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Sulla validità della delega in presenza di carenze di natura strutturale

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

19/03/2012

In tema di normativa antinfortunistica il datore di lavoro, pur a fronte di una delega corretta, non è esente da responsabilità se le carenze in materia di sicurezza sono legate a scelte di politica aziendale ovvero a fattori strutturali. Di G. Porreca.

 
 
 
Commento a cura di G. Porreca.
 
Secondo quanto emerge da questa lunga e complessa sentenza della suprema Corte di Cassazione, in tema di normativa antinfortunistica il datore di lavoro, pur a fronte di una delega corretta, non è comunque esente da responsabilità se le carenze in materia di sicurezza sono legate a scelte di politica aziendale ovvero a fattori strutturali a fronte delle quali non si può attribuire realisticamente nessuna capacità di intervento al delegato alla sicurezza.
 
Nel caso in esame l’intervento era relativo allo svolgimento di attività lavorative pericolose e foriere di produrre inquinamento o di porsi come concause efficienti di malattie professionali per cui era stato escluso che potesse andare esente da responsabilità il datore di lavoro, per il solo fatto di avere nominato un preposto e sulla base che non poteva comunque farsi ricadere sullo stesso l'onere di organizzazione dell'attività lavorativa aziendale, mediante l'adozione tempestiva di un POS adeguato, né l'onere di procedere all'acquisto delle dotazioni di lavoro delle quali munire i lavoratori, né l'omessa formazione del personale, né la scelta di adibire allo svolgimento di mansioni altamente rischiose lavoratori appena assunti presso la ditta, trattandosi di scelte aziendali rientranti appieno nella sfera di responsabilità del datore di lavoro.
 
D’altro canto sono state però ribadite nella stessa sentenza le corresponsabilità del capocantiere, nella sua qualità di preposto, per non avere svolte le funzioni che le disposizioni legislative gli attribuiscono di sorvegliante e di avere consentito che i lavoratori in cantiere operassero senza il rispetto delle procedure di sicurezza indicate nel piano operativo di sicurezza ed imposte dalla legge.
 

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L’evento infortunistico
Il Tribunale ha condannato l’amministratore legale rappresentante di una società, il responsabile tecnico e responsabile del servizio di prevenzione e protezione della società medesima ed il capocantiere perché ritenuti responsabili, ognuno nell’ambito della propria competenza, con riferimento ai reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose gravissime, entrambi aggravati dalla violazione della normativa antinfortunistica. Agli imputati era stato ascritto di avere cagionato la morte di un lavoratore  e le lesioni personali gravissime di un altro, entrambi dipendenti della ditta appaltatrice dei lavori commissionati dal committente per lo smantellamento della linea elettrica i quali, nello smontare un traliccio, dopo essersi arrampicati sullo stesso ed averne svitato i bulloni di fissaggio, posti a metà altezza, erano precipitati da circa 15 metri a seguito del ripiegamento, a metà, della struttura su se stessa, ripiegamento che aveva determinato la caduta dei due lavoratori. A carico degli stessi erano stati individuati profili di colpa generica e di colpa specifica, per avere omesso di dotare gli operai di dispositivi di protezione individuale idonei e per avere consentito che gli stessi operassero secondo modalità altamente rischiose non previste nel piano operativo di sicurezza.
 
La Corte di appello, in conformità a quanto ritenuto dal primo giudice, ha successivamente confermata la sentenza di condanna degli imputati ed ha affermato che la causa dell'incidente era da individuare nella errata o meglio omessa esecuzione della manovra di preventiva adeguata controventatura della parte da smontare mediante ancoraggio di detta parte ad apposite funi. Tale omissione era risultata in contrasto con il protocollo redatto dalla ditta appaltatrice secondo il quale l'allentamento dei giunti doveva avvenire dopo l'ancoraggio della struttura ad opposte funi sottoposte a leggera trazione e controllate da terra dagli operatori addetti e tale operazione. I giudici di merito avevano inoltre rilevata l'insufficienza e la genericità del POS, che non conteneva la regolamentazione della specifica fase realizzativa dei lavori di smantellamento del traliccio e della sequenza cronologica delle operazioni che si sarebbero dovute articolare in essi, cioè il disassemblaggio dei tronchi e l'abbattimento a sezioni, e che tra l’altro non è risultato essere stato comunicato al committente.
 
Alla luce di tali considerazioni la Corte di merito ha escluso che la responsabilità dell'incidente potesse riversarsi sul solo preposto responsabile della sicurezza in quanto le omissioni riscontrate non gravavano sullo stesso né erano strettamente consequenziali all'assenza di questi dal cantiere il giorno del sinistro.
 
Il ricorso in Cassazione e le motivazioni
Tutti gli imputati hanno fatto ricorso alla Corte di Cassazione adducendo motivazioni varie. Il legale rappresentante della ditta appaltatrice ed il responsabile tecnico ed RSPP della stessa hanno sostenuto che il Piano Operativo di Sicurezza ed il protocollo redatti dalla ditta stessa prescrivevano le precise operazioni preliminari al disassemblaggio in tronchi del traliccio e che l'evento si era verificato per la non corretta esecuzione della manovra di sicurezza compiuta dagli operai in violazione proprio delle norme prescritte dal POS e dal protocollo. In particolare nel POS le operazioni di disassemblaggio in tronchi erano state previste previa adeguata controventatura per i sostegni a traliccio ed i rischi derivanti dal recupero dei sostegni e delle relative attrezzature ausiliare erano stati, pertanto, correttamente valutati. Gli stessi affermavano inoltre che l'incidente era da ascrivere alla esclusiva responsabilità del capocantiere il quale, in qualità di preposto, era dotato di autonoma posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori, evidenziando altresì che la mattina del sinistro questi si era assentato dal cantiere, del tutto imprevedibilmente, senza darne preventivo preavviso al datore di lavoro per cui nella sua mancata sorveglianza dei lavoratori andava individuata una causa sopravvenuta sufficiente da sola a determinare l'evento.
 
Il capocantiere da parte sua ed a sua difesa ha sostenuto che già dalla sera prima aveva comunicato all’azienda la propria assenza, sia pure per motivi diversi da quelli di salute, ed aveva delegato in sostituzione il proprio fratello e che comunque la sua omissione non avrebbe esplicato alcuna efficacia causale nel verificarsi dell'evento dovuto ad un cedimento strutturale del traliccio. Infatti, secondo lo stesso, se pure fosse stato presente l'incidente si sarebbe verificato ugualmente, in quanto si sarebbe proceduto con identiche modalità esecutive allo smontaggio del traliccio, quelle previste dal POS, del tutto esulanti dai compiti spettanti al capo cantiere in quanto privo di poteri decisionali e gestionali.
 
Le decisioni della Corte di Cassazione
I ricorsi sono stati ritenuti dalla Corte di Cassazione manifestamente infondati. Per quanto riguarda il ricorso del legale rappresentante e del responsabile del servizio di protezione della ditta appaltatrice la suprema Corte ha messo in evidenza che questi avrebbero dovuto farsi carico dello specifico rischio inerente all'attività svolta, che prevedeva tra l'altro la pericolosa operazione di smontaggio dei tralicci, ed affrontarlo con un piano operativo adeguato alla situazione di pericolo, con l'indicazione e l'adozione di misure di protezione ed attrezzature idonee a prevenire le situazioni di rischio e con la formazione ed informazione dei lavoratori.
 
Il datore di lavoro”, ha sostenuto la Sez. IV, “ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera. In altri termini, il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell'articolo 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'articolo 40 c.p., comma 2”.
 
La responsabilità del datore di lavoro, ha quindi proseguito la suprema Corte, non esclude però la concorrente responsabilità del RSPP in quanto anche se lo stesso è privo dei poteri decisionali e di spesa e quindi non può direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio, può essere ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione. Il RSPP, ha proseguito la suprema Corte, non può essere chiamato a rispondere per il solo fatto di non avere svolto adeguatamente le proprie funzioni di verifica delle condizioni di sicurezza, perché difetta una espressa sanzione in tal senso nel sistema normativo ma, secondo le regole generali, può essere chiamato invece a rispondere proprio perché la sua inosservanza si pone come concausa dell'evento. L'omissione colposa al potere-dovere di segnalazione in capo al RSPP, impedendo l'attivazione da parte dei soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento, finisce con il costituire (con)causa dell'evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione della condizione di rischio con la conseguenza, quindi, che, qualora il RSPP, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, lo stesso deve essere chiamato a rispondere insieme a questi dell'evento dannoso derivatone.
 
La Corte di Cassazione in merito, inoltre, alla tesi difensiva dei responsabili dell’azienda secondo la quale la nomina del preposto provvisto di autonomia finanziaria e gestionale li avrebbe esonerati da ogni responsabilità, ha tenuto a precisare che “secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, il datore di lavoro, pur a fronte di una delega corretta ed efficace- che, peraltro non risulta essere stata conferita in questo caso- non potrebbe andare esente da responsabilità, allorché le carenze nella disciplina antinfortunistica e, più in generale, nella materia della sicurezza, attengano a scelte di carattere generale della politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza. È ipotesi, quest'ultima, che può non infrequentemente verificarsi allorché si tratti dello svolgimento di attività lavorative pericolose, foriere di produrre inquinamento o di porsi come (con)cause efficienti di malattie professionali”.
 
“Non può farsi ricadere sul preposto” ha quindi proseguito la Sez, IV, “l'onere di organizzazione dell'attività lavorativa aziendale, mediante l'adozione tempestiva di un POS adeguato, né l'onere di procedere all'acquisto delle dotazioni di lavoro, nella specie funi di acciaio e tirfor, delle quali munire i lavoratori, né l'omessa formazione del personale né la scelta di adibire allo svolgimento di mansioni altamente rischiose lavoratori appena assunti presso la ditta. Si tratta, come osservato nella sentenza in esame, di un livello di dispiegamento del sistema di potere-dovere in ordine alla sicurezza che riguarda le complessive scelte aziendali inerenti all'organizzazione delle lavorazioni e che, quindi, coinvolge appieno la sfera di responsabilità del datore di lavoro”.
 
Circa le motivazioni del ricorso presentato dal capocantiere dell’azienda la suprema Corte ha quindi sostenuto che, come il datore di lavoro ed il dirigente, anche il preposto (ed è tale, il capo cantiere, v. Sezione 4, 9 luglio 2008, Crea ed altro) è indubbiamente destinatario diretto (iure proprio) delle norme antinfortunistiche, prescindendo da una eventuale ‘delega di funzioni’ conferita dal datore di lavoro. Egli, proprio perché pur esso diretto destinatario del precetto di legge, è tenuto ad attivarsi nel controllo della rispondenza della situazione di fatto ai dettami di legge e, nella verificata situazione di non corrispondenza dei luoghi di lavoro alle prescrizioni antinfortunistiche di legge, ad attivarsi per tutto quanto sia nelle sue possibilità per rimuovere tale situazione pregiudizievole per la sicurezza dei lavoratori nello svolgimento di quelle attività che egli pur sempre dirige e sovrintende, assumendo anch'egli nei confronti dei lavoratori medesimi una posizione di garanzia. Lo stesso ha obblighi di sorveglianza e di vigilanza che non lasciano margini di discrezionalità al riguardo, nel senso che la tutela della sicurezza ed incolumità deve comunque essere apprestata dal titolare della posizione di garanzia e ove ciò non sia possibile deve essere adottata specifica delega.
 
Nel caso particolare, ha quindi concluso la Sez. IV, l'asserito malessere fisico e la presunta delega conferita al fratello per la vigilanza del cantiere (peraltro, "oralmente" e senza autorizzazione del datore di lavoro) sono apparsi dei tentativi non riusciti di scaricare il peso della responsabilità per le gravissime omissioni commesse.
 
 


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