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"L'infortunio in itinere"

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Approfondimento

06/11/2003

Disponibile per tutti i lettori di PuntoSicuro una parte dell’intervento dell’Avv. Rolando Dubini al Convegno del 16 ottobre 2003.

Pubblichiamo oggi la seconda parte dell’intervento dell’avv. Dubini al Convegno del 16 ottobre 2003.
(La prima parte è disponibile sul numero 875 di PuntoSicuro.

2. Le ragioni della lunga lacuna legislativa
Le ragioni di questa prolungata lacuna legislativa normativa derivavano non solo da motivazioni molteplici, non riconducibili solo a motivazioni di natura finanziaria, ma anche tutta una serie di argomenti che si contrapponevano, gli uni a favore e gli altri contro l’adozione di un sistema di tutela dei lavoratori contro il rischio derivante dall'iter dal lavoro a casa e viceversa, nel contesto del sistema vigente di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.
La problematica è diventata di attualità nel momento in cui lo sviluppo generalizzato della motorizzazione civile ha reso i sinistri stradali, che erano eventi molto rari nel periodo antecedente la seconda guerra mondiale, un vero e proprio rischio sociale, collettivo, di massa, un’eventualità diffusa e altamente pregiudizievole per le condizioni di esistenza e di progresso della società (cfr. Meschini e Ensoli. Attualità sull’infortunio in itinere, in ENPAS, 1972,18).
Occorre ricordare che nel 2002 gli infortuni in itinere complessivi sono stati 59.318 (+15,7%), 313 dei quali mortali (+30% rispetto ai 241 del 2001) (dati Inail).
Inoltre:
- gli infortuni sul lavoro (con esito mortale) sono determinati per una quota pari a circa il
60% da incidenti stradali;
- gli infortuni sul lavoro che determinano inabilità temporanee o permanenti sono
determinati per circa il 2% da incidenti stradali.
Si nota inoltre che gli infortuni “in itinere” (così l’INAIL definisce gli infortuni che si
verificano durante il tragitto casa-lavoro) determinano il 24% dei morti complessivi per incidenti
stradali e il 27% dei feriti complessivi per incidenti stradali.
In sostanza, 1/3 delle vittime degli incidenti stradali è determinato da incidenti stradali
per lavoro, sul lavoro o “in itinere”.

Ciò rese necessario l'intervento pubblico, correlato alle diverse fasi di emersione del rischio, a seguito del quale si verificano danni economici, umani e sociali.

In tale contesto una vera e propria protezione integrale, un livello di tutela adeguato alla concezione moderna della sicurezza sociale dovrebbe comprendere da un lato la prevenzione, la cura e la riabilitazione e dall’altro la garanzia dei mezzi di esistenza, mediante un reddito di sostituzione o una erogazione assistenziale, oltre a specifici interventi con carattere integrativo finalizzati al recupero sociale dei lavoratori infortunati
Per far fronte a tale esigenza, doverosa considerando i doveri inderogabili di solidarietà imposti dalla Carta Costituzionale, ci si è presto resi conto della inadguatezza e insufficienza della tutela apprestata dall’assicurazione obbligatoria contro la responsabilità civile per uso di veicoli a motore e di natanti.
Quest'ultima, infatti, istituita in attuazione della Convenzione di Strasburgo del 1959 (conn 10 anni di ritardo sulla stessa), risulta insufficiente non soltanto per l'impostazione privatistica che la contraddistingue in relazione alla costituzione e al contenuto del rapporto assicurativo, ma soprattutto perché non tutela direttamente il rischio del danno, bensì quello della responsabilità civile, la quale nella normativa vigente in materia di circolazione stradale (art. 2054 cod.civ.) ha ancora un fondamento soggettivo, configurandosi soltanto in presenza di una colpa, sia pur lievissima,del conducente del veicolo.
Va notato peraltro che secondo Guido Gentile, nel 1975 sulla Rivista "Responsabilità Civile e Previdenza" nell'articolo "L'Art. 2054 del codice civile italiano di fronte alla convenzione di Strasburgo", "la presunzione di responsabilità stabilita dall'art. 2054 esaurisce tutta l'area di disponibilità soggettiva del comportamento umano per raggiungere, su un filo di rasoio, la linea di responsabilità oggettiva. Al di là di questo limite vi è la responsabilità senza colpa, preclusa ad ogni invadenza dallo sbarramento del nesso di causalità; ed infatti se la responsabilità soggettiva richiede la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile, ogni ulteriore sviluppo incontrerebbe l'ostacolo del caso fortuito comprensivo della colpa della vittima e del fatto del terzo".
Fu una presa di posizione decisa contro alcune enunciazioni della Convenzione che, vagheggiando la responsabilità senza colpa, erano (secondo l'autore) ideologicamente contrastanti con il nostro ordinamento giuridico e "destinate a trasformarsi in un aggravamento della sinistrosità stradale".
L'art. 2054 del Codice Civile, ricordiamo, prevede quanto segue:
1.«Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone e a cose della circolazione del veicolo se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno».
2.«Nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli».

Proprio a proposito della prova liberatoria, è interessante riportare una sentenza della III Sezione civile del 18 ottobre 2001, la quale così recita: «La prova liberatoria di cui all’articolo 2054 C. C. nel caso di danni prodotti a persone o a cose dalla circolazione di un veicolo, non deve essere necessariamente data in modo diretto, cioè dimostrando di aver tenuto un comportamento esente da colpa e perfettamente conforme alle norme del Codice della Strada, ma può risultare anche dall’accertamento che il comportamento della vittima sia stato il fattore causale esclusivo dell’evento dannoso, comunque non evitabile da parte del conducente, attese le concrete circostanze della circolazione e la conseguente impossibilità di attuare una qualche manovra di emergenza; pertanto, il pedone, il quale attraversi la strada di corsa, sia pure nelle strisce pedonali, immettendosi nel flusso dei veicoli marcianti alla velocità imposta dalla legge, pone in essere un comportamento colposo che può costituire causa esclusiva del suo investimento da parte di un veicolo, ove il conducente, sul quale grava la presunzione di responsabilità di cui alla prima parte dell’articolo 2054 C.C., dimostri che l’improvvisa ed imprevedibile comparsa del pedone sulla propria traiettoria di marcia, ha reso inevitabile l’intervento dannoso, insufficiente per operare una idonea manovra di emergenza».
A mo’ di chiosa e di commento, la sentenza conclude dicendo che «il giudice di merito, mentre è libero di attingere il proprio convincimento utilizzando gli elementi probatori che ritiene rilevanti per la sua decisione, non è obbligato a prendere in esame e a disattendere analiticamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che egli abbia indicato gli elementi posti a fondamento della statuizione adottata...».

La convenzione di Strasburgo del 20 aprile 1959 ha sancito l'obbligo, per gli Stati firmatari dell'accordo, di istituire l'assicurazione obbligatoria contro i danni derivanti dalla circolazione dei veicoli.
La legge 24 dicembre 1969, n.990, modificata e integrata dalla legge 26 febbraio 1977, n.39, ha introdotto in Italia, in applicazione di tale convenzione, l'assicurazione obbligatoria contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione degli autoveicoli.
L'articolo 13 punto 4 della legge 298/74 pone, inoltre, fra i requisiti per l'iscrizione all'albo degli autotrasportatori l'aver stipulato un contratto di assicurazione per la responsabilità civile dipendente dall'uso degli autoveicoli con massimali che comunque non possono essere inferiori a quelli previsti da altre disposizioni di legge. I massimali, quindi non possono in nessun caso essere inferiori a quelli fissati in conformità con le disposizioni contenute nella legge 990/69.
Chi subisce un danno derivante dalla circolazione di un veicolo può citare in giudizio direttamente la compagnia di assicurazione. Un fondo di garanzia, istituito dalla stessa legge 990/1969, tutela le vittime dei veicoli non assicurati e dei veicoli non identificati. L'assicurazione è obbligatoria per qualsiasi veicolo a motore circolante su strada di uso pubblico, su aree di proprietà pubblica, su aree di proprietà privata che possono essere aperte al pubblico.

In tale contesto susssitevano evidenti ragioni morali, ma anche costituzionali, per giungere alla tutela del rischio che insorge durante l'itinerario dal posto di lavoro all'abitazione e viceversa e connesso inevitabilmente allo svolgimento di un’attività lavorativa nell’ambito della gestione previdenziale concernente i rischi professionali.
Afferma la Suprema Corte:
L'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro - secondo la più recente e condivisibile giurisprudenza maggiormente rispettosa dei canoni della ragionevolezza (art. 3 Cost.) e della protezione dell'infortunato (art. 38 Cost.) - comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo dell'abitazione a quello del lavoro, anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché imposto da particolari esigenze; per luogo di abitazione non si può intendere soltanto quello di personale dimora del lavoratore, ma, soprattutto, il luogo in cui si svolge la personalità dell'individuo, di norma, nell'ambito della comunità familiare; di conseguenza, anche il percorso di andata e ritorno dal luogo di residenza della famiglia al luogo di lavoro, in considerazione dei doveri di rilevanza costituzionale di solidarietà familiare, deve reputarsi "normale" (Cass. 8/11/00, n. 14508, pres. Ianniruberto, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag. 2309 e in Foro it. 2001, pag. 1531)

Il rischio corso dai lavoratori per recarsi al lavoro o per farne ritorno ove lo si consideri nel suo complesso e non soltanto nei singoli casi, presenta elementi di specificità rispetto al rischio generico cui è esposto qualunque utente delle vie di comunicazione, ed esso deriva precisamente:
1) dalla continuità di esposizione al rischio medesimo,
2) dalla concentrazione dei percorsi effettuati dai lavoratori in determinate fasce orarie (durante le quali è maggiore, solitamente, il traffico, e quindi più elevato il fattore di rischio al quale restano sottoposti) e in determinate località,
3) dalla necessità, derivante dall’orario di lavoro e dal luogo aziendale di svolgimento dell’attività lavorativa di effettuare percorsi determinati, senza possibilità di sceglierne altri meno pericolosi e alternativi,
4) e nella necessità di utilizzare il proprio mezzo di trasporto individuale a causa della carenza dei servizi pubblici (Mazzucchelli. Alcune considerazioni sul rischio assicurativo dell’infortunio “in itinere”,in Riv.it dir.soc.,1966)
Il rischio durante l'iter è ricollegabile a quello del lavoro non soltanto dal punto di vista teleologico e da quello della densità, ma anche sotto l’aspetto conseguenziale finora scarsamente considerato,a causa delle limitazioni con cui il rischio del lavoro assume rilevanza in un sistema di tutela fondato sul principio del rischio professionale (Cataldi, Rischio professionale e sicurezza sociale,in Prot. soc., 1961,485).

Gli studi di medicina sociale, infatti, hanno messo in rilievo l’interdipendenza tra la fatica psicofisica accumulata durante l’itinerario r e le condizioni psicofisiche del lavoratore durante l’adempimento della prestazione lavorativa e viceversa la connessione tra la fatica del lavoro e il comportamento dell’individuo durante il percorso, specie se compiuto a bordo di un mezzo di trasporto condotto dal medesimo.(Pancheri, Igiene del lavoro.Roma 1973,13 ss.).
Recentemente è stato stabilito che è risarcibile dall’Inail l’incidente d’auto provocato dallo stress da lavoro: lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 15312/2001. Il dipendente che, tornando a casa dopo un turno di lavoro notturno, provoca un incidente stradale, rientra nella copertura assicurativa a carico dell’Inail. La circostanza che l’incidente sia stato provocato dalla colpa del lavoratore è a tal fine inifluente. Sempre a giudizio della Corte, infatti, l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro prende in considerazione, nell’ipotesi di infortunio in itinere del lavoratore costretto ad utilizzare un mezzo di trasporto proprio, anche le condizioni di stanchezza e preoccupazione causate dallo svolgimento del lavoro. Tutto ciò concorre ad aumentare il pericolo di essere vittima di un incidente.

Sempre in tal senso, è stato ritenuto che l''incidente da stress è infortunio sul lavoro, dalla Corte di Cassazione sezione lavoro con la sentenza 21 aprile 1999 n. 3970 nel caso di un impiegato investito al termine del proprio turno.
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha considerato risarcibile come infortunio sul lavoro l'incidente capitato ad un impiegato che, al termine del turno di lavoro, era stato investito da una macchina mentre si recava di corsa verso l'autobus che avrebbe dovuto riportarlo a casa. I giudici di legittimità hanno confermato la sentenza del Tribunale di Firenze che, accogliendo la domanda della moglie dell'uomo, finito in coma irreversibile, aveva condannato l'INAIL a risarcire il fatto come infortunio sul lavoro. Il Tribunale aveva ritenuto che l'uomo fosse "in una condizione psicologica connessa ai tempi ristretti che lo inducevano ad affrettare il tragitto e ad attraversare la strada senza l'accortezza necessaria", e che era "altamente probabile" che la sua attenzione fosse menomata a causa del lungo turno di lavoro svolto; i giudici avevano anche ricordato gli studi statistici secondo i quali il maggior numero di infortuni si verificano al termine dell'orario di lavoro. La Suprema Corte, condividendo le valutazioni del Tribunale e respingendo il ricorso dell'INAIL, sottolinea come il "rischio generico" della strada, al quale tutti sono sottoposti, può diventare "rischio specifico di lavoro" quando l'infortunio "in itinere" si trovi "in stretta e necessaria connessione con gli obblighi lavorativi", così da poter essere ricondotto alla "occasione di lavoro".

Questa interdipendenza tra stanchezza drivante dall'attività lavorativa in senso proprio e le conseguenze rischiose che ne derivano durante l'itinerario dal posto di lavoro a casa inevitabilmente accresce il fattore di rischio cui è sottoposto il lavoratore, rischio che però, occorre ribadirlo e sottolinearlo, il lavoratore sopporta nell'interesse dell'azienda che si avvale della sua prestazione lavorativa..
In tal senso la tutela dei lavoratori contro il rischio dell’infortunio in itinere è apparsa sempre più indispensabile per adeguare la normativa interna a quella internazionale in materia di eventi dannosi compresi nel sistema della sicurezza sociale e per allineare il nostro sistema previdenziale a quelli degli altri Stati della Comunità Europea che avevano da tempo riconosciuto come indennizzabile tale rischio.

[continua]
A cura di Rolando Dubini, avvocato in Milano

Prossimamente saranno pubblicate su PuntoSicuro altre sezioni dell’intervento dell’Avv. Rolando Dubini al Convegno svoltosi a Modena il 16 ottobre 2003

Gli abbonati alla Banca Dati possono consultare l'intero documento (in formato pdf) dell'avv. Dubini in area riservata.


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