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Una visione integrata della manutenzione: safety, asset protection, business

Una visione integrata della manutenzione: safety, asset protection, business

Riflessioni per una visione integrata della manutenzione per la sicurezza delle persone, la tutela dell’ambiente, la tutela dei beni aziendali e la continuità di business. Prima parte: definizioni, storia, organizzazione, competenze e sicurezza.

Pubblichiamo la prima parte di un articolato e interessante approfondimento sul tema della manutenzione a cura di Alessandro Mazzeranghi e intitolato “Manutenzione: people safety (and enviroment), asset protection, business continuity - una visione integrata”.

 

Questa prima parte affronta alcune definizioni, riporta cenni sull’evoluzione storica, analizza le peculiarità, le competenze e l’organizzazione della funzione manutenzione. Inoltre comincia a delineare uno degli obiettivi della manutenzione: la sicurezza e la salute sul lavoro.

 

Nelle successive parti, che pubblicheremo nei prossimi giorni, si tornerà a parlare di manutenzione per la sicurezza, ma si analizzerà anche la manutenzione per la tutela dell’ambiente, la manutenzione per la tutela dei beni e la manutenzione per la tutela della continuità di business.


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Manutenzione: people safety (and enviroment), asset protection, business continuity - una visione integrata – prima parte

 

Premessa

Le mie definizioni

Cenni alla evoluzione storica

Peculiarità della manutenzione: la questione del problem solving

Organizzazione della funzione manutenzione

Competenze e capacità degli addetti in funzione del ruolo svolto

L’altra complessità

Manutenzione per ….

 

Premessa

Intendo dedicare questa prima parte dell’articolo, inevitabilmente corposo, ad una analisi, secondo quanto dichiarato nel titolo, di una parte della manutenzione, quella che definirei “manutenzione tradizionale” che, pur ben presente ancora oggi (e lo sarà anche per molti decenni o secoli a venire), dall’avvento della elettronica “di massa” viene sempre più affiancata da altri approcci di cui parlerò nella parte successiva.

 

Solo una esperienza personale: nel 1993 uscivo ad intervalli regolari (giorno, notte, sabato, domenica) a misurare con un pirometro ottico (tipo i termometri a pistola per il covid, ma pesava oltre 10 kg) le temperature del mantello di un forno da cementeria, me le scrivevo, e terminata una ispezione lunga qualche centinaio di metri e che durava una trentina di minuti, tornavo in sala controllo e analizzavo i dati per verificare che le pareti del forno fossero integre. Oggi la stessa cosa si esegue con termocoppie fisse che inviano in continuo i dati a sala controllo e compiono in automatico le elaborazioni necessarie.

 

Le mie definizioni

In ambito industriale, ma anche lavorativo in genere, e pure in ambito civile e domestico, usiamo spesso la parola manutenzione (o riparazione, che non è proprio la stessa cosa) senza neanche avere una idea precisa di cosa voglia dire. Generale si, precisa no.

 

Voglio davvero chiarire che in una materia così articolata sviluppatasi nei secoli, è piuttosto ovvio che ognuno si affezioni alle proprie visioni e definizioni, che tutte hanno qualcosa di giusto e altrettanto di discutibile: anche le mie ovviamente, che per scelta si discostano dalla tradizione normativa (in questo caso prima UNI e poi ISO) più tecnica per privilegiare gli aspetti organizzativi. Per un unico motivo: puoi avere manutentori ottimi o addirittura geniali ma se li gestisci male il risultato resta modesto o peggio.

Manutenzione

Esistono varie definizioni, fra cui io prediligo assolutamente la seguente:

la manutenzione è l’insieme di tutte quelle azioni che mantengono o riportano un bene (e talvolta un servizio) nelle condizioni originali.

 

Chi parla di miglioramento di un qualcosa dovrebbe non dire manutenzione migliorativa bensì usare il termine modifica migliorativa. Credo che pensandoci un attimo la differenza concettuale sia ovvia.

Quindi: agire perché qualcosa resti o torni nel suo stato “giusto” fornendo le prestazioni e i servizi previsti agli utilizzatori/ utenti. Posso fare manutenzione su una linea ferroviaria per garantire le caratteristiche del bene ma col fine di garantire il servizio di trasporto agli utenti. Quale è il fine vero? Garantire il servizio, per cui se riparo la linea danneggiata ma poi ho gran parte dei treni guasti … Quindi la manutenzione così come definita è una questione di sistema, non di specifico bene. È ovvio ma nessuno lo dice (in campo) e nessun manutentore ci pensa (quasi nessuno).

 

Manutenzione ordinaria e manutenzione straordinaria 

Esiste un altro tema molto dibattuto ma in verità insignificante se non da un punto di vista finanziario o amministrativo. Fra le due apparirà evidente quale prediligo.

 

Prima definizione:

  • Manutenzione ordinaria: ogni intervento previsto all’interno di un piano di manutenzione o piccoli interventi prevedibili ma non nel numero o nel dettaglio (manutenzione su condizione, manutenzione di piccoli guasti)
  • Manutenzione straordinaria: tutti gli interventi non previsti dal piano di manutenzione

Dal punto di vista economico/finanziario/ amministrativo la prima rientra fra le spese a budget, prevedibili salvo lievi scostamenti che si possono verificare nella trattativa coi fornitori. La seconda entra nel campo economico/ finanziario del budget “imprevisti”.

 

Seconda definizione:

  • Manutenzione ordinaria: ogni azione che ripristina le condizioni originali di un bene
  • Manutenzione straordinaria: ogni azione che modifica (in meglio, si spera) un bene nelle prestazioni, nei principi di funzionamento, nella sicurezza, nella destinazione d’uso ecc.

Evidentemente questa seconda definizione non può piacermi per quanto detto al paragrafo precedente, ma anche per la sua aleatorietà generale.

 

Verifiche periodiche programmate

Se la manutenzione ordinaria prevede un intervento fisico sul bene le verifiche prevedono una ricognizione esterna dello stato di integrità e funzionalità del bene, e solo se la verifica produce un esito negativo si deve dare corso all’intervento fisico. L’ovvio principio: non sostituire un cuscinetto integro. Per inciso qui si inseriscono i concetti di vita residua e di prolungamento della vita utile.

 

Non voglio fare il sofista ma per me le verifiche periodiche programmate fanno parte del piano di manutenzione programmata e, sotto un profilo logico, sono quasi la stessa fattispecie.

 

Verifiche eccezionali o straordinarie 

Vale lo stesso discorso appena fatto: sono assimilabili alla manutenzione straordinaria.

 

Monitoraggio/controllo continuo dei parametri critici

Sebbene il livello di complessità tecnica sia decisamente superiore non è nulla di diverso dai controlli continui di buon funzionamento (visivi, prevalentemente) svolti dall’operatore. Che poi siano registrati elettronicamente, su carta o per nulla registrati (si segnalano solo le anomalie) dipende più dalla organizzazione che dalle modalità di monitoraggio / controllo.

 

Altre definizioni

Ce ne sarebbero tante altre, anche interessantissime, ma ho scelto di approfondire quelle più discusse che mi interessa precisare (sempre dal mio punto di vista!) perché quello che segue non risulti potenzialmente fuorviante.

 

Cenni alla evoluzione storica

Negli ultimi decenni del XVIII secolo, in tutto il secolo successivo e quasi per tutta la prima metà del XX secolo l’importanza data alla salute e sicurezza sul lavoro era relativamente marginale. Chiaramente se un infortunio coinvolgeva un lavoratore particolarmente abile e esperto ed era così grave da renderlo inabile (ovviamente inclusa la morte) la questione assumeva rilevanza perché un “mezzo di produzione” di grande valore e non facilmente replicabile andava perduto per l’attività aziendale. Gli industriali filantropi del XIX secolo si concentravano più sul miglioramento delle condizioni di vita e morali dei lavoratori e delle loro famiglie, piuttosto che sul miglioramento delle condizioni al fine di ridurre incidenti e malattie professionali; sulle seconde bisogna anche riconoscere il grado di inesperienza e ignoranza medica dell’epoca. Pensando ad una miniera di carbone si rilevava più la questione della fatica che le conseguenze della inalazione di polvere di carbone che sino ad una certa epoca venne percepita come fastidio temporaneo ma non come causa di malattie susseguenti.

 

Allora bisogna considerare che la manutenzione nasce come attività volta alla conservazione e alla efficienza dei mezzi di produzione.

 

In quel secolo chi voleva fare qualcosa per i lavoratori costruiva presso le fabbriche i villaggi operai, completi di grandi bagni pubblici, spacci, luoghi di culto, cimiteri ecc. ed eventualmente interveniva a limitare gli orari di lavoro per lasciare ai lavoratori maggior tempo per attività volte alla edificazione dell’anima. O di semplice sollievo dalle fatiche della giornata, funzione svolta dal tè delle 5 fatto distribuire da Mr. Lever a tutti i suoi lavoratori (prevalentemente donne) insieme ai fatidici biscotti per spezzare la monotonia lavorativa (fabbricavano saponette) e dare un segno di comunità unita.

 

Dobbiamo rispettare questi sforzi tantopiù che erano qualcosa di assolutamente eccezionale nel panorama dell’epoca.

 

L’aggiunta di altri concetti all’interno del campo di interesse della manutenzione ha avuto inizio principalmente al termine della seconda guerra mondiale; non bisogna dimenticare che fra la prima e la seconda guerra mondiale prima la Spagnola e poi la Grande Crisi non avevano permesso di concentrare gli sforzi pubblici su materie del genere: piuttosto si privilegiavano le “grandi opere” (ferrovie, strade, bonifiche, dighe idroelettriche ecc.), che davano oltre che vantaggio competitivo e migliori condizioni di vita anche tanto ma tanto lavoro, mentre francamente della sorte del singolo lavoratore importava poco.

 

Peculiarità della manutenzione: la questione del problem solving

Credo che sia ovvio che la manutenzione sia prima di tutto problem solving e poi altro, importante ma insignificante e anzi dannoso se il problem solving fallisce. Definiamo il problem solving nel nostro ristretto ambito:

 

Qualcosa non funziona come dovrebbe e crea perdite o danni: è una cosa grave?

Perché non funziona?

Cosa devo fare per rimediare?

Quanto è l’impegno economico e lavorativo per rimediare?

 

Oh il caro problem solving, le competenze tecniche e organizzative messe al servizio della risoluzione dei problemi, quindi prima di tutto la descrizione del problema, poi l’analisi, la comprensione delle cause e poi la comprensione dei possibili rimedi che possono consentire di rimuovere le cause. Bello e stimolante; ma poi dobbiamo vedere se siamo davvero capaci di rimuovere le cause con le risorse a nostra disposizione. Anche questa parte di studio di fattibilità non è altro che buona organizzazione.

 

Organizzazione della funzione manutenzione

Veniamo all’ultimo trentennio: la prima cosa da considerare in ambito industriale e simile, ma anche per quanto riguarda infrastrutture (ferrovie, strade, aeroporti ecc.), servizi pubblici (treni, tram, autobus, ecc.), il primo requisito che garantisce la efficacia e l’efficienza della manutenzione è la struttura organizzativa che si sceglie. Purtroppo l’evoluzione e la crescita delle realtà sopra nominate portano ad avere servizi di manutenzione organizzati adeguatamente, ma per realtà più piccole che in un contesto evoluto diventano obsoleti. Lo ho visto accadere di persona e assicuro che è un problema perché per cambiare organizzazione spesso si devono “rottamare” coloro che sino ad allora erano i soggetti chiave della intera organizzazione. Non è carino … comunque esistono criteri di valore generale che devono essere stabiliti:

  • Organigramma (del servizio che presumibilmente a sua volta risponderà al direttore operation).
  • Responsabilità e poteri dei vari soggetti individuati nell’organigramma; limiti superiori di autorità e intervento tecnico (certe cose non le puoi decidere e fare da solo ma devi chiedere aiuto ai superiori /al tuo superiore …)
  • Compiti pratici da svolgere e compiti che solo apparentemente ragionevoli sono invece vietati al soggetto perché le sue competenze non sono del tutto sufficienti

 

Competenze e capacità degli addetti in funzione del ruolo svolto

Poniamo di avere un servizio manutenzione suddiviso come segue: oltre a identificare le figure dirò anche i compiti e dunque le capacità e le competenze necessarie. La sequenza è quasi strettamente gerarchica. Ovviamente in funzione della dimensione e della complessità tecnica della azienda alcune figure potranno essere accorpate in una sola persona o addirittura soppresse perché poco utili.

 

Partiamo solo da un presupposto: l’azienda ha un solo sito o poco più e NON è parte di un gruppo multinazionale. In tal caso la manutenzione potrebbe essere inserita in un organigramma generale come funzione dipendente dalla direzione generale e a pari livello con la direzione di produzione, potendo così operare in materia autonoma con obiettivi differenziati per produzione e manutenzione, anche se poi le due funzioni devono interloquire, non gerarchicamente, a livello più basso fra operatori delle due diverse funzioni per ottimizzare i flussi informativi (richieste di manutenzione e pianificazione degli interventi) e ridurre i tempi morti. A costo di essere ridondante, ripeto che evidentemente una struttura così articolata deve allocare esplicitamente (organigramma e mansionario, almeno nella mia visione) nelle varie funzioni competenze e capacità adeguate, nonché funzioni gerarchiche ben definite.

 

I vertici devono avere la capacità di sintetizzare e dare le giuste priorità anche dialogando con le operation per le priorità non solo manutentive ma legate alla politica aziendali. Dati gli obiettivi ai responsabili di settore, questi devono perseguirli al meglio assegnando le risorse in funzione delle esigenze, sia per competenze e capacità che per numero. E così via …

 

Ma dove si colloca il problem solving a livello gerarchico??

Già a che livello entra nella gerarchia? Al livello di coloro che hanno più competenze tecniche che organizzative. E questo è un bel vulnus della manutenzione. L’organizzazione deve accettare di non essere pienamente gerarchica perché chi è inferiore per gerarchia può avere più competenze tecniche. Non è una cosa strana ma in altri settori come le operation questo accade affiancando a un manager uno specialista in staff. Nella manutenzione difficilmente accade questo; si potrebbe fare? Forse sì, ma ne siamo davvero lontani.

 

Quindi il manager di manutenzione deve tenere sotto controllo queste dinamiche e fidarsi delle persone giuste: mica facile!

 

L’altra complessità

Nel titolo ho dato tre obiettivi: sicurezza delle persone e tutela dell’ambiente, tutela dei beni aziendali, continuità di business; obiettivi sicuramente oggi primari nella manutenzione insieme ad altri (tipo la qualità del prodotto o la tutela ambientale) che vogliamo in qualche modo fare confluire nei primi tre per evitare eccessive confusioni nella trattazione che seguirà e che per giunta sarà necessariamente suddivisa in più articoli.

 

È evidente che un sistema multi obiettivo deve dare un peso ai singoli obiettivi dichiarati. Un tempo, come ho detto, la funzionalità di impianto e la conseguente continuità di business erano gli elementi chiave. Oggi a mio avviso nel mondo occidentale la tutela della sicurezza e della salute delle persone e dell’ambiente, prevale su tutto, perché, lasciando da parte l’etica, il danno di immagine in caso di eventi mortali sul lavoro o di danni ambientali estesi, è enorme.

Però se parliamo di danni aziendali enormi, sino anche alla chiusura di compagnie fiorenti, a seguito di perdita di immagine, dobbiamo anche considerare che un danno molto esteso ai mezzi di produzione e/o una rilevante interruzione del business possono avere effetti simili.

 

Manutenzione per ….

 

Manutenzione per: la sicurezza e la salute sul lavoro

Se parliamo di sicurezza/ salute e manutenzione dobbiamo definire quattro più due scenari combinando due gruppi di fattori di seguito elencati.

 

Le fasi temporali influenzate dalla manutenzione:

  • (in attesa della manutenzione) [1]
  • durante la manutenzione
  • a manutenzione completata

 

e le note famiglie di danno

  • per la salute (malattie professionali)
  • per la sicurezza (infortuni [2])

 

quindi gli scenari sono sei.

 

Non li esamineremo tutti e sei contemporaneamente, sarebbe pleonastico e parlerei di argomenti che molti conoscono quanto o più di me. Voglio concentrarmi sugli scenari perché in tutti si vedranno non solo le tipologie di misure pratiche di prevenzione, ma anche la assoluta importanza dei flussi comunicativi e del rispetto di una gerarchia chiaramente determinata.

 

In attesa della manutenzione (manutenzione su chiamata)

Facile dire: fra il momento in cui si rileva un guasto o una anomalia e quello del vero e proprio intervento chi opera tramite/su/ con un bene (un macchinario, un carrello elevatore) si mette in attesa senza fare nulla.

 

Esempio banale: si fulmina un corpo illuminante che mi garantisce la illuminazione adeguata per l’utilizzo dello schermo del mio computer: non mi viene voglia di continuare ad operare in una condizione non ottimale in attesa del ripristino? Mi provocherà problemi duraturi alla vista? Direi che se si tratta di ore e non di mesi lo potremmo escludere considerando al massimo un affaticamento temporaneo. Quindi in una struttura che funziona (che garantisce un intervento manutentivo tempestivo anche su problemi così detti minori) la questione è sicuramente gestibile.

 

Ora, estendere questo ragionamento come se valesse sempre sarebbe davvero sbagliato: è tutto una questione di valutazione dei rischi che deve essere, spesso, fatta sul momento specie se il problema si presenta per la prima volta.

 

Esempio più complesso (ma di tipologia frequente): una parte di una macchina di produzione (poniamo un elemento molto pesante in rotazione) inizia a presentare vibrazioni anomale che certamente richiedono una verifica e poi una regolazione o una vera e propria manutenzione. Ebbene, poniamo che l’elemento rotante (il pezzo lavorato su un grande tornio parallelo, il rotore di una turbina a gas, il cilindro monolocido di una macchina di produzione della carta tissue ecc.) abbia velocità di rotazione e/o massa considerevoli per cui se si staccasse dalla macchina avrebbe movimenti violenti e incontrollabili; a parte i danni materiali, se nella zona di proiezione di masse con grande energia cinetica ci sono persone presenti, ebbene stiamo parlando di rischi potenziali ad elevatissima gravità; a prescindere da eventuali altri eventi pericolosi innescati dalla medesima proiezione. È evidente che se non abbiamo certezza assoluta che le vibrazioni accertate non portino alla rottura precedentemente descritta è assolutamente imperativo fermarsi oppure evacuare tutte le persone dalle zone pericolose. E ancora stiamo ancora ignorando l’impatto dei danni materiali e ai tempi di produzione che potrebbero, per parte loro, indurci comunque ad una scelta cautelativa.

 

Chi di voi si è trovato nella situazione di valutare i rischi e prendere decisioni in condizioni simili? Io lo ho fatto sin troppe volte e mai mi sono divertito, col timore di avere esagerato in un verso o nell’altro.

 

Il secondo esempio è tecnicamente complesso, anzi difficile, ma non è subdolo. Qui invece riporto un esempio subdolo: su una macchina operatrice semplice ma con organi in movimento potenzialmente pericolosi che però non presentano alcun rischio di proiezione di materiale (un seghetto a nastro per metalli, un pallettizzatore, una riempitrice, una confezionatrice, un forno ad attraversamento per biscotti detto anche forno continuo ecc..) si danneggia una protezione fissa (per esempio viene colpita e rotta da un carrello elevatore che sbaglia manovra). Senza quella protezione diventa possibile accedere alla zona pericolosa (gli organi in moto o caldi), ma per produrre non è assolutamente necessario accedere in quanto sino a quel momento gli organi in oggetto erano dietro a una protezione fissa. Continuiamo a produrre spiegando agli operatori (devono essere adeguatamente esperti) che non devono entrare nella zona pericolosa perché oltre che pericoloso è anche inutile? Oppure fermiamo tutto in attesa della manutenzione?

 

Nel mio entusiasmo giovanile avrei detto: fermi tutti, non si produce! Oggi ho profondamente cambiato la mia opinione e vi trasformo le domande precedenti in questa che segue: mi fido davvero che gli operatori seguano le mie indicazioni? Se la risposta è sì, allora continuo a produrre, se invece non mi fido fermo tutto. Quindi trasferisco una considerazione tecnica su un piano di valutazione umana. Ovvio che comunque per rendere più chiara l’indicazione data metto un cartello, un nastro bianco/ rosso ecc. ma si tratta di indicazioni che rendono ben evidente il problema ma non lo risolvono.

 

A proposito di questi esempi c’è un’altra considerazione da fare: come si decide la priorità degli interventi di manutenzione? Il manutentore medio tende ad andare a soddisfare le richieste del più alto in grado o del più insistente. Specie negli interventi di manutenzione su chiamata (detta anche pronto intervento o intervento non programmato).

 

- fine della prima parte -

 

 

Alessandro Mazzeranghi

 



[1] È propriamente collegata alla manutenzione? A mio avviso lo è in termini logici anche se chi agisce nel concreto è l’utilizzatore del bene che meriterebbe la manutenzione.

[2] Fra gli infortuni consideriamo anche quei rischi che pur dovuti a sostanze pericolose comportano un danno immediato alla persona




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Rispondi Autore: SERENA BEDIN - likes: 0
11/07/2023 (10:17:53)
Il "MI FIDO" è sinonimo di "accettare una situazione di rischio escludendo che l'evento, il sinistro, possa accadere sulla base della mia ritenuta affidabilità degli operatori".
Ma sul piano giuridico..non è di per sè un'ammissione di ...colpa cosciente ?

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