Quali sono le differenze tra smart working e telelavoro?
Roma, 15 Set – In una recente intervista che PuntoSicuro ha realizzato in materia di smart working – “ Smart working e lavoro a distanza: criticità, vantaggi e prospettive future” – si sottolineano i pericoli della confusione tra le diverse modalità di lavoro a distanza e, in particolare, si fa riferimento ai rischi di fraintendimento tra smart working (lavoro agile) e telelavoro. Fraintendimento che, come ricordava l’Ing. Gaetano Fede (Consigliere CNI e Coordinatore del Gruppo di Lavoro Sicurezza), possono “confondere pericolosamente le acque, anche in relazione ai nuovi rischi” che possono derivare da queste modalità di lavoro.
Per fare un po’ di chiarezza sulle definizioni e sulle differenze ci soffermiamo su un recente documento - realizzato proprio dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri ( CNI) e presentato anche in alcune interviste pubblicate dal nostro giornale - dal titolo “ Linee di indirizzo per la gestione dei rischi in modalità smart working”. Un documento che vuole fornire utili indicazioni in materia di smart working partendo da una corretta comprensione di cosa sia “lavoro agile”, “telelavoro” o “coworking”. Anche perchè il primo passo per una corretta prevenzione di qualunque attività e modalità lavorativa è, evidentemente, la conoscenza delle sue specificità.
In questo articolo ci soffermiamo in particolare sui seguenti argomenti:
- Le definizioni e le caratteristiche del lavoro agile
- Le definizioni e le caratteristiche del telelavoro
- Le differenze e rapporti tra smart working e telelavoro
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Le definizioni e le caratteristiche del lavoro agile
Il documento CNI – a cura dell’Ing. Gaetano Fede (Consigliere CNI coordinatore GdL Sicurezza), dell’Ing. Stefano Bergagnin (GdL Sicurezza CNI) e del Gruppo Tematico Temporaneo “Smart working e lavori in solitudine” del CNI – ricorda che la definizione ufficiale del lavoro agile è rintracciabile nella Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016 che lo definisce come “un nuovo approccio all’organizzazione del lavoro basato su una combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione”.
Inoltre l’attuale normativa vigente ( Legge n. 81 del 22 maggio 2017) riporta in riferimento al lavoro agile quanto segue: “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.
Le linee di indirizzo indicano, in buona sostanza, che “il lavoro agile ha come fine l’obiettivo di identificare e introdurre la possibilità per il lavoratore di svolgere le attività assegnate nelle condizioni ritenute più confortevoli”, ad esempio:
- “la scelta del luogo di lavoro presso il quale il lavoratore vorrebbe svolgere la sua mansione, o l’assegnazione di uno spazio in un ambito di coworking, riducendo per quanto possibile, gli spostamenti in entrambi i casi,
- fornendo adeguati strumenti, che dovranno consentire il regolare svolgimento del lavoro nella nuova modalità,
- in merito all’organizzazione, in quanto egli deve raggiungere un obiettivo ma con l’opportunità di concordare i cicli di lavoro, nei tempi e nei modi a lui più consoni, nel rispetto delle scadenze fissate contrattualmente con il datore di lavoro ma senza necessariamente fare riferimento a orari e luoghi predefiniti”.
Dunque la modalità di lavoro agile “concede flessibilità e autonomia al lavoratore nella scelta degli spazi, degli orari e in buona parte anche in merito agli strumenti da utilizzare”, ma prevede “il raggiungimento di obiettivi (a cui ovviamente sarà legata la prestazione del lavoratore stesso) e pertanto anche una responsabilità del lavoratore in merito ai risultati da ottenere”.
Le definizioni e le caratteristiche del telelavoro
Veniamo ora al telelavoro, una modalità di lavoro che “nasce prima dello smart working”.
Il documento CNI riporta varie definizioni:
- la prima di origine anglosassone è fornita dall’Oxford Languages: il telelavoro è quella modalità svolta ‘secondo il decentramento produttivo e occupazionale realizzato mediante strumenti telematici che permettono di lavorare scambiando dati e informazioni in tempo reale con la sede di lavoro’
- la seconda è relativa agli accordi di categoria del settore privato. L’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2004 riprende integralmente la definizione dell’Accordo Quadro Europeo sul telelavoro del 2002 secondo cui il telelavoro ‘costituisce una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe essere svolta nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa’.
- la terza riguarda l’accordo quadro nazionale del settore pubblico. L’Accordo Quadro Nazionale sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni del 23 Marzo 2000 “contiene infine la seguente definizione: ‘L'espressione telelavoro indica, in via generale, le molteplici possibilità di modificare la natura e la localizzazione del lavoro attraverso l'utilizzo di reti di telecomunicazioni avanzate e di tecniche del trattamento delle informazioni. Prendendo in considerazione i rapporti di lavoro subordinato, due, quindi, gli elementi che risultano imprescindibili: l'utilizzo di strumenti informatici e l'esistenza di una certa distanza fisica tra il telelavoratore e la macro-sede cui risulta assegnato’”.
In tutte tre le definizioni – indicano le linee di indirizzo – “è evidente che i parametri comuni che caratterizzano tale modalità sono lo svolgimento non presso la sede di lavoro abituale e la disponibilità di strumenti informatici adeguati”. E “non viene mai citata invece la caratteristica degli obiettivi, né la libertà di orario, presumendo pertanto che lo stesso possa rimanere invariato. In merito all’orario è chiaro che esso, salvo diverse intese tra le parti da formalizzare nel contratto in essere, dovrà rimanere lo stesso che il lavoratore avrebbe all’interno degli spazi lavorativi aziendali”.
Si deduce, infine, che “rimane l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro verso il lavoratore stesso”.
Si ricorda poi che le modalità di svolgimento di questa tipologia di lavoro possono essere diverse.
Si riportano le tre principali:
- Telelavoro a domicilio: “il lavoratore utilizza strumenti tecnologici adatti a consentirgli lo svolgimento dell’attività lavorativa da casa. Questa forma di telelavoro interessa una varietà di attività come, ad esempio, i lavori tradizionali di ufficio.
- Telelavoro mobile: in questo caso per il lavoratore non esiste un luogo specifico di lavoro ma tanti luoghi, purché sia munito di strumenti idonei (PC portatile, smartphone, i-pad, ecc.) che gli consentano di avere a disposizione il collegamento sia per le comunicazioni che per l’accesso ai dati necessari. Questa modalità operativa è diffusa per figure che operano nell’ambito della distribuzione (ad esempio rappresentanti di commercio o venditori) e dell’assistenza tecnica e che sono per la maggior parte del tempo in trasferta.
- Telelavoro da telecentri: i lavoratori dipendenti o a contratto per fornire le loro prestazioni all'azienda o al committente per cui lavorano si recano presso telecentri, strutture attrezzate con prodotti e servizi tecnologici adatti a svolgere il lavoro a distanza. Il telecentro è una postazione remota rispetto alla sede dell'azienda o del cliente, connessa con reti a larga banda e tipicamente fornita di sistemi di videoconferenza, software per ‘cloud computing’ ed altri servizi come, ad esempio, mensa aziendale, servizio navetta per il trasporto dei telelavoratori, ecc.. Tali strutture potrebbero essere fornite in affitto a società che vi mandano i propri lavoratori o realizzate anche congiuntamente da due o più società che si consorziano tra loro”.
Le differenze e rapporti tra smart working e telelavoro
In definitiva, smart working e telelavoro, pur avendo evidenti caratteristiche comuni, “rimangono due modalità di lavoro con profonde differenze”.
Se caratteristiche comuni sono identificabili nello “svolgimento del proprio lavoro lontano dalla sede aziendale o comunque dal luogo di lavoro abituale” e nella “disponibilità di strumentazione adeguata a lavorare a distanza” (oltre ad alcuni vantaggi comuni come la riduzione dell’inquinamento e il calo degli infortuni in itinere), molto diversa “è invece la situazione relativa agli orari di lavoro e agli obiettivi concordati secondo le modalità del contratto di lavoro”.
Infatti il telelavoro richiede semplicemente “lo spostamento, in tutto o in parte, della sede di lavoro dai locali aziendali ad altra sede (solitamente l’abitazione del lavoratore), ma il dipendente è vincolato comunque a lavorare da una postazione fissa e prestabilita, con gli stessi limiti di orario che avrebbe in ufficio o comunque specificandolo nell’accordo tra le parti senza cambiamenti di durata salvo modifiche specifiche del contratto”. In questo senso il carico di lavoro, gli oneri e i tempi della prestazione sono “equivalenti a quelli dei lavoratori che svolgono la prestazione all’interno del posto di lavoro”.
Invece lo smart working prevede “completa autonomia per il lavoratore compresa la libertà di svolgere la propria attività/mansione in orari a sua scelta ma anche di eseguirla in parte all’interno di locali aziendali e in parte (o totalmente) all’esterno, ma senza stabilire una postazione fissa”.
Dunque “non ci sono vincoli di spazio e di tempo, salvo i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Si può lavorare da qualsiasi luogo (dentro e fuori l’azienda), non si timbra un cartellino, non si fanno pause in orari predefiniti. L’azienda e il dipendente ridefiniscono in maniera flessibile le modalità di lavoro”.
Infine la differenza maggiore – sottolineano gli autori delle linee di indirizzo - risiede “in una proprietà dello smart working che non si riscontra assolutamente nel telelavoro”: la modalità lavoro agile “prevede la determinazione e la condivisione di obiettivi precisi”.
Questo significa che “i lavoratori in smart working una volta stabilita la durata e la dead line (scadenza) di un obiettivo di risultato nella propria attività” (oggetto di confronto e accordo preventivo con la dirigenza aziendale) “potrebbero gestire in autonomia la propria mansione e nel caso la stessa venga sviluppata in maniera ottimale potrebbero non solo variare in completa libertà le fasce orarie di impegno lavorativo ma anche diminuire le ore lavorate”.
In questa modalità di lavoro, a differenza del telelavoro, ci si focalizza, dunque, sul “raggiungimento di obiettivi e risultati”.
Segnaliamo, infine che il documento CNI, che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma anche sulla definizione e sulle differenze tra smart working, coworking e lavoro a distanza.
Tiziano Menduto
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