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La valutazione dei rischi: esistono margini di miglioramento?

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Approfondimento

17/01/2012

Gli infortuni sul lavoro ancora oggi accadono in numero troppo elevato. Qualcosa dunque non funziona nel modo di valutare i rischi e di formare le persone? Alcune proposte migliorative a cura di A. Mazzeranghi, F. Coucourde, R. Mariani.

 
 
La domanda del titolo ce la poniamo da tempo, ovvero da quando da una parte le aziende iniziano ad avere un documento di valutazione dei rischi degno di questo nome, dall’altra gli infortuni che ancora oggi accadono in numero troppo elevato sono sempre più spesso causati da errori comportamentali che derivano da una mancata percezione del pericolo/rischio.
Qualcosa dunque non funziona nel nostro modo di valutare i rischi e di informare e formare le persone sugli stessi?
 
Proviamo a fare il punto. Sinteticamente oggi la valutazione dei rischi dei luoghi di lavoro viene organizzata come segue.
- SI valutano i rischi propri di determinati oggetti fisici: luoghi di lavoro, macchine e impianti, impianti elettrici, luoghi dove si possono formare atmosfere esplosive ecc.
- Si considerano poi a parte i rischi legati a determinate operazioni o a fonti particolari: movimentazione manuale dei carichi, lavori in altezza, radiazioni ottiche artificiali, rumore ecc.
- Tali rischi si riconducono, in forma sintetica, alle mansioni, che poi rappresentano le persone che operano in azienda (ogni lavoratore ha una unica mansione, e quindi è esposto esattamente ai rischi di quella mansione).
Se tutto funziona correttamente il risultato è interessante; precisiamo che l’attribuzione dei rischi alle mansioni è fondamentale per il protocollo sanitario e per la informazione/formazione dei lavoratori.
 
Però questo approccio che possiamo dire “classico” evidentemente NON è totalmente efficace!
Ad oggi chi scrive si sente di affermare che da quanto sommariamente descritto mancano due elementi importanti:
- la valutazione dei rischi delle attività;
- la valutazione dei rischi dei processi.
 
Prima di procedere a discutere i due argomenti vorremmo chiarire che sicuramente ci saranno altri punti deboli che altri riusciranno ad identificare; non intendiamo quindi che l’idea che esporremo sia esaustiva, bensì solo migliorativa dell’attuale stato dell’arte.

 

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La valutazione dei rischi delle attività
Non è un’invenzione: secondo noi ne parla (quasi esplicitamente) il capo I del titolo III del D.Lgs. 81/2008 quando afferma (articolo 71 comma 2): “All'atto della scelta delle attrezzature di lavoro, il datore di lavoro prende in considerazione: a) le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro da svolgere;”. Inoltre ricordiamo che il DVR deve contenere la valutazione di tutti i rischi, e che i lavoratori devono essere informati e formati in relazione a tutti i rischi (residui) a cui sono esposti durante il lavoro.
 
Vediamo però cosa intendiamo parlando di rischi delle attività, concentrandoci per praticità sul settore delle attrezzature di lavoro a cui si riferisce il citato articolo 71.
 
Evidentemente i rischi residui propri di una determinata attrezzatura sono già ben noti al momento della progettazione e fabbricazione della stessa, e possono essere facilmente indicati dal fabbricante. Si tratta però di quelli che l’articolo 71 cataloga come “c) i rischi derivanti dall’impiego delle attrezzature stesse“, mentre il progettista non può conoscere nel dettaglio come si lavora su e con l’attrezzatura. Questo è assolutamente vero per macchine a impiego più vario (macchine utensili), sembrerebbe esserlo meno per macchine a impiego più delimitato come possono essere una linea di confezionamento detersivi liquidi o una macchina di trasformazione rotoli (carta da cucina e carta igienica) o un impianto per la produzione di cartone ondulato. In verità anche su questa seconda tipologia di attrezzature sui modi di lavoro esistono molteplici possibili varianti determinate sia dal prodotto che dalla prassi consolidata in azienda.
 
Ne segue che determinate situazioni possono essere valutate dal punto di vista della sicurezza solo tenendo conto del modo di eseguire le attività lavorative necessarie.
Come carico un cilindro su un tornio parallelo di grandi dimensioni? Dipende anche dal lay out di reparto, dalle attrezzature di sollevamento, da come il tornio è posizionato rispetto alle aree di deposito ecc.
Oppure come carico la bobina madre di carta su una macchina che la trasforma in rotoli di carta da cucina? Dipende, come prima, da molteplici fattori che sono del tutto al di fuori del controllo del progettista della macchina.
Infine, come garantisco la messa in sicurezza di una macchina? Dipende principalmente dalle prassi aziendali.
 
Se questi aspetti non vengono considerati in fase di valutazione dei rischi, l’effetto è quello di:
- non informare i lavoratori di determinati rischi presenti in azienda, o di informarli in forma troppo generica;
- operare secondo prassi che possono cambiare da operatore a operatore e che non sono sicuramente ottimizzate sotto il profilo della sicurezza.
 
Ovviamente a questi si aggiunge un effetto di sistema: in caso di infortunio si potrebbe affermare che la valutazione dei rischi era incompleta o inadeguata, e quindi ricondurre l’infortunio a una mancanza organizzativa ipotizzando dunque una responsabilità amministrativa della azienda.
 
A questo punto dobbiamo domandarci se e come sia possibile valutare i rischi delle attività lavorative.
Dobbiamo subito fare una precisazione; non possiamo riferirci che ad attività note, e relativamente ripetibili e ripetitive, come quelle sopra citate. Dobbiamo necessariamente escludere le attività occasionali e non ripetibili come quelle che caratterizzano, per esempio, la manutenzione su guasto.
 
Torniamo alla esecuzione della valutazione: è necessario che qualcuno esegua la attività e si osservi (osservi se stesso), e venga osservato da altri soggetti, per capire a quali rischi effettivamente si espone, se sia possibile evitare di esporsi e/o quali possano essere le migliori misure di mitigazione dei rischi. Osservare, quindi, per valutare ma anche per confrontare prassi operative diverse che possono convivere nella medesima realtà aziendale.
 
Da quanto sopra emerge che nella attività di valutazione devono essere coinvolti gli operatori addetti alla attività oggetto di valutazione, chi normalmente ne è il preposto e… qualcuno che abbia le due seguenti caratteristiche:
- non essere direttamente coinvolto nella attività oggetto della analisi, ma avere una visione più ampia delle problematiche di sicurezza;
- sapere “dominare” la metodologia di stima e valutazione dei rischi.
 
La tentazione, osservata in alcuni contesti, di demandare interamente le attività di valutazione al personale direttamente interessato, deve essere assolutamente evitata.
L’affermazione: “il reparto deve valutare i rischi e definire le modalità operative più sicure” è errata. Diciamo questo non per una qualche ragione filosofica ma per averlo osservato ripetutamente. Chi opera in un certo contesto tende a dare per scontate determinate condizioni che invece non lo sono. E così facendo spesso non identifica alcuni pericoli/rischi anche rilevanti.
 
Un esempio legato al settore del confezionamento detersivi dovrebbe chiarire il punto: una macchina per raddrizzare flaconi in occasione del cambio formato richiede la sostituzione di tutti i settori di un elemento circolare che ruota intorno a un asse orizzontale. La operazione non può essere effettuata con la macchina sezionata in quanto dopo la sostituzione di un settore l’elemento ruotante si deve muovere di un passo per esporre all’operatore addetto il settore successivo. Quindi si procede con le protezioni della macchina aperte e, prima di ogni intervento di sostituzione del settore, l’addetto mette la macchina in emergenza per garantire che la stessa non si muova. Non è chiaro a nessuno degli interessati che in caso di mancato azionamento dell’emergenza la macchina si potrebbe muovere non solo per un azionamento volontario da pannello, ma anche per un guasto o malfunzionamento del PLC (avviamento intempestivo).
Già è difficile ricordarsi di premere ogni volta l’emergenza (il lavoro è ripetitivo), se poi non si dichiara apertamente il rischio di avviamento intempestivo tale azione potrebbe anche apparire superflua. È vero che l’avviamento intempestivo ha una probabilità bassa, ma la gravità sarebbe quella data dalla amputazione di entrambi gli arti superiori poco sotto il gomito. E si tratta dell’unico rischio a gravità elevata dell’intera operazione.
 
Nel caso citato gli operatori e il personale di reparto non avevano assolutamente identificato il pericolo che abbiamo descritto.
 
Ancora un punto estremamente pratico: premesso che la attività di osservazione sul campo è il passaggio chiave, come organizziamo la raccolta dati?
Semplice:
- prima di tutto consideriamo i rischi a carattere più generale, quelli legati, per così dire, alla postazione di lavoro che saranno sempre (o quasi sempre) presenti nel corso della attività;
- poi dividiamo la attività in azioni sequenziali e per ogni azione verifichiamo se ci sono rischi presenti, e quali misure di miglioramento si possono pensare.
 
Per il resto è una normalissima valutazione dei rischi che, e qui è il bello, tramite la semplice cancellazione di alcune colonne diventa anche una istruzione operativa. Quindi abbiamo gratis l’istruzione operativa, e da questo deduciamo una domanda importante: ha un senso fare (come abbiamo sempre fatto) direttamente l’istruzione operativa di sicurezza se l’aggravio di fare anche la valutazione dei rischi della attività è praticamente zero?
 
 
Alessandro Mazzeranghi, Federica Coucourde, Riccardo Mariani
 
 
La prossima settimana PuntoSicuro pubblicherà un ulteriore articolo in cui gli autori completeranno l'analisi qui proposta affrontando la valutazione dei rischi dei processi.


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Rispondi Autore: Paolo Alemani - likes: 0
17/01/2012 (09:37:32)
Buongiorno a tutti, secondo me l'approccio generale agli infortuni sui luoghi di lavoro spesso parte con un presupposto errato. Dire gli infortuni non devono accadere non è realistico e, secondo me, fuorviante.
Mi spiego meglio. Gli infortuni, dopo che l'azienda ha raggiunto un livello di sicurezza "normale" e ha creato un livello di consapevolezza degli operatori sufficiente, tendono a non diminuire più. I motivi sono complessi ma secondo me sono essenzialmente connessi all'imponderabilità di alcuni fenomeni (rari ed imprevedibili ma appunto molto rari) e sopratutto alla disattenzione di chi opera (fattore umano, causa molto comune). Pretendere che con una formazione o con un sistema di gestione più o meno articolato questo fenomeno venga azzerato è irrazionale. Le persone non sono automi che possono essere programmati nè tantomeno pecore che possono essere addestrate fino a che non compiano sempre ed immancabilmente le stesse operazioni. Un approccio razionale del fenomeno DEVE prevedere una percentuale (si spera la minore possibile) di cause di infortunio. Anche per evitare un eccesso di sicurezza che potrebbe far sparire la sacrosanta paura che ognuno di noi dovrebbe avere quando fa qualcosa (che è quella che ci fa pensare e ci fa agire correttamente).
Un saluto.
Rispondi Autore: Vito Pietro Signorello - likes: 0
17/01/2012 (10:34:58)
A me sembra che nell'articolo dei colleghi ci sia poco di nuovo in quanto l'analisi proposta dovrebbe comunque far parte di una seria valutazione dei rischi. Non sono d'accordo con Paolo su quanto dice nel suo commento in quanto, a mio parere, gli infortuni in Italia non scendono proprio perchè la gente non ha paura e affida alla fatalità l'incidente avvenuto. (Se un infortunio è avvenuto non è da considerarsi poi così raro e non vedo perchè anche se raro non possa essere considerato e minimizzato).
Il fatto che gli infortuni continuino a succedere, a mio avviso, è dovuto ad una scarsa sensibilità di tutti ai problemi della sicurezza che viene sempre rilegata a un dispendio inutile di risorse (la professionalità meno pagata è forse proprio quella del RSPP). Inoltre, come accennano i colleghi scrittori dell'articolo, le valutazioni dei rischi sono ingessate in regole legislative, seppur dal punto di vista formale siano ineccepibili, costringono il valutatore dei rischi a fare troppa forma e poca sostanza della sua professionalità.
Sarebbe opportuno semplificare la norma dal punto di vista formale ma allo stesso tempo renderla molto più sostanziale dal punto di vista tecnico analitico.
Rispondi Autore: Riccardo - likes: 0
17/01/2012 (10:39:03)
A priori concorderei con il presupposto che "statisticamente qualcosa può accadere"; quello che tenderei ad ottenere è che la frequenza di accadimento arrivi ad essere superiore alla durata del periodo lavorativo del dipendente. Ovvietà, ma ci sono moltissmi casi di operatori che non sono mai andati in infortunio nella loro vita lavorativa e questo dimostra che la possibilità di zero infortuni sia raggiungibile. Aprirei semmai un discorso sui "troppi" infotuni.
Se ci limitiamo ad osservare i casi mortali e quelli gravi, concordo pienamente sul termine "troppi"; se osserviamo i casi minori (contusioni, iperemie, ecc.) credo che il fenomenosia molto dovuto alla manica rga di qualche esaminatore.
In ultimo, una istruzione operativa non ha mai evitatounincidente. E' la comprensione del significato di tale istruzione che ci può aiutare ( bella o brutta che sia la forma dell'istruzione operativa)
Rispondi Autore: Antonio - likes: 0
17/01/2012 (12:49:04)
Provo ad ABBASSARE il livello del discorso. A mio avviso uno dei maggiori problemi che impedisce il miglioramento del "livello di sicurezza" del paese, è la presenza di tantissimmi delinquenti travestiti da RSPP (o più spesso da consulenti-esenti) che producono cartaccia spacciandola per Valutazione dei Rischi. Per molti incidenti è proprio l'assenza della VR il problema, e non certo un approccio più sofifisticato. Mi è stato chiesto recentemente di valutare un VR: su 109 pagine solo 4 erano riconducibili all'azienda specifica, ed una era la copertina con l'indirizo e l'altra la pagina delle firme. Non ci sono parole.
Credo che ragionamenti come "riduzione delle frequenze" vs. "infortuni Zero", o approcci più puntuali alla valutazione vengano dopo. Scusate lo sfogo e l'OT, ma sinceramente credo che il vero ostacolo alla riduzione degli infortuni sia rappresentato da questo approccio, che non esito a definire criminale, mai troppo deprecato, ma mai tanto diffuso.
Saluti
Rispondi Autore: SALVATORE GAIAS - likes: 0
17/01/2012 (17:12:31)
Credo che l'accadimento degli infortuni non sia un fatto fisiologico e che si possano diminuire di tanto. Io affiderei la possibilità di portare a zero gli infortuni alle seguenti azioni:
- una formazione fatta bene e sopratutto che continui con l'evolversi delle attività aziendali. (Non di pomeriggio quando i lavoratori si appisolano);
- non minimizzare, ma enfatizzare gli infortuni mediante delle investigazioni fatte bene(when,where,who,why) e sopratutto la individuazione delle cause e dei rimedi per evitare il ripetersi degli infortuni. Il tutto divulgato in bacheca e tramite le riunioni di sicurezza;
- una politica incentivante che tenda a migliorare la cultura dei lavoratori ( gadgets, etc)e una politica disincentivante che punisca in qualche modo chi opera non secondo la formazione/istruzioni ricevute;
- la presenza di validi addetti sicurezza (HSE Engineer) nei posti di lavoro.
Saluti
Rispondi Autore: Paolo Alemani - likes: 0
17/01/2012 (17:24:43)
Buonasera a tutti,
sono d'accordissimo con quanto esposto, la professionalità percepita dell'RSPP si avvicina a quella del buffone di corte, almeno da noi. Il fatto che per anni non si siano mai definiti i livelli di professionalità e di scolarità di questa professione non ha giovato alla materia che sarebbe già complessa di suo senza lo zampino di tanti ciarlatani che continuano ad imperare. Tornando a bomba al mio discorso non era certo mia intenzione sminuire l'utilità dei sistemi di gestione o di una buona (e calzante) valutazione rischi lasciando alla paura o alla prudenza dei singoli la soluzione al problema degli infortuni. I nemici da combattere sono l'ipocrisia di certe frasi fatte ("non si può morire di lavoro" e chi lo dice? Si muore a casa, in vacanza e in qualsiasi altra attività). Ho paura che, oltre ad una buona prevenzione che mi auguro riduca ai minimi termini gli incidenti, subentri una sorta di supersicurezza in cui siamo sicuri che tutto andrà sempre bene. Murphy insegna che quasi mai è così!.
Rispondi Autore: ing. Vincenzo RANERI - likes: 0
17/01/2012 (17:42:27)
Secondo me esiste un altro problema di fondo poco o mal sviluppato: il discorso delle misure ritenute opportune a garantire il miglioramento dei livelli di sicurezza (art.28 comma 2 lettera c del D.Lgs. n.81/2008): tutte DVR che ho visto e tutti i programmi venduti per la redazione "automatica" dei DVR non affrontano tale punto o lo affrontano in maniera quantomeno parziale.
Infatti, ritengo che il dettato normativo non si riferisca al famoso "programma dei miglioramenti da attuare", bensì, al controllo delle misure già individuate in base alla lettera precedente dello stesso comma e da sottoporre all'azione del controllo, affinchè ne possano essere messe a nudo le mancanze e le conseguenti necessità di attuazione.
L'RSPP è la persona che deve definire esattamente l'assetto di tutte le misure di prevenzione e protezione da rispettare in un determinata realtà lavorativa E NE DEVE DEFINIRE ANCHE LE MODALITÀ DI ESECUZIONE DEI CONTROLLI: tutte le attività di attuazione delle misure e di controllo della attuazione delle misure DEVE RIMANERE A CARICO DELLA LINEA DATORE DI LAVORO-DIRIGENTE-PREPOSTO-LAVORATORI, i quali così dovrebbero essere ansionsi di attingere dalle competenze dell'RSPP.
il problema e' pure che non sempre l'RSPP e'sempre competente ... sopratutto con l'attuale sistema di qualificazione introdotto dalla legge e l'ancora più ridicolo sistema di aggiornamento della qualificazione.
Rispondi Autore: Gabriele Brion - likes: 0
18/01/2012 (10:45:42)
Concordo con gli autori dell'intervento sul fatto che valutare i rischi di una macchina semplice e sulla quale ci sono numerosi riferimenti bibliografici e normativi (quale può essere un trapano a colonna) oppure su una attrezzatura complessa come, ad esempio, una linea di produzione, magari realizzata specificamente per quel tipo di prodotto è assai diverso.
L'impressione personale è che si stia spostando troppo l'attenzione su formazione e procedure dimenticando che il rischio deve essere prevenuto alla fonte.
Se devo fare un cronoprogramma di intervento su un'azienda produttiva parto dalla sicurezza intrinseca delle macchine; il resto viene dopo.
Bisogna stare attenti a non cadere nella trappola (anche senza rendersene conto) di realizzare una procedura per coprire una mancanza di sicurezza intrinseca dell'attrezzatura o una carenza strutturale dell'azienda.
Non bisogna dimenticare che, più procedure scrivo, maggiori sono i vincoli che devo far rispettare in azienda con il rischio che poi non siano applicati o applicati solo parzialmente. Le procedure sono necessarie laddove non si possa risolvere in altro modo.
Solo qualche mese fa ho assistito all'installazione presso un'azienda di una linea di produzione nuova senza i necessari requisiti di sicurezza per il semplice fatto che il produttore non ha effettuato un'analisi dei rischi completa. Ovviamente, ho fatto subito contestare tali mancanze dal datore di lavoro.
Il problema è che lo stesso produttore a volte può incorrere in errori o carenze di valutazione (nessuno è perfetto). L'importante è giungere all'individuzione del problema ed alla soluzione prima che l'attrezzatura sia messa in esercizio o ci sia l'infortunio. Per fare questo è necessario dedicarci tempo ed attenzione in quanto spesso ci si trova di fronte a qualcosa di nuovo mai valutato prima.
Per la verità serve anche saper riconoscere i propri limiti. Se un RSPP o un consulente si trova ad avere a che fare con il rischio chimico ed esplosione e non ha basi di chimica è meglio che "passi la palla". Gli argomenti da trattare in un DVR sono tali e tanti che richiederebbero un tuttologo (professione che non mi risulta sia documentabile).
Cordiali saluti.
Rispondi Autore: Aldo Di Giandomenico - likes: 0
19/01/2012 (11:01:03)
RSPP non lo puoi definire un buffone di corte , perchè e sempre soggetto al datore di lavoro o a qualche buffone di direttore che non capisco una mazza di sicurezza ma siccome hanno il coltello dalla parte del manico fanno cattiva e bella figura , sono stato per tantissimi anni RSPP di stabilimenti il mio direttore buffone di corte voleva fare sempre cattivo e bello tempo ,alla fine ho dovuto abbandonare per non prenderlo a schiaffi , sai quanti datori di lavoro nella fase di stesura del Dvr , dicono cosa prevede questo articolo come sanzioni ? se si rischia l'arresto lo faccio , se si rischia la multa non facciamo niente , tanto devono sorprenderci , come si fà così a migliorare la sicurezza ? Aldo
Rispondi Autore: Gabriele Brion - likes: 0
19/01/2012 (15:10:43)
Ribadisco quanto già scritto: sono del parere che le procedure siano necessarie laddove non si possa risolvere in altro modo. Se gli interventi alla fonte sono individuati e segnalati al datore di lavoro e uesto decide di non farli, le procedure diventano necessarie ma non saranno mai sostitutive, quindi il datore di lavoro se ne assumerà le responsabilità.
Prima di sostenere che un intervento non può essere attuato bisogna fare un minimo di valutazione tecnica sulla fattibilità ed una ricerca di mercato. Se i costi risultano esorbitanti e l'intervento non programmabile nemmeno nel tempo siamo d'accordo, altrimenti il rischio di sanzione (o condanna) resta.
Cordiali saluti.

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