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Differenze di genere: rischi psicosociali, stress e suicidi

Differenze di genere: rischi psicosociali, stress e suicidi

Informazioni sulle differenze di genere nel mondo del lavoro con particolare riferimento ai rischi psicosociali e allo stress lavoro correlato. I fattori di rischio, le mansioni femminili e le differenze sull’incidenza di suicidio tra donne e uomini.

Roma, 21 Dic – Diversi articoli di PuntoSicuro in questi ultimi anni hanno sottolineato come le differenze di genere si associno spesso nel mondo del lavoro ad una distribuzione diversa, per tipologia e incidenza, delle patologie di origine professionale. E questa differente distribuzione è attribuibile sia ad una ineguale esposizione ai rischi per la salute che ad alcune specificità dei due sessi, ad esempio a “peculiarità di tossico-cinetica e tossico-dinamica, differenti suscettibilità di organi bersaglio e specificità legate al sistema riproduttivo e ormonale che possono predisporre a effetti biologici diversi, anche a parità di esposizione”.
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Ad affermarlo è il documento Inail “ Salute e sicurezza sul lavoro, una questione anche di genere. Rischi lavorativi. Un approccio multidisciplinare. Volume 4” che segue la pubblicazione di altri tre volumi Inail sul tema delle differenze correlate all'appartenenza al genere maschile o femminile.
 
E se in passati articoli di presentazione del documento, PuntoSicuro ha evidenziato diverse differenze di genere correlate, ad esempio, ai rischi chimici e biologici e ai rischi ergonomici e organizzativi, si possono notare sensibili differenze anche riguardo ai rischi psicosociali?
 
Ricordiamo che i rischi psicosociali sono - come indica il documento Inail e come da definizione di Cox e Griffiths del 1995 (ripresa nel 2000 dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro) – “gli aspetti di progettazione, organizzazione e gestione del lavoro e i loro contesti ambientali e sociali che, potenzialmente, possono dar luogo a danni di natura psicologica, sociale o fisica”. E in particolare “lo stress lavoro correlato è un insieme di reazioni fisiche ed emotive dannose che si manifesta quando le richieste in ambito lavorativo non sono commisurate alle capacità, risorse o esigenze del lavoratore (NIOSH, 1999)”.
 
Per capire se ci siano specificità e differenze di genere riguardo ai rischi psicosociali, bisogna innanzitutto elencare i principali fattori di rischio in ambito lavorativo suddivisi per contenuto e contesto di lavoro, “per i quali esiste un’ampia evidenza scientifica che rappresentino un potenziale di stress e di danno per la salute”: “l’elevato carico di lavoro, una scarsa autonomia, un basso supporto sociale da colleghi e superiori, instabilità e insicurezza del lavoro, alcune caratteristiche dell’orario di lavoro e una bassa remunerazione”.
 
Se fino ad oggi gli studi “non hanno evidenziato differenze tra uomini e donne nelle cause dello stress lavoro correlato (Miller et al, 2000)”, è importante sottolineare che molti di questi fattori di rischio indicati “sono presenti nelle mansioni svolte generalmente da donne: mancanza di controllo sul proprio lavoro, posizione nella gerarchia organizzativa, gap salariale, compiti ripetitivi, instabilità e insicurezza sul lavoro, esigenze contrastanti tra lavoro e vita privata, discriminazione, molestie sessuali”.
 
Ad esempio la difficoltà nel conciliare lavoro e vita familiare è “considerato un fattore in grado di aumentare nelle donne il rischio di disturbi psicologici da stress quali stanchezza cronica, nervosismo, ansia, disturbi della sfera sessuale e depressione (Wedderburn, 2000)”.
 
Inoltre “i dati dell’OMS così come quelli derivanti da statistiche condotte in Italia, dimostrano come la depressione e i disturbi d’ansia siano più diffusi tra le donne rispetto agli uomini (Dell’Osso L., 2012). Questa maggiore prevalenza femminile può essere dovuta a fattori ormonali (basti pensare alla depressioni post-partum), biologici e sociali, o potrebbe essere l’epifenomeno di una maggior propensione delle donne a richiedere un trattamento terapeutico”. E all’inverso “il minor ricorso a trattamenti terapeutici, ovviato spesso da condotte di abuso di alcol e droghe, potrebbe portare alla sottostima di queste patologie nel sesso maschile (Haslam et al, 2003)”.
 
E se che, come già indicato in un precedente articolo di PuntoSicuro, le differenze di genere “sono particolarmente evidenti con riferimento ai casi di segregazione occupazionale, cioè all’ineguale distribuzione per genere degli individui tra le diverse occupazioni”, si evidenzia come in alcuni settori ad elevata occupazione femminile (sanità e istruzione in primo luogo) “si
richiede alle lavoratrici di svolgere mansioni molto impegnative sia sul piano fisico che su quello mentale, con un forte uso delle risorse relazionali ed emotive che possono comportare stati di stress e di stanchezza notevoli”.
Senza dimenticare che, come ricordato a proposito dei rischi da fattori inerenti l’organizzazione di lavoro, in una lavoratrice un “lavoro faticoso e stressante può alterare il ciclo mestruale provocando, amenorrea, dismenorrea, cicli anovulatori e riduzione della fertilità”.
 
Inoltre secondo alcuni studi le donne “tendono a sviluppare 2-3 volte più degli uomini il disturbo post traumatico da stress dopo un trauma, e ad avere sintomi più persistenti (American Medical Association Councilon Scientific Affairs. Women’s Health: Sex- and Gender-based Differences in Health and Disease).
E sembra che il rischio di disturbi dell’ansia e dell’umore sia in genere “associato per le donne a eventi stressanti della vita legati alla riproduzione, educazione e cura dei figli e alla gestione della famiglia”. Mentre per gli uomini tale rischio “viene a essere associato maggiormente a problematiche lavorative e finanziarie (Afifi M., 2007)”.
 
Concludiamo l’articolo proprio parlando delle reazioni alle problematiche economiche e alle differenze riscontrate sull’incidenza di suicidio tra donne e uomini.  
 
Infatti si è riscontrato, in uno studio condotto alla fine degli anni '80, che l'incidenza di suicidio è “superiore nell'uomo rispetto alla donna con un rapporto 3,5:1 nella popolazione generale (Conroy C., 1989)”. Altri studi hanno evidenziato come tale divario aumenti notevolmente se si considerano “solo i suicidi per i quali fosse possibile riconoscere una motivazione legata al mondo del lavoro”.
 
Veniamo ad alcuni dati che riguardano l’Italia, come riportati nel documento dell’Inail:
- “i suicidi di imprenditori e lavoratori, motivati da difficoltà economiche, sono saliti del 52% dai 123 del 2005 ai 187 del 2010” (dati ISTAT);
- “secondo i dati EU.R.E.S. nel corso del 2009 in Italia i suicidi commessi sono stati 2986 (il 5,6% in più rispetto all’anno precedente), con incremento sia della componente femminile (643 casi, +1,6% rispetto al 2008) che, ancor più, della componente maschile (2197 casi, + 5,6%);
- i suicidi per ragioni economiche (per quanto sia possibile attribuire una motivazione univoca al gesto e al netto dei suicidi ‘non spiegati’) risultano essere stati 198 nel 2009 (+32% rispetto al 2008, +67,8% rispetto al 2007), rappresentando il 10,3% dei casi totali contro il 2,9% rilevato nel 2000, evidenziando così la forte influenza determinata dalla crisi economica che il Paese sta attraversando”.
 
In ogni caso il suicidio per ragioni economiche sembra rappresentare nel nostro paese “un fenomeno quasi esclusivamente maschile” e si può ipotizzare, infine, che questo dipenda dal particolare “contesto socio culturale del nostro paese”: “la centralità del lavoro e la responsabilità del mantenimento della famiglia sono, infatti, ancora oggi prerogativa e responsabilità prettamente maschili”.
 
 
Inail, “ Salute e sicurezza sul lavoro, una questione anche di genere. Rischi lavorativi. Un approccio multidisciplinare. Volume 4”, quaderno della "Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali" a cura di Rita Biancheri, Annalaura Carducci, Rudy Foddis e Antonella Ninci, agosto 2013 (formato PDF, 17.11 MB).
 
 
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Tiziano Menduto
 
 
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