I rischi fisici e i rischi psicosociali nel lavoro agile
Urbino,2 Feb – La realizzazione di un futuro digitale e sostenibile è uno degli obiettivi principali, più volte ricordati, dell’Europa per il 2030 e non è un caso che la nuova campagna 2023-2025, promossa dall'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ( EU-OSHA), riguarderà la “ Sicurezza e salute sul lavoro nell’era digitale”.
La pubblica amministrazione (PA) “risulta essere il principale soggetto promotore e al contempo destinatario di questa “rivoluzione 4.0” che si fonda su due concetti chiave: automazione e interconnessione”. E l’automazione “investe l’attività predittiva, cambia il modo con cui vengono elaborati i dati e le informazioni attraverso procedimenti automatizzati che prima, invece, venivano svolti dall’intelligenza umana”.
Tuttavia in questa trasformazione in chiave digitale della PA, “un posto di prim’ordine occupa il lavoro agile (c.d. smart-working), espressamente riconosciuto dalle Linee guida del 2021 quale strumento di innovazione organizzativa, ma ancor prima dalla legge n. 81/2017 (c.d. Jobs Act del lavoro autonomo) quale motore del cambiamento per quanto concerne il miglioramento della produttività, della qualità del lavoro e del benessere organizzativo (artt. 18-23)”. E il lavoro agile o smart-working “è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari e spaziali e da un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo individuale tra dipendente e datore di lavoro, con il possibile – ma non necessario – utilizzo di strumenti tecnologici per svolgerne l’attività (art. 18 della l. n. 81/2017)”.
A ricordare in questi termini lo sviluppo del lavoro agile nella pubblica amministrazione, ma soffermandosi anche sul fenomeno dei rischi psicosociali correlati a questa particolare modalità e organizzazione lavorativa, è un contributo/saggio pubblicato sul numero 2/2022 di “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista online dell'Osservatorio Olympus dell' Università degli Studi di Urbino.
Il contributo “Lavoro agile nella pubblica amministrazione e rischi psicosociali”, di Alice Biagiotti (assegnista di ricerca in Diritto del lavoro all’Università degli studi di Urbino Carlo Bo e docente a contratto di Diritto e sicurezza sul lavoro all’Università Politecnica delle Marche), ricorda, infatti, che se il processo di transizione digitale tende a valorizzare il ricorso al lavoro da remoto, il lavoro agile può comportare notevoli conseguenze sulla salute, anche mentale, dei lavoratori.
Approfittiamo, dunque, del contributo (che si sofferma anche su vari aspetti connessi alle specificità della pubblica amministrazione) per segnalare i “nuovi” possibili rischi con particolare riferimento ai seguenti argomenti:
- I rischi del lavoro agile: stress, workaholism e detemporalizzazione
- I rischi del lavoro agile: rischi fisici, despazializzazione e defisicizzazione
- I rischi del lavoro agile: i rischi psicosociali e la normativa vigente
I rischi del lavoro agile: stress, workaholism e detemporalizzazione
L’autrice indica che il lascito del lavoro agile emergenziale “è stato fondamentale per considerare anche le ricadute connesse alle dinamiche introdotte” da questa organizzazione lavorativa.
Il contributo riporta alcuni dati tratti dalla ricerca “Smart working: ascoltiamo le lavoratrici e i lavoratori” realizzata dalla CGIL di Torino in collaborazione con il Centro Ricerche Themis.
Nella ricerca si indica che “la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici in modalità agile ha riscontrato diffusi malesseri associati alla sfera psichica come l’affaticamento mentale (35%), lo stress (26%), l’ansia (21%) e la depressione (20%) che, in alcuni casi, si sono concretizzati in vere e proprie patologie. Alcune di queste sono già note come il disturbo post-traumatico da stress mentre altre che potremmo definire di ‘nuova generazione’” come il burnout e il workaholism (“persona che lavora in modo ossessivo – compulsivo, perdendo la percezione del tempo e delle relazioni sociali”) sono correlate “non tanto all’esposizione a rischi specifici quanto al modo in cui il lavoro in modalità agile è concepito, organizzato e gestito”.
Questi disagi – continua il contributo - sono “stati addebitati in primo luogo alla mancanza di un orario ‘normale’ di lavoro che ha determinato un aggravio di responsabilità e carichi di lavoro eccessivi (over-work), neppure stemperabili attraverso l’effettivo godimento del diritto alla disconnessione. Si tratta di rischi legati alla detemporalizzazione le cui cause sono appunto eterogenee ma nell’insieme afferenti alla medesima dimensione di time porosity” (quel “processo osmotico che compendia e fonde insieme ‘il tempo di lavoro’ e ‘il tempo di non lavoro’”).
I rischi del lavoro agile: rischi fisici, despazializzazione e defisicizzazione
Oltre questi rischi di natura psicologica, “vi sono anche quelli fisici – tradizionali del lavoro d’ufficio o intellettuale – constatandosi, in molti lavoratori e lavoratrici smart, disturbi alla vista, ipertensioni, malattie cardiovascolari nonché quelle del sistema muscolo-scheletrico, ad esempio, per l’uso di postazioni di lavoro non congrue, per i ripetitivi sforzi muscolari a cui vengono sottoposti gli arti superiori per carenza di pause e per la sedentarietà che spesso affligge i lavoratori smart”.
In questo caso i malesseri riscontrati “sono stati, altresì, associati alla despazializzazione del lavoro, ossia a un luogo non sempre idoneo rispetto all’esercizio della prestazione lavorativa perché o troppo piccolo o troppo affollato o isolato e come tale non in grado di consentire la socializzazione. Tra i fattori di questo rischio sono stati ricompresi anche quelli di natura ambientale come il rumore e il microclima dovuto alle variazioni di temperatura o a una cattiva ventilazione”.
A ciò si sono sommati poi “i pericoli correlati alla defisicizzazione di un contesto lavorativo privo di confini ‘reificati’. Tale contesto si identifica con l’ambiente ‘virtuale’ o meglio ‘digitale’ caratterizzato da una connettività diffusa e da postazioni di lavoro informatiche accessibili a un numero non definito di persone nonché governate da una pluralità di dati dove si annidano fondamentalmente due criticità”:
- la prima riguarda “la mancanza di competenze digitali adeguate che accentua ancor di più il gap generazionale già presente in molti contesti lavorativi e in particolare il settore pubblico”;
- la seconda criticità “concerne l’eccessiva esposizione a campi elettromagnetici prodotti dalla strumentazione tecnologica e da luoghi di lavoro 5G”.
Alla luce di questi dati – conclude l’autrice del contributo - può evincersi che “la maggior parte dei rischi correlati all’agilità del lavoro sono essenzialmente riconducibili alla categoria dei rischi psicosociali” (RPS), riconosciuti a livello comunitario “solo con il definitivo passaggio dal concetto di ‘igiene’ ad una nozione più ampia di ‘salute’ tale da includere anche la dimensione mentale”.
I rischi del lavoro agile: i rischi psicosociali e la normativa vigente
Questi rischi, nel nostro ordinamento (il contributo si sofferma ampiamente sia sui rischi psicosociali che sulla loro prevenzione secondo la normativa vigente), “non hanno trovato una propria disciplina autonoma, bensì sono stati ricondotti nell’ambito di istituti più generali o all’interno di profili di tutela specifici”. E la legge n. 81/2017 – “una norma di per sé scarna nella struttura e laconica nei contenuti che non rende affatto facile il compito del datore di lavoro, principale debitore di sicurezza, di organizzarsi per eliminare e, ove possibile, evitare tutti i rischi alla fonte” – dedica “una sola disposizione ossia l’art. 22 al profilo prevenzionistico del lavoro agile”.
Tuttavia, sottolinea l’autrice, anche “in una siffatta realtà dematerializzata, l’esercizio del potere organizzativo” viene comunque orientato in funzione dell’adempimento dell’obbligo di sicurezza”, il quale richiede in base all’«esperienza» e alla «tecnica» ( art. 2087 c.c.) “un continuo adattamento in quanto una prestazione insicura non potrebbe essere dedotta nel contratto ‘stante la sicura illiceità dell’oggetto’.
Si segnala poi che il legislatore italiano, benché esplicito nell’affermare che ‘il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore (…) in modalità (…) agile’ (il comma 1 del già citato art.22 della legge n. 81/2017), “non sembra aver tuttavia considerato in modo soddisfacente la molteplicità delle situazioni pregiudizievoli imputabili alla dimensione qualitativa e quantitativa della prestazione agile”. E dunque “sono rimasti senza un’adeguata risposta” i numerosi interrogativi relativi a vari aspetti sensibili della materia.
Rimandiamo alla lettura integrale del contributo che si sofferma su vari altri aspetti (ad esempio sull’organizzazione del lavoro agile, in fase emergenziale e non, nella pubblica amministrazione) e anche su vari altri rischi, ad esempio con riferimento al work-life balance e ai rischi di isolamento.
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