Sul comportamento “interruttivo” del nesso causale fra condotta ed evento
Nel decidere sul ricorso presentato dal legale rappresentante di una società, condannato per l’infortunio occorso al dipendente di una ditta appaltatrice avvenuto nell’ambito di un appalto interno, la Corte di Cassazione torna in questa sentenza ad esprimersi su quando il comportamento di un lavoratore ha valenza ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e un evento (art. 41, comma secondo, cod. pen.). Ai fini di tale apprezzamento, ha fatto osservare la suprema Corte, il comportamento può avere valenza interruttiva non perché “eccezionale” ma perché “eccentrico” rispetto al rischio che il garante è tenuto a governare. Tale eccentricità, ha precisato altresì la suprema Corte, potrà rendere in qualche caso eccezionale il comportamento del lavoratore ma ciò è solo una conseguenza accidentale in quanto l'effetto interruttivo può e deve essere individuato in qualsiasi circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che, appunto, il garante è chiamato a governare.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione
Il legale rappresentante di un’azienda ha ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello che, pur rideterminando in melius il trattamento sanzionatorio, ne ha confermato il giudizio di responsabilità per il reato di cui all'articolo 590 cod. pen., aggravato dalla violazione della disciplina antinfortunistica, contestatogli in relazione a un infortunio sul lavoro subito dal dipendente di una ditta appaltatrice avvenuto all'interno dell'azienda della quale era legale rappresentante.
All'imputato si era addebitato di non avere adottato efficaci misure organizzative atte ad evitare la presenza di persone nell'area di attrezzature mobili ovvero a tutelarne l'integrità il che aveva determinato la verificazione dell'infortunio a seguito di una manovra impropria eseguita da proprio dipendente, giudicato separatamente, il quale, nell'azionare una macchina senza previa verifica dell'effettiva presenza della persona offesa, che operava per conto dell’azienda appaltatrice, determinava lo schiacciamento del lavoratore contro la sponda del suo camion, da cui erano conseguite delle lesioni descritte in atti.
In sede di merito si era apprezzato il contenuto del documento di valutazione dei rischi elaborato dall’azienda concludendosi nel senso che tale documento presentava un contenuto generico e parziale; analogo giudizio veniva motivatamente formulato anche con riguardo alle disposizioni adottate per evitare i rischi di interferenza con le attività svolte dalle ditte appaltatrici che operavano nell'azienda, quale quella da cui dipendeva l'operaio infortunato. Era stato poi escluso che la condotta del lavoratore dipendente dall'imputato che manovrava la macchina, pur colposa, potesse assurgere a unica causa eccezionale cui ricondurre l'infortunio.
Con il ricorso in cassazione l’imputato ha riproposto gli stessi argomenti che erano stati già disattesi in appello. Come prima motivazione lo stesso ha sostenuto che, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, il rischio di schiacciamento e intrappolamento, era stato oggetto di una puntuale disamina nel documento unico di valutazione dei rischi interferenziali, ossia quelli relativi alle attività terziarizzate. In tale documento, ha fatto presente lo stesso, sotto forma di allegato a ciascun contratto di appalto, ivi compreso quello intercorso con la ditta per conto della quale lavorava l'operaio infortunato, erano comunicati all'appaltatore rischi presenti nei reparti di produzione, tra cui quello conseguente ad intrappolamento, e si imponeva a ciascuno di coordinarsi con il responsabile del reparto e del settore interessato. Con il secondo motivo il ricorrente ha riproposto la tesi della interruzione del nesso causale riconducendo l'evento alla improvvida ed eccezionale condotta del proprio dipendente.
Diritto
Il ricorso è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione manifestamente infondato. La stessa ha fatto presente che la tesi difensiva proposta dal ricorrente è inaccoglibile in sede di legittimità risolvendosi la stessa nella riproposizione di un dissenso sulla valutazione del compendio indiziario già pertinentemente valutato nella sede di merito, e ha evidenziato altresì che la richiesta fatta alla stessa di esprimersi sulla idoneità o meno delle misure precauzionali adottate era improponibile in quanto tale idoneità era stata ampiamente e incensurabilmente esaminata nei primi gradi di giudizio.
La Sez. IV quindi, con riferimento al tema dell'interruzione del nesso causale, ha precisato che vale il principio, correttamente applicato nel caso in esame, secondo cui “ai fini dell'apprezzamento dell'eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l'evento (articolo 41, comma secondo, cod. pen.), il comportamento successivo può avere valenza ‘interruttlva’ non perché ‘eccezionale’, ma perché ‘eccentrico rispetto al rischio’ che il garante è chiamato a governare”. “In effetti”, ha così proseguito la suprema Corte, “tale eccentricità potrà rendere in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento, ma ciò è una conseguenza accidentale, in quanto l'effetto interruttivo può e deve essere individuato in qualsiasi circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che, appunto, il garante è chiamato a governare”.
La Corte di Appello si è mossa quindi, secondo la suprema Corte, in modo aderente al principio sopra indicato evidenziando come il comportamento del dipendente dell'imputato, per quanto colpevole, si è sviluppato nell'ambito delle mansioni conferitegli, non potendo assurgere a causa eccezionale dell'evento, la cui concorrente causa doveva individuarsi proprio nelle carenze organizzative oggetto di contestazione all’imputato.
Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile e addebitabile a colpa del ricorrente per cui la Corte di Cassazione (Corte Cost., sent. 7¬13 giugno 2000, n. 186), ha condannato il ricorrente al pagamento, oltre che delle spese processuali, anche di una somma di 1.000 euro in favore della cassa delle ammende.
Gerardo Porreca
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