 comma 1 L.123/2007, con cui il legislatore delegante consegnava questo “compito” al legislatore delegato: “Il Governo e’ delegato ad adottare […] uno o più decreti legislativi per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro […] garantendo l’uniformità della tutela dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati.”
LE DIFFERENZE DI GENERE NEL D.LGS.81/08
Dell’articolo 28 sulla valutazione dei rischi con riferimento alle differenze di genere si è già detto.
Passiamo ora in rassegna le altre disposizioni del Testo Unico che contengono dei riferimenti alle differenze di genere.
L’uniformità della tutela anche con riguardo alle differenze di genere tra le “finalità” del Testo Unico
Una norma analoga a quella contenuta nella Legge Delega n.123/2007 su citata è quella prevista dall’art.1 comma 1 D.Lgs.81/08 (“Finalità”), che prevede che “il presente decreto legislativo persegue le finalità di cui al presente comma […] garantendo l’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati.”
Inutile dire quanto un riferimento alle differenze di genere contenuto nella norma che definisce lo “scopo” stesso del decreto 81 e le “finalità” ultime che esso deve raggiungere - non a caso contenuta nell’articolo 1 al primo comma di tale decreto e quindi in apertura allo stesso - valorizzi e nobiliti sul piano legislativo il tema delle differenza di genere e ne sottolinei l’importanza.
Commissione Consultiva Permanente e differenze di genere
L’articolo 6 comma 8 lett. l) del D.Lgs.81/08 prevede che la “Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ha il compito di: […]
l) promuovere la considerazione della differenza di genere in relazione alla valutazione dei rischi e alla predisposizione delle misure di prevenzione.”
A questo proposito la Relazione di accompagnamento al D.Lgs.106/2009 (decreto “correttivo”) ha specificato a suo tempo che “la modifica alla composizione della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro risponde, da una parte, ad una esigenza di razionalizzazione a seguito del suddetto accorpamento di Ministeri e, dall’altra, all’esigenza di inserire tra i componenti un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle pari opportunità. Infatti, tra i compiti della Commissione vi è anche quello di promuovere la considerazione della differenza di genere in relazione alla valutazione dei rischi e alla predisposizione di misure di prevenzione.”
Il Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP) e le differenze di genere
Tornando ancora una volta al tema dell’importanza della raccolta dei dati e dei flussi informativi in un’ottica di genere, va rimarcato che l’articolo 8 comma 6 del D.Lgs.81/08 (“Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro”) prevede - per quando questo sistema sarà a regime - che “i contenuti dei flussi informativi devono almeno riguardare:
a) il quadro produttivo ed occupazionale;
b) il quadro dei rischi anche in un’ottica di genere;
c) il quadro di salute e sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici … […].”
La Relazione di accompagnamento al D.Lgs.106/2009 commenta così la riformulazione di questa norma: “l’articolo 8 del d.lgs.n.81/2008, che disciplina l’importante strumento del Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi di lavoro (c.d. SINP) viene modificato prevedendo che tale sistema disponga di dati sui rischi occupazionali che tengano conto delle differenze di genere e, recependo sul punto la sollecitazione dei pareri di Camera e Senato, dei dati relativi agli infortuni che risultino non indennizzabili dall’INAIL, in modo da avere un quadro complessivo maggiormente completo di informazioni utili a fini prevenzionistici..”
L’invio dei dati sanitari da parte del medico competente “evidenziando le differenze di genere”
In materia di sorveglianza sanitaria e di raccolta dati, poi, l’art.40 comma 1 D.Lgs.81/08 (“Rapporti del medico competente con il Servizio sanitario nazionale”) prevede che “entro il primo trimestre dell’anno successivo all’anno di riferimento il medico competente trasmette, esclusivamente per via telematica, ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria secondo il modello in allegato 3B.”
Il Jobs Act e le differenze di genere sui luoghi di lavoro
Dei compiti della Commissione Consultiva Permanente in relazione alle differenze di genere si è già detto.
Ci limitiamo qui ad aggiungere che il D.Lgs.151/2015 attuativo del Jobs Act ha modificato l’articolo 6 c. 2 del D.Lgs.81/08 prevedendo che “ai lavori della Commissione possono altresì partecipare rappresentanti di altre amministrazioni centrali dello Stato in ragione di specifiche tematiche inerenti le relative competenze, con particolare riferimento a quelle relative alle differenze di genere e a quelle relative alla materia dell’istruzione.”
Più complessivamente, nell’ambito della riforma del Jobs Act che consta di vari decreti, segnaliamo solo per conoscenza (trattandosi di norma che riguarda il diritto del lavoro ma non specificatamente la sicurezza sul lavoro) che il D.Lgs.15 giugno 2015 n.80 - recante Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro e attuativo del Jobs Act - ha introdotto una norma (art.24) che regola il “congedo per le donne vittime di violenza di genere”.
LE MALATTIE PROFESSIONALI DI GENERE: LA RELAZIONE DELLA COMMISSIONE D’INCHIESTA DEL SENATO 2013
La valorizzazione delle differenze di genere quale “principio già vigente nel nostro ordinamento, ma che, nella pratica, viene spesso trascurato o comunque non sufficientemente applicato”
Concludiamo con le parole della Commissione d’Inchiesta del Senato sugli infortuni sul lavoro che nel 2013 si esprimeva così: “un altro tema, legato sempre alla necessità di una maggiore e specifica attenzione alle caratteristiche personali dei lavoratori, è quello delle malattie professionali: ad esempio, come la Commissione ha segnalato nella relazione sul terzo anno di attività e nelle relative risoluzioni approvate dall’Assemblea del Senato, esistono alcune malattie «di genere», ossia patologie professionali (legate alle condizioni lavorative di determinati settori) che colpiscono in modo diverso uomini e donne e danneggiano la loro stessa capacità riproduttiva.”
La Relazione prosegue: “un aspetto particolarmente importante ma talvolta, per così dire, sottovalutato della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è quello relativo alla distinzione di genere […]. Si tratta di profili che attengono in modo particolare – anche se non esclusivo – ai rischi di malattie professionali, tenendo conto della diversa esposizione che i lavoratori e le lavoratrici possono avere in determinate circostanze, in ragione delle differenti mansioni eventualmente svolte e soprattutto della loro diversa fisiologia.”
E precisa che “un esempio è quello dei rischi di infertilità che possono essere causati dall’esposizione a determinati agenti chimici o biologici, o ancora dei particolari rischi per la salute che le lavoratrici in stato interessante possono avere rispetto ai colleghi maschi e per la cui tutela esistono infatti precise e dettagliate prescrizioni di legge. L’esigenza di considerare anche i rischi specifici per la salute e la sicurezza ai quali possono essere esposti sul luogo di lavoro in modo differenziato uomini e donne è del resto espressamente sancita dalle disposizioni vigenti, in particolare dall’art.28, c.1, del Testo unico…”.
Ma la Commissione conclude con un riferimento alla situazione reale: “si tratta quindi di un principio già vigentenel nostro ordinamento, ma che, nella pratica, viene spesso trascurato o comunque non sufficientemente applicato, il che costituisce una grave lacuna per l’efficacia del sistema di prevenzione e di tutela dei lavoratori e delle lavoratrici.”
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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