Sull'onere del coordinamento negli appalti
La corretta applicazione dell’art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., inerente la sicurezza nei lavori affidati in appalto e subappalto, è ancora una volta al centro delle attenzioni della Corte di Cassazione che è stata chiamata a decidere su di un ricorso presentato dal rappresentante legale di una ditta appaltatrice condannata nei due primi gradi di giudizio perché ritenuto responsabile di un infortunio accaduto a un lavoratore dipendente di una ditta subappaltatrice il quale era rimasto ustionato a seguito di una esplosione avvenuta nel mentre stava utilizzando un seghetto elettrico, in un locale adiacente a quello nel quale, in precedenza, un dipendente di un’altra ditta appaltatrice aveva svolto attività di schiumatura utilizzando materiale contenente poliuretano.
L’imputato, pur non essendo il committente a carico del quale è posto l’obbligo di redigere il documento unico di valutazione dei rischi interferenziali, così come previsto dal comma 3 del citato art. 26, era stato accusato di non essersi coordinato con le altre imprese operanti nel cantiere informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori dalle stesse svolti. La suprema Corte, con una decisione che suona come una sorta di richiamo all’operato dei giudici dei primi due gradi di giudizio, ha annullata la sentenza emessa dalla Corte di Appello, sia agli effetti penali per intervenuta prescrizione che a quelli civili con rinvio alla Corte territoriale di provenienza e, nel fare ciò, ha fornito degli utili indirizzi ai fini di una corretta applicazione dell’art. 26 che era stato posto alla base del capo di imputazione a carico del ricorrente.
E’ vero, ha osservato in particolare la suprema Corte, che il mancato assolvimento dell'obbligo di cui all'art. 26, comma 3 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. da parte del committente non esonera gli appaltatori e i subappaltatori dell'opera dagli oneri di cooperazione reciproca, previsti dal comma 2 dello stesso articolo, informandosi reciprocamente al fine anche di eliminare rischi dovuti ai diversi lavori, ma l'adempimento di simili prescrizioni non può comunque estendersi sino alla sostituzione dell'opera di coordinamento posta in capo al committente inadempiente, con lo scopo di eliminare o quantomeno ridurre i rischi da interferenza.
Il fatto, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
La Corte di appello ha confermata la sentenza del Tribunale con la quale il legale rappresentante di una società è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 590 comma 3 del codice penale. per avere omesso di coordinarsi con le altre imprese presenti in un cantiere installato per eseguire degli interventi su di una imbarcazione, non impedendo così che un operaio di una ditta subappaltatrice dei lavori di carpenteria lavorasse usando un seghetto elettrico, in un locale adiacente a quello nel quale un dipendente di un’altra ditta appaltatrice aveva, in precedenza, svolto attività di schiumatura utilizzando materiale contenente poliuretano che, a causa dell'azionamento del seghetto elettrico, era esploso cagionando all’infortunato lesioni gravi, consistite in ustioni alle braccia ed al volto.
Avverso la sentenza l’imputato ha proposto ricorso, a mezzo del suo difensore, chiedendo il suo annullamento e formulando due motivi di impugnazione. Con il primo ha fatto valere il vizio di motivazione della sentenza impugnata sottolineando che la Corte territoriale nell'affermare la sua responsabilità, pur riconoscendo che la sua società non era la committente dei lavori e che come tale non aveva l'onere di compilazione del DUVRI, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, spettando tale obbligo unicamente al committente, aveva mancato di considerare, nondimeno, che aveva omesso di coordinarsi con le altre imprese, posto che non era stata l'attività della sua impresa a generare il rischio dal quale era derivato l'infortunio del lavoratore, ma un’altra impresa appaltatrice, mentre il soggetto infortunato apparteneva a una terza ditta, subappaltatrice dei lavori di carpenteria. Solo se la ditta che aveva provocato il rischio, ha osservato il ricorrente, avesse comunicato il proprio intervento l'infortunio avrebbe potuto essere evitato, né lo stesso avrebbe potuto comunicare a terzi attività pericolose svolte da altri senza che lui ne fosse a conoscenza.
Con il secondo motivo il ricorrente si è lamentato per il fatto che aveva richiesto la revoca delle statuizioni civili, essendo già stata la persona offesa risarcita sia dall'INAIL, che dall'assicurazione stipulata dalla sua datrice di lavoro, sicché nessuna ulteriore somma spettava a titolo risarcitorio.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione ha annullata la sentenza della Corte di Appello senza rinvio sia agli effetti penali, per essere il reato estinto per prescrizione successivamente alla pronuncia della sentenza di secondo grado che agli effetti civili, con rinvio alla Corte territoriale di provenienza.
Pur avendo riconosciuto la Corte territoriale, secondo la Sez. IV, che la compilazione del DUVRI era di competenza della società committente che non vi aveva provveduto, la stessa nell'affermare la sussistenza dell'obbligo di cooperazione in capo agli appaltatori delle opere e quindi anche all’imputato, quale legale rappresentante di una ditta appaltatrice, non aveva chiarito quale sarebbe stata, in concreto, la condotta omessa dall'imputato, idonea ad evitare l'evento, posto che l'informazione sull'effettuazione dei lavori di schiumatura, che comportavano l'utilizzo di materiale dalla potenzialità esplosiva, non poteva che essere resa da un’altra ditta appaltatrice.
Se, infatti l'obbligo di cui all'art. 26, comma 3 del D. Lgs. n. 81/2008 inerente alla redazione del documento unico di valutazione dei rischi interferenziali, come correttamente premesso dalla Corte territoriale, ha osservato la suprema Corte, è posto in carico al committente, per affermare la sussistenza del contributo causale dell'appaltatore, secondo la clausola di equivalenza prevista dall'art. 40, comma 2, cod. pen, occorre, in primo luogo, identificare la regola condotta violata, potendosi iscrivere efficienza causale all'essere rimasto inerte, o all'avere diversamente agito, non contrastando fattori di rischio con provvedimenti adeguati, solo allorquando, il potere impeditivo dell'evento sia collegato ad un potere di organizzazione o di disposizione su situazioni potenzialmente pericolose, che deve comunque riferirsi alla sfera di conoscibilità e prevedibilità del garante nella specifica situazione di fatto.
Invero il mancato assolvimento dell'obbligo di cui all'art. 26, comma 3 del D. Lgs. n. 81/2008 da parte del committente, ha così proseguito la Sez. IV, non esonera gli appaltatori e subappaltatori dell'opera dagli oneri di cooperazione reciproca, previsti dall'art. 26, comma 2, che impongono di dare attuazione alla misure di prevenzione incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto (lett. a), coordinando gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori e informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese (lett. b) ma l’”adempimento di simili prescrizioni non può comunque estendersi sino alla sostituzione dell'opera di coordinamento posta in capo al committente inadempiente, finalizzata all'eliminazione o quantomeno alla riduzione dei rischi da interferenza”, potendo certamente richiedersi all'appaltatore di informare gli altri soggetti operanti nel medesimo luogo di lavoro dei rischi che l'opera a loro affidata comporta e delle misure cautelative adottate per scongiurarne la realizzazione, ma non di evitare un rischio non conosciuto perché non comunicato da alcuno, né di per sé manifesto o deducibile da particolari evidenze fattuali, soprattutto quando creato da un diverso soggetto presente in cantiere, non adempiente all'onere di informare e coordinarsi con le altre imprese, tanto più se incaricato dello svolgimento di opere del tutto avulse da quella appaltata.
Non si può quindi sostenere come ha fatto la Corte territoriale, ha così concluso la suprema Corte, che l'evento derivato dall'utilizzo di un seghetto elettrico da parte di uno dei dipendenti di un subappaltatore, in un ambiente adiacente a quello in cui un’altra impresa aveva utilizzato una sostanza esplodente, depositatasi anche sul fondo del locale nel quale stava lavorando l'infortunato, possa essere addebitato all'imputato, laddove questi non fosse a conoscenza del pericolo, non essendo stato informato.
La sentenza è stata pertanto annullata dalla Corte di Cassazione sia agli effetti penali, per essere il reato estinto per prescrizione, che agli effetti civili, e rinviata al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Gerardo Porreca
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Rispondi Autore: Giovanni Bersani - likes: 0 | 14/09/2021 (23:38:45) |
Brava la Corte di Cassazione, che ha applicato un ragionamento del tutto logico e ha annullato l'accanimento insensato che l'aveva preceduta... |