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Disabilità e fragilità: lavoro agile come accomodamento ragionevole

Disabilità e fragilità: lavoro agile come accomodamento ragionevole

Un contributo si sofferma su disabilità, malattia cronica, fragilità e sul lavoro agile come accomodamento ragionevole. Le implicazioni, la concezione bio-psico-sociale e la diversa declinazione di lavoro agile.

Urbino, 27 Set – Prima ancora che arrivasse l’emergenza pandemica da Covid-19 il lavoro agile era già stato rappresentato come uno strumento di accomodamento ragionevole, ex art. 3, comma 3 bis, del d.lgs. n. 216/2003 (attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro). Ed era entrato a pieno titolo “tra le soluzioni strumentali atte a dipanare il complesso bilanciamento tra l’insindacabilità delle scelte imprenditoriali e la tutela dei lavoratori con disabilità”. Una intuizione poi colta, durante la pandemia, “dal PNRR che ha previsto l’adozione di ‘soluzioni di smart working’ per l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità”.

 

Ad affrontare in questi termini e a proporre interessanti riflessioni il tema del lavoro agile e dell’accomodamento ragionevole è un contributo pubblicato sul numero 1/2024 di “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista online dell'Osservatorio Olympus dell' Università degli Studi di Urbino.

 

Nel contributo dal titolo “Disabilità, malattia cronica, fragilità: il lavoro agile come accomodamento ragionevole” - a cura di Veronica Verzulli (Dottoranda di ricerca in “Lavoro, Sviluppo e Innovazione”, Fondazione Marco Biagi, dip. di Economia, UNIMORE) – si intendono, come riportato nell’abstract, “sondare le potenzialità del lavoro agile come accomodamento ragionevole, mettendone in evidenza le implicazioni”. E particolare attenzione è “riservata al campo dei beneficiari, districando il complesso intreccio tra disabilità e malattia cronica calamitate nella ‘grezza’ nozione di fragilità”. Viene poi analizzato il perimetro delle obbligazioni datoriali “che discendono dalla lettura combinata della disciplina antidiscriminatoria e di quella prevenzionistica. Infine, è esplorato il ruolo dell’autonomia collettiva per la declinazione del lavoro agile come strumento di inclusione, prevenzione e protezione (sociale) a beneficio dei lavoratori disabili e dintorni”.

 

Nel presentare il contributo l’articolo si sofferma sui seguenti argomenti:


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Il lavoro agile come accomodamento ragionevole

Nell’intervento si indica che l’impiego del lavoro agile  a beneficio dei lavoratori disabili “pone l’accento sulla dimensione organizzativa degli accomodamenti ragionevoli che, ai sensi dell’art. 5 della direttiva 2000/78/CE e della pertinente giurisprudenza, non si esauriscono negli adeguamenti materiali relativi all’ambiente fisico. Essi infatti annoverano quelle soluzioni che attengono, appunto, l’organizzazione del lavoro idonee a rimuovere quelle ‘barriere di diversa natura’ alla piena ed effettiva partecipazione alla vita lavorativa”.

E lo stesso Committee on the Rights of Persons with Disabilities, un organismo delle Nazioni Unite, ha evidenziato che, “ai sensi della Convenzione ONU del 2006, gli adattamenti ragionevoli non coincidono con le misure a garanzia dell’accessibilità dei luoghi fisici e digitali”.

 

In questo senso “la strumentalizzazione del lavoro agile come accomodamento ragionevole ha almeno due implicazioni conseguenziali”:

  • “sul piano dell’adempimento, tenuto conto che il concetto di ‘ambiente di lavoro’ ormai travalica il perimetro fisico dell’azienda, è imposto al datore di lavoro, da una parte, di prendere in considerazione le soluzioni organizzative offerte dagli strumenti tecnologici e, dall’altra, di rimuovere le barriere anche digitali all’inclusione lavorativa degli smart workers con disabilità, mediante soluzioni strumentali e formative”;
  • “sul piano rimediale, in sede di giudizio il datore di lavoro potrebbe in più occasioni soccombere di fronte all’onere di provare che l’accomodamento ragionevole ‘agile’ rappresenti una misura sproporzionata e irragionevole rispetto alla modalità lavorativa in presenza. Come pure, a maggior ragione, a tale esito potrebbe giungersi rispetto all’alternativa del licenziamento in caso di sopravvenuta inidoneità alla mansione”.

 

In entrambe le ipotesi – continua l’autrice – “l’elevata adattabilità e i contenuti costi relativi degli strumenti tecnologici per lo svolgimento della prestazione agile aumentano le possibili modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e le soluzioni di conservazione occupazionale, laddove compatibili con il lavoro svolto”.

 

La concezione biomedica e la concezione bio-psico-sociale

Si segnala poi che le nozioni legali di disabilità in Italia, ancora ispirate ad una concezione biomedica riferita alle menomazioni, “faticano ad introiettare quella concezione ‘bio-psico-sociale’ inaugurata dalla Convenzione ONU del 2006”, una “concezione olistica che la giurisprudenza europea ha più volte richiamato per ricondurre diverse condizioni di malattia cronica nella nozione di disabilità, al fine di applicare la tutela antidiscriminatoria statuita dalla direttiva 2000/78/CE.

In particolare, secondo la Corte di giustizia (Corte giust., HK Danmark, cit.; C. giust. Daouidi, causa C-395/15, 1° dicembre 2016), “la nozione di disabilità include una condizione patologica causata da una malattia curabile o incurabile, anche di durata incerta ma con effetti prolungati, nel caso in cui tale malattia comporti una limitazione ‘che, in interazione con barriere di diversa natura, possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione […] alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori’”.

Si indica poi che una definizione normativa di una nozione “bio-psico-sociale” di fragilità “potrebbe costituire un indispensabile prius giuridico-concettuale per iniziare a sistematizzare gli sporadici frammenti legislativi che hanno introdotto ulteriori (e disorganiche) tutele lavoristiche a favore delle persone con disabilità, dei malati cronici e dei caregivers”.

A questo proposito il contributo riporta i casi “del diritto di trasformazione del contratto di lavoro da pieno a parziale in capo ai malati oncologici e ai soggetti affetti da ‘gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti’” (Art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 81/2015), “il cui campo applicativo è assai ridimensionato dal criterio della ingravescenza della malattia”. E si fa riferimento al “diritto di priorità al lavoro agile accordato, più recentemente, ai ‘lavoratori con disabilità in situazione di gravità accertata’ e ai caregivers familiari, ma non ai malati cronici”.

 

L’intervento parla anche della legge delega in materia di disabilità ( Legge 22 dicembre 2021, n. 227. Delega al Governo in materia di disabilità) dove “finalmente è prospettata l’introiezione domestica del modello ‘bio-psico-sociale’. E il primo ambito della delega “concerne infatti la ‘definizione della condizione di disabilità nonché [la] revisione, [il] riordino e [la] semplificazione della normativa di settore’”.

Tuttavia la delega – continua il contributo – “seppur richiami espressamente la Convenzione ONU del 2006, non si è allontanata del tutto dal modello biomedico: il meccanismo duale di accertamento è comunque basato sulla preliminare procedura valutativa medico-legale, mentre solo dietro richiesta individuale è possibile avviare la ‘successiva valutazione multidimensionale fondata sull’approccio bio-psico-sociale’”.

 

La protezione sociale e una declinazione di lavoro agile diversa

Ricordando che il contributo riporta molte altre indicazioni e riflessioni sul tema, veniamo alla sua parte conclusiva che vuole andare “dentro e oltre il lavoro agile” in relazione ad una sinergia tra welfare contrattuale e welfare pubblico.

 

Come riportato nel contributo il lavoro agile come accomodamento ragionevole “può rappresentare uno strumento – uno tra molti – utile ad escogitare la messa a sistema tra le misure di salute sul lavoro e le più ampie strategie di salute pubblica, allo scopo di perseguire la tutela universale della salute sancita dall’articolo 32 della Costituzione”. Un proposito che si innesta nel “più ampio progetto di dare forma a quella concezione olistica di protezione sociale promossa dalle istituzioni europee: la prospettiva, in particolare, è quella di progettare sistemi di welfare multi-pilastro in cui gli attori del mondo privato – tra cui le imprese e le parti sociali – abbiano un ruolo attivo nella predisposizione di soluzioni strumentali ad ampio spettro che promuovano il benessere di vita teso a sollecitare la partecipazione continuativa al mercato del lavoro”.

 

Il lavoro agile, “se usato per stimolare l’inclusione lavorativa dei soggetti disabili e malati cronici, rappresenterebbe un utile strumento per promuovere, facilitare e preservare la partecipazione lavorativa di tali soggetti e, per questo, il funzionamento ottimale degli strumenti di welfare primario. Questo perché la sostenibilità delle misure di welfare pubblico è, a sua volta, vincolata al buon funzionamento del mercato del lavoro, garantito dalla partecipazione ampia e continuativa delle persone in età lavorativa. Entro questo orizzonte, gli istituti contrattuali piegati a tale obiettivo possono edificare una sorta di ‘virtuosismo circolare’ tra welfare pubblico e welfare contrattuale”.

 

È evidente – conclude il contributo – che si tratta di “una declinazione di lavoro agile diversa” rispetto a quella prospettata dalla legge 22 maggio 2017, n. 81 (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato), perché “orientata alla tutela di beni costituzionali (la salute, il lavoro, la sicurezza sociale) piuttosto che alla promozione di innovative modalità di svolgimento della prestazione basate su nuovi parametri organizzativi e di misurazione della performance (‘per fasi, cicli e obiettivi’) che guardano ai lavoratori altamente professionalizzati”. E dunque “la scarna disciplina del 2017 poco si attaglia alla strumentalizzazione del lavoro agile come accomodamento ragionevole, incalzando l’intervento della contrattazione collettiva”.

 

Rimandiamo alla lettura integrale del contributo che è articolato nei seguenti punti:

  • il lavoro agile come accomodamento ragionevole: le implicazioni
  • dalla disabilità alla fragilità: il limbo per le malattie croniche
  • legge delega in materia di disabilità e prima decretazione attuativa: una svolta?
  • accomodamenti ragionevoli e obbligazione prevenzionistica
  • attori della prevenzione e nuove professionalità: prove di collaborazione
  • la regolazione collettiva degli accomodamenti “agili”: criticità e prospettive
  • dentro e oltre il lavoro agile: la sinergia tra welfare contrattuale e welfare pubblico.

 

 

RTM

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Università di Urbino Carlo Bo, Osservatorio Olympus, Diritto della sicurezza sul lavoro, “Disabilità, malattia cronica, fragilità: il lavoro agile come accomodamento ragionevole”, a cura di Veronica Verzulli (Dottoranda di ricerca in “Lavoro, Sviluppo e Innovazione”, Fondazione Marco Biagi, dip. di Economia, UNIMORE). Diritto della Sicurezza sul Lavoro (DSL) n. 1/2024.

 

 


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