Come valutare l’effetto delle politiche sulla salute dei lavoratori?
Milano, 16 Dic – Ogni tanto è necessario, anche in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, guardarsi indietro cercando di verificare nel tempo i cambiamenti, i risultati, le conseguenze delle normative emanate.
Sono state corrette le strategie di prevenzione sottese alle norme nazionali ed europee di questi ultimi venti anni e mirate alla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro?
Per rispondere a queste domande si è tenuto il 27 ottobre 2015 a Milano, promosso da diverse associazioni, un convegno dal titolo “A 20 anni dalla 626/1994: quali risultati possiamo valutare?”. Un convegno su cui PuntoSicuro si è già soffermato in passato con riferimento ad alcuni interventi sul tema delle malattie professionali e dell’ efficacia della vigilanza.
Un intervento dal titolo “Registri e sorveglianze disponibili in Italia per valutare i risultati di salute nei luoghi di lavoro”, a cura di Angelo d’Errico (Servizio Sovrazonale di Epidemiologia ASL TO3), si interroga anche su come valutare l’effetto delle politiche sulla salute dei lavoratori.
A questo proposito il relatore ricorda che “mentre i dati INAIL rappresentano abbastanza bene il fenomeno e l’andamento degli infortuni sul lavoro, nonostante i problemi di sottonotifica e la mancanza di denominatori affidabili, questo non è vero per le malattie professionali” (MP). Infatti “sottonotifica, cambiamenti nel tempo della normativa, della condotta dell’INAIL nel riconoscimento di MP e dell’azione di notifica dei patronati (oltre a differenze geografiche nei comportamenti) rendono difficile l’interpretazione dell’andamento e della distribuzione delle MP”.
E per poter valutare l’impatto delle politiche normative sulla salute dei lavoratori “in teoria servirebbero informazioni sul loro stato di salute nel tempo in termini di incidenza di malattie professionali e di malattie correlate al lavoro nella popolazione occupata nelle diverse aziende, settori produttivi, occupazioni, aree geografiche, esposizione a rischi”, ...
Tuttavia - continua la relazione - l’uso di esiti di salute per scopi di valutazione e sorveglianza occupazionale è “limitato da:
- lunga latenza della maggior parte delle malattie professionali o correlate al lavoro;
- disomogeneità di esposizione ai fattori causali delle patologie nelle diverse unità produttive e nelle aggregazioni disponibili di settore economico e occupazione”;
- “perdita di robustezza statistica dei dati di malattia oltre un certo livello di disaggregazione per azienda, settore economico, mansione e genere;
- multifattorialità delle patologie”;
- “solo dati di prevalenza disponibili per la maggior parte delle patologie;
- molte patologie occupazionali non sono tracciate dai sistemi informativi correnti (mortalità, dimissioni ospedaliere), come le malattie muscolo-scheletriche (tranne STC operata) e i disturbi psichici”.
E per la valutazione dell’impatto di interventi preventivi è “in molti casi preferibile condurre sorveglianza sui fattori di rischio occupazionali, piuttosto che sulle patologie da loro causate o associate”.
Il relatore si domanda poi dove reperire informazioni sulla salute e i fattori di rischio cui sono esposti lavoratori. E indica che oltre ai dati INAIL, le principali informazioni disponibili in Italia per la sorveglianza dei rischi e della salute occupazionale sono:
- sull’unità produttiva: quelle prodotte dai datori di lavoro, e dai loro consulenti RSPP e MC, per ottemperare a obblighi di legge (Documenti di valutazione del rischio, Registri di esposizione a cancerogeni, Dati aggregati di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria);
- sulla popolazione generale occupata: quelle ottenute in survey nazionali campionarie sulla popolazione generale (indagini sulle condizioni di lavoro ISTAT; indagini multiscopo sulla salute ISTAT; indagine nazionale INAIL sulla salute e sicurezza sul lavoro - INSULA).
Rimandiamo ad una lettura integrale dell’intervento che riporta, per ogni tipologia di possibile fonte di informazioni, i limiti e le criticità, e passiamo alle conclusioni del relatore.
I registri di esposizione a cancerogeni e i dati aggregati di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria “potrebbero rappresentare una fonte importante per la sorveglianza dell’esposizione a rischi occupazionali della popolazione occupata”.
Anche le valutazioni di rischio aziendali “potrebbero essere impiegate a scopo di sorveglianza, anche se ciò è reso più complesso dal maggior numero e dalla maggiore varietà di agenti, rispetto all’esposizione a cancerogeni”.
In ogni caso è essenziale che la raccolta dei dati “avvenga attraverso sistemi standardizzati via web, che siano facilmente accessibili e interrogabili, cosa che può essere realizzata solo dall’emanazione di norme sull’implementazione di queste fonti di dati da parte delle aziende”.
Inoltre:
- “esiste comunque un problema di incompletezza quali- e quantitativa delle fonti, che non può che essere risolto con la sensibilizzazione delle aziende e l’enforcement delle norme;
- a queste condizioni, la fattibilità di creare sistemi di sorveglianza nazionali o regionali dei rischi occupazionali basati su queste fonti appare elevata e il costo contenuto;
- l’integrazione dei flussi INAIL su infortuni e MP con i dati della sorveglianza sanitaria da parte di INAIL, insieme alla restituzione di database accessibili ad ASL e Regioni, potrebbe rappresentare un primo passo per facilitare l’uso delle relative informazioni per scopi di sorveglianza al livello locale e di vigilanza (sperando nella successiva integrazione del sistema con i registri di esposizione a cancerogeni?)”.
E, continua il relatore, “informazioni sull’esposizione a fattori ergonomici, psicosociali e organizzativi sono più facilmente ottenibili (e spesso più accurate) da indagini a questionario sulla popolazione occupata. Queste indagini possono avere un disegno trasversale o longitudinale (panel), che permette di monitorare meglio l’andamento della prevalenza di esposizione e di patologie (stessi soggetti) e anche di utilizzare le informazioni contenute a scopo di ricerca (follow-up basato su sintomi, malattie diagnosticate o linkage con fonti sanitarie)”.
E si stima elevata “la fattibilità, e relativamente basso il costo”, per realizzare un “sistema nazionale di sorveglianza occupazionale”, dotato di idonee caratteristiche, “per mezzo di una versione espansa dell’ indagine ISTAT speciale sulle forze di lavoro da ripetersi periodicamente”.
“ Registri e sorveglianze disponibili in Italia per valutare i risultati di salute nei luoghi di lavoro”, a cura di Angelo d’Errico (Servizio Sovrazonale di Epidemiologia ASL TO3), intervento al convegno “A 20 anni dalla 626/1994: quali risultati possiamo valutare?” (formato PDF, 1.15 MB).
RTM
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