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Responsabilità del RSPP per il reato di omicidio colposo ai danni di un terzo

Responsabilità del RSPP per il reato di omicidio colposo ai danni di un terzo

Autore: Carolina Avv. Valentino

Categoria: Sentenze commentate

18/03/2025

La sentenza della Corte di Cassazione penale n. 42483 del 20 novembre 2024 si sofferma sulla responsabilità del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e sulla tutela del terzo in materia antinfortunistica.


Molte sentenze della Corte di Cassazione, come quella su cui ci soffermiamo oggi, forniscono indicazioni particolarmente importanti e significative con riferimento a vari aspetti e temi delicati relativamente alle tutele e alle responsabilità in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

 

È il caso della sentenza della Cassazione penale n. 42483 del 20 novembre 2024, che avevamo già presentato con un articolo del nostro collaboratore Gerardo Porreca, ma di cui torniamo a parlare attraverso un contributo dell’avv. Carolina Valentino dal titolo “La responsabilità del RSPP per il reato di omicidio colposo occorso ai danni di un terzo”.

 



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La responsabilità del RSPP per il reato di omicidio colposo occorso ai danni di un terzo

 

In una recente sentenza, i Supremi Giudici hanno ribadito due principi di rilevante importanza nella materia della salute e sicurezza sul lavoro, su cui, invero, l’orientamento giurisprudenziale di legittimità si presenta, ad oggi, cristallizzato.

 

In primis, i Supremi Giudici hanno affrontato il tema della tutela del terzo da parte della normativa antinfortunistica, nel senso che quest’ultima è finalizzata non solo a garantire la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, ma altresì di tutti coloro che siano esposti, anche senza un rapporto di lavoro con il datore di lavoro, al rischio lavorativo.

 

In secondo luogo, i Supremi Giudici hanno trattato il tema concernente i profili di responsabilità del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale, posto il fatto che il D. Lgs. n. 81/2008 non prevede alcuna sanzione connessa allo svolgimento dei relativi compiti, potrebbe erroneamente ritenersi esonerato da qualsivoglia forma di responsabilità in relazione ad un infortunio occorso.

 

Interessante, infine, rilevare come, nella sentenza in commento, sono presenti entrambe le predette circostanze: in altre parole, i Supremi Giudici hanno affermato non solo la responsabilità del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ma altresì in relazione all’infortunio occorso ai danni di un terzo.

 

Il fatto e le sentenze di merito

In primo ed in secondo grado, i Giudici del merito condannavano l’imputato nella sua qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in relazione all’omicidio colposo occorso ai danni di un terzo presente sul luogo di lavoro, reato commesso con violazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

 

Più in dettaglio, veniva accertato che l’imputato, appunto nella sua qualità di RSPP della società [omissis] operante nel luogo dell’infortunio [di seguito, la “Società”], aveva omesso di segnalare nel DVR da lui redatto l'esistenza di un pozzo e lo stato di vetustà del medesimo e dell’inidoneità della copertura ivi posta, pozzo nel quale la vittima era caduta, cagionandosi delle lesioni che ne avevano provocato la morte.

 

Il ricorso dell’imputato

Ricorreva in Cassazione la difesa dell’imputato, sulla base dei seguenti motivi.

 

Con un primo motivo, la difesa lamentava violazione di legge per avere, i Giudici del merito, ritenuto che l’inosservanza del punto 1.5.14.1 dell’Allegato IV, D. Lgs. n. 81/2008 sia ex se sufficiente ad integrare l'aggravante antinfortunistica anche nel caso di specie, in cui l'evento lesivo aveva riguardato un terzo estraneo non identificabile come fisiologico destinatario della tutela prevenzionistica.

[Per fini di completezza, si evidenzia che il punto 1.5.14.1 dell’All. IV, D. Lgs. n. 81/08 prevede che “Le aperture esistenti nel suolo o nel pavimento dei luoghi, degli ambienti di lavoro o di passaggio, comprese le fosse ed i pozzi, devono essere provviste di solide coperture o di parapetti normali, atti ad impedire la caduta di persone. Quando dette misure non siano attuabili, le aperture devono essere munite di apposite segnalazioni di pericolo”]

 

In sostanza, dunque, con il primo motivo la difesa lamentava che i Giudici avessero errato nel ravvedere la sussistenza dell’aggravante consistente nella violazione della normativa antinfortunistica, laddove la vittima era un terzo rispetto all’attività lavorativa.

 

Con il secondo motivo, la difesa lamentava l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui i Giudici del merito avevano ravvisato, in capo all’imputato nella sua qualità di RSPP, una posizione di garanzia, per cui egli avrebbe potuto impedire, proprio in tale qualità, il verificarsi dell’evento.

 

In tal senso, la difesa riteneva che i Giudici del merito avessero erroneamente traslato un compito proprio del datore di lavoro – quale quello della valutazione dei rischi – sul RSPP, il quale, secondo l’assunto difensivo, ha il mero compito di coordinare il Servizio di Prevenzione e Protezione.

 

La pronuncia della Cassazione

I Supremi Giudici ritengono il ricorso infondato, sulla base dei seguenti motivi.

 

La tutela del terzo nella materia antinfortunistica

Il primo motivo, che si limita a contestare la sussistenza dell'aggravante prevenzionistica, non si confronta con le articolate argomentazioni della sentenza impugnata, le quali hanno considerato plurimi elementi per affermare la configurabilità dell'aggravante in questione, avuto riguardo: all'analoga situazione di rischio in cui [la vittima] si è trovat[a] rispetto alla norma prevenzionistica (esposizione del terzo al medesimo rischio lavorativo); alla concretizzazione del medesimo rischio lavorativo nei confronti del terzo; a quanto previsto nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), in cui si fa cenno al fatto che i rischi ivi contemplati possono riguardare anche i visitatori […], proprio come avvenuto nel caso di specie”.

 

Ma ancora.

 

La censura proposta dalla difesa non tiene conto della giurisprudenza di legittimità, la quale ha in plurimi arresti affermato che “ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante del ‘fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro’, è necessario che venga violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio, derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione di rischio e pertanto assimilabili ai lavoratori, e che l'evento sia concretizzazione di tale rischio ‘lavorativo’, non essendo all'uopo sufficiente che lo stesso si verifichi in occasione dello svolgimento di un'attività lavorativa (cfr. Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Rv. 281997 - 01). È indubbio, insomma, che le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell'esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa, di talché, ove in tali luoghi si verifichino, a danno del terzo, i reati di lesioni o di omicidio colposi, è ravvisabile la colpa per violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, purché sussista, tra siffatta violazione e l'evento dannoso, un legame causale e la norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi, e sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell'infortunio, non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico (Sez. 4, n. 32178 del 16/09/2020, Rv. 280070 -01)”.

 

Il pozzo nel quale cadeva la vittima era collocato in una zona oggetto di attività lavorativa e liberamente accessibile anche a terzi.

 

È emerso, dal materiale probatorio, come nessun segnale o cartello sia stato apposto in prossimità di tale pozzo, al fine di segnalare il divieto di avvicinamento e accesso, nonché il pericolo di caduta, con la conseguenza che l'infortunio si è verificato in ragione di tale grave e colposa omissione.

 

La responsabilità del RSPP

Il secondo motivo è parimenti del tutto infondato, alla luce del fatto che, per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione può essere ritenuto responsabile, anche in concorso con il datore di lavoro, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione faccia seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione (cfr. Sez. 4, n. 24822 del 10/03/2021, Rv. 281433 -01; fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del RSPP per non avere segnalato nell'ultimo DVR il rischio di caduta nel vuoto per il cattivo stato di manutenzione dei parapetti di un balcone, in concorso con quella ascritta al datore di lavoro per non avere sollecitato la società proprietaria dell'immobile ad eseguire i necessari lavori di manutenzione, ritenendo irrilevante, ai fini dell'esclusione della responsabilità del primo, la circostanza che il rischio non segnalato fosse noto al datore di lavoro). Del resto, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (cfr. Sez. 4, n. 11708 del 21/12/2018 -dep. 2019, Rv. 275279 - 01)”.

 

Sulla base di tali argomentazioni, i Supremi Giudici rigettano il ricorso.

 

 

Avv. Carolina Valentino

 

 

 

Scarica la sentenza di riferimento:

Corte di Cassazione Sezione IV penale - Sentenza n. 42483 del 20 novembre 2024 (u. p. 23 ottobre 2024) -  Pres. Piccialli  – Est. Ranaldi – Ric. omissis.  - Il RSPP, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si dovessero verificare per effetto della violazione dei suoi doveri di sicurezza.

 



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Rispondi Autore: Stefano B. - likes: 0
18/03/2025 (08:39:30)
Quindi se la vecchina casca nel negozio va in galera il RSPP. Ottimo.
L'81 non dice assolutamente questo (in nessun punto) ed è assolutamente sbagliato che una corte di cassazione stiri la legge per farla combaciare con le convinzioni (umane e passibili di biass) dei giudici.
Non a caso non è gitato un solo articolo di legge a supporto della sentenza, semplicemente perchè non ce ne sono.
Autore: Claudio Rossi
19/03/2025 (10:01:54)
La sentenza è piena di riferimenti alla legge, non serve citare specificamente un articolo 8quelli si trovano nei provvedimenti di condanna delle corti di merito), non è questo il compito della S.C. Aggiungo che la sentenza (e lo dico da RSPP esterno) è perfettamente in linea non solo con quello che è il Codice Penale (bisogna smetterla di ragionare solo sull'81, serve sempre tenere presente i Codici, che si applicano a prescindere), ma anche con quello che è l'orientamento generale della Suprema Corte. Purtroppo molti che fanno il nostro lavoro si sono convinti, leggendo il solo 81, che l'RSPP di fatto non abbia responsabilità penali e civili, ma non è così..... purtroppo ci si dimentica che esistono il Codice Civile ed il Codice Penale.
Riguardo alla vecchietta che cade in negozio, è un esempio completamente fuori luogo e nulla c'entra con questa sentenza..... e comunque, se la vecchietta cade in un pozzo presente al centro del negozio, di cui si ha (o si dovrebbe avere per obbligo di legge) contezza dell'esistenza, e lo stesso non è adeguatamente protetto e segnalato e ci muore, giustamente ne risponde anche l'RSPP.
Rispondi Autore: raffaele scalese - likes: 0
18/03/2025 (09:06:08)
Nello specifico Il problema NON è la vecchina (il terzo) che cade nel negozio ma la mancanza di evidenziazione di una fonte evidente di periclo e delle azioni correttive conseguenti.
Continuiami con il negozio e la vecchina.
Se nel corridoio del negozio (possiamo anche dire supermercato per meglio intenderci) c'è un pozzo non segnalato nel DVR nè interdetto al passaggio appare chiaro che la responsabilità è ANCHE dell'RSPP.
Bisogna convincersi che i soprallouoghi molto puntuali ed il successivo DVR sono una cosa molto seria.
Rispondi Autore: Leonardo Lione - likes: 0
18/03/2025 (09:29:24)
Il Responsabile del SdPP è messo a capo, appunto, di un Servizio con compiti specifici e ben descritti dalla norma. Ragion per cui, al di la delle libere interpretazioni, risponde dell'esercizio dei propri compiti in qualità di "dirigente", posizione nella quale è senza alcun dubbio posizionato in qualità, per l'appunto, di responsabile di un servizio.
Rispondi Autore: Stefano Arcangeli - likes: 0
18/03/2025 (09:47:58)
Se si vuole dare responsabilità del genere ad un RSPP abbiamo confuso la figura di questo con la delega per la sicurezza (art.16). Fare un giro di sopralluogo con il preposto fotografando le anomalie per poi fare un verbale è suggerito. Scrivere frasi anche generiche sul DVR che riportano ad un controllo più attento e la segnalazione da ASPP e preposti è d'obbligo. Un consiglio: chi non l'avesse ancora fatto faccia assicurazione professionale e tutela legale.
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
18/03/2025 (11:41:00)

Desidero esprimere il mio apprezzamento per l’analisi precisa e puntuale dell’Avv. Carolina Valentino, che dimostra una profonda conoscenza del diritto penale applicato alla sicurezza sul lavoro e un’eccellente capacità di interpretazione giurisprudenziale. Il suo contributo evidenzia con chiarezza la struttura della responsabilità penale del RSPP e la posizione di garanzia che può derivarne, offrendo un utile chiarimento su un tema spesso frainteso.

Ciò che emerge con particolare evidenza è l’assoluta conformità della sentenza della Cassazione n. 42483/2024 al diritto penale vigente, il quale prevede che la normativa antinfortunistica non sia finalizzata esclusivamente alla protezione dei lavoratori, ma si estenda anche ai terzi che si trovino esposti al rischio lavorativo. Questo principio, ribadito con coerenza dalla giurisprudenza, chiarisce che il mancato rispetto delle norme di sicurezza può dar luogo a responsabilità penale indipendentemente dal rapporto di lavoro tra vittima e datore.

Non posso però non constatare, con un certo rammarico, come nel mondo dei cosiddetti esperti della sicurezza manchi non di rado nel modo più assoluto un’adeguata conoscenza delle fattispecie di reato previste dal codice penale in materia di sicurezza sul lavoro. Troppo spesso si tende a confondere le posizioni di garanzia penalmente rilevanti con quelle sancite dal D.Lgs. 81/2008, senza cogliere le differenze sostanziali che esistono tra i soggetti passibili di sanzioni amministrative e quelli che possono essere chiamati a rispondere penalmente per eventi lesivi.

L’analisi dell’Avv. Valentino offre quindi un contributo prezioso per colmare questo gap di conoscenza e dovrebbe rappresentare un riferimento per chiunque operi nel settore della sicurezza sul lavoro, affinché la prevenzione e la responsabilità non restino concetti astratti, ma si traducano in un’effettiva consapevolezza giuridica e operativa.

Rispondi Autore: Daniele Baldi - likes: 0
18/03/2025 (12:37:45)
Nel caso analizzato, mi rimane il dubbio di come mai sia stato condannato solamente il RSPP. Sono d'accordo che lui abbia commesso un errore professionale non valutando un rischio, ma le responsabilità del Datore di lavoro non vengono prese in considerazione?
Rispondi Autore: avv Rolando Dubini - likes: 0
18/03/2025 (17:03:55)
La vicenza è syesta tanti i condannati, non certo solo il rspp. Processo per la morte di Stefano Borghes, condannati per omicidio colposo i componenti della Fondazione Coronini
Maggio 3, 2024 redazione Incidente mortale, Stefano Borghes
Gorizia – Il Tribunale di Gorizia ha emesso la sentenza del processo per la morte del 13enne Stefano Borghes, avvenuta il 22 luglio del 2020 nel parco Coronini Cronberg di Gorizia durante una gara di orienteering.

I membri del Curatorio della Fondazione Coronini Cronberg sono stati riconosciuti colpevoli di omicidio colposo.

Il sindaco di Gorizia, Rodolfo Ziberna, in qualità di presidente del Curatorio, è stato condannato a un anno e 10 mesi di reclusione, oltre a due mesi di arresto per la violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro. I membri Marco Menato, Tiziana Gibelli, Raffaella Sgubin, Maurizio Boaro e Bruno Pascoli sono stati condannati a un anno e 4 mesi di reclusione, più due mesi di arresto per la stessa violazione.

Il pubblico ministero aveva richiesto una condanna a 4 anni e mezzo di reclusione per tutti gli imputati, ma il giudice ha riconosciuto le attenuanti generiche, sospeso la pena e deciso di non registrare la condanna nel casellario giudiziario.

Inoltre, è stata addebitata a tutti i condannati una provvisionale di 100.000 euro ciascuno.

La sentenza – è stato specificato – non incide sull’attività politica e amministrativa del sindaco.

Rispondi Autore: Lodovico - likes: 0
19/03/2025 (23:30:00)
Secondo il mio parere tutto si può dire all'RSPP, specialmente se è esterno, ma legare la sua responsabilità alla redazione del DVR non è corretto in quanto tale documento non è delegabile da parte del Datore di Lavoro.
Rispondi Autore: Stefano B - likes: 0
20/03/2025 (09:40:09)
"la responsabilità del RSPP per non avere segnalato nell'ultimo DVR il rischio di caduta nel vuoto". Nemmeno l'articolo 17 del''81... sono le basi su cui si basa tutta la struttura.
Rispondi Autore: Antonella Lucia Faiella - likes: 0
22/03/2025 (08:00:05)
Non voglio entrare nel merito dei contenuti della sentenza della Suprema Corte di Cassazione ma , come tante volte nel tempo sono intervenuta sin dai tempi del Dlgs 626 1994 ribadisco che , per quanto mi riguarda, se il DL da fiducia e paga un RSSL e i suoi ASSL per tutelare la sua azienda e i suoi sacrifici, il RSSL ha il dovere di rispettare la fiducia del vertice aziendale nei suoi confronti e la responsabilità professionale, civile, penale e anche amministrativa del Responsabile del SSL è certa.
Per questo nel tempo mi sono sempre opposta inutilmente al fatto che per essere nominato RSSL ci fosse solo bisogno di un generico diploma di scuola superiore perché, di logica e non solo, per me ci vuole il diploma mirato alla operatività produttiva della azienda e dei suoi luoghi di lavoro. Per essere un RSSL di un opificio di produzione di motori elettrici bisogna essere come minimo diplomati in un istituto superiore nel campo della elettrotecnica e elettromeccanica.
Autore: Stefano B
28/03/2025 (08:31:27)
"RSSL"... sarà anche certa la respobilità di questa figura... solo che non esiste.
Rispondi Autore: Roby - likes: 0
23/03/2025 (17:59:21)
Sentenza folle! E lo riperto: folle! Nessuno mi convincera mai che la colpa (omicidio colposo e non doloso) nel caso di specie è comunque solo del ddl... altrimenti riscriviamo il decreto 81, facciamo diventare la redazione del dvr un obbligo delegabile, modifichiamo le sanzioni e i personaggi ai quali sono in capo le medesime.

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