Responsabilità 231 per infortuni e MOG: le sentenze degli ultimi 6 mesi
Alcune sentenze della Cassazione Penale degli ultimi sei mesi si sono pronunciate sulla responsabilità amministrativa delle Società ai sensi del decreto 231/01 a seguito di infortuni sul lavoro per reati commessi da datori di lavoro e preposti.
Tra le violazioni che hanno causato gli infortuni e che fanno da sfondo alla valutazione sull’interesse o vantaggio della Società alla commissione del reato (in termini di “rapporto spesa-guadagno”, per usare le parole della Cassazione stessa), spiccano in modo particolare le gravi carenze in materia di valutazione dei rischi, adozione delle misure di prevenzione e protezione, formazione e vigilanza.
Si presenta di seguito una selezione di queste sentenze, senza pretese di esaustività, partendo dalla più recente fino alla più risalente.
Cassazione Penale, Sez.IV, 16 aprile 2018 n.16713
Reato commesso dal preposto e dal datore di lavoro conduce all’applicazione del 231 alla S.r.l. - Vantaggio dell’Azienda legato al risparmio derivante dalla mancata nomina dell’RSPP, mancata valutazione dei rischi e formazione. Cassazione Penale, Sez.IV, 16 aprile 2018 n.16713
Con questa recentissima sentenza la Cassazione conferma la condanna penale del datore di lavoro e del preposto di una S.rl. nonché la condanna della Società stessa ai sensi del D.Lgs. 231/01.
In particolare, “la vicenda riguarda l’infortunio mortale occorso nel settembre 2008 a T.S., dipendente della L., precipitato da un’altezza di dodici metri, a seguito dello sfondamento di una lastra di vetro resina posta sul tetto di un capannone ove il predetto T.S. si era portato per effettuare la manutenzione delle grondaie.”
Il datore di lavoro è stato ritenuto responsabile dell’infortunio a causa della “omessa previsione nella redazione del documento di valutazione dei rischi, di quello connesso alla manutenzione dei capannoni ed allo svolgimento di lavorazioni in quota, nonché [del]la mancata nomina del RSPP”.
Il preposto è stato condannato “per aver omesso di vigilare sulla osservanza dei precetti imposti e sulla concreta attuazione delle misure di sicurezza nell’ambito delle proprie attribuzioni e competenze” e, più specificatamente, “per aver dato disposizioni al T.S. di eseguire i lavori sistemazione delle grondaie, benché quest’ultimo non avesse mai ricevuto adeguata formazione, né fosse mai stato informato dei rischi specifici connessi allo svolgimento di lavori particolarmente pericolosi, come quelli che si effettuano in quota; con ciò violando l’obbligo che grava sul preposto, ex art.19 lett.b) d.lgs.81/2008, di “verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zona che li espongono ad un rischio grave e specifico”.”
Inoltre egli “è stato ritenuto responsabile per non aver verificato che i pannelli in vetroresina non erano assolutamente calpestabili.”
La S.r.l. è stata condannata “per la cd. “colpa dell’organizzazione” generica e specifica e grave negligenza nella gestione, condannando l’impresa al pagamento della sanzione pecuniaria di 258.230,00 euro”. In particolare, è stata ritenuta “sussistente la colpa dell’organizzazione di impresa, con particolare riferimento alla mancata nomina del RSPP, alla omessa valutazione del rischio ed alla mancata formazione del lavoratore”.
L’interesse o vantaggio dell’Azienda alla commissione dei reati in materia di salute e sicurezza secondo gli ultimi orientamenti
In questa sentenza la Cassazione ricorda che:
- “Ricorre il requisito dell’interesse quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica; ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito (non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma) di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d’impresa: pur non volendo il verificarsi dell’infortunio a danno del lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell’ente (ad esempio far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione).”
- “Ricorre il requisito del vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d’impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto...”.
Fatta tale premessa, nel caso specifico il presupposto per l’applicazione della responsabilità della persona giuridica è stato identificato nel “vantaggio economico indiretto, costituito dal risparmio dei costi non sostenuti, che la società ha tratto dalla mancata adozione delle misure di sicurezza richieste dalla legge per la prevenzione di infortuni sul lavoro (mancata nomina del RSSP, omessa valutazione del rischio specifico, messa in sicurezza del luogo di lavoro, mancata formazione professionale dei lavoratori addetti ecc.).”
Quanto alla condizione esimente dalla responsabilità amministrativa, la Cassazione ricorda che “la responsabilità dell’ente per i reati di omicidio colposo o lesioni colpose commesse da suoi organi apicali con violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro potrà essere esclusa soltanto dimostrando l’adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi (per i quali soccorre il disposto dell’art. 30 del d.lgs.n.81/2008) e l’attribuzione ad un organismo autonomo del potere di vigilanza sul funzionamento, l’aggiornamento e l’osservanza dei modelli adottati. Senonché nel caso di specie non risulta che l’ente abbia provato la sussistenza delle circostanze che avrebbero potuto escluderne la responsabilità ai sensi dell’art.6 d.lgs. n.231/2001.”
Cassazione Penale, Sez.IV, 7 dicembre 2017 n.54998
Reato di lesioni colpose ad un lavoratore commesso dalla datrice di lavoro per omessa valutazione del rischio e applicazione del 231 alla S.r.l. Cassazione Penale, Sez.IV, 7 dicembre 2017 n.54998
In questa sentenza viene confermata la condanna della datrice di lavoro di una S.r.l. operante nel settore delle costruzioni per aver cagionato la ferita da cui derivava una malattia superiore a 40 giorni al lavoratore dipendente, per colpa consistita nell’omessa valutazione del rischio derivante dall’utilizzazione del macchinario del banco sega. Viene condannata anche la S.r.l. ai sensi dell’art.25-septies del D.Lgs.231/01.
Cassazione Penale, Sez.IV, 23 novembre 2017 n.53285
Reato commesso dal preposto e dal datore di lavoro conduce all’applicazione del 231 alla S.p.a. “L’incidenza della scorretta prassi aziendale accertata sul rapporto spesa-guadagno.” Cassazione Penale, Sez.IV, 23 novembre 2017 n.53285
Il datore di lavoro e il preposto di una S.p.a. sono condannati per aver “cagionato al lavoratore dipendente F.S., lesioni personali gravi consistite nella amputazione della falange distale 5° del dito della mano sinistra, con indebolimento permanente dell’organo, determinata da una improvvisa discesa di una delle losanghe del macchinario cui era addetto in qualità di assemblatore”. Viene condannata anche la S.p.a. ai sensi del D.Lgs.231/01.
Quanto alla dinamica dell’evento, “il lavoratore subiva il sopra descritto infortunio nel corso dell’espletamento delle sue mansioni di assemblatore di un sollevatore a forbice, mentre era intento allo smontaggio di un cilindro oleodinannico di spinta dalla struttura del sollevatore a forbice, senza averne assicurato la stabilità mediante l’inserimento di ostacoli di sicurezza, in modo quindi scorretto e difforme dalle modalità descritte nel manuale d’uso, nella convinzione che le losanghe non potessero ulteriormente abbassarsi e che il carroponte avrebbe sostenuto il peso del cilindro.”
Al datore di lavoro è stato contestato di non avere provveduto a “predisporre un documento di valutazione dei rischi che recasse l’individuazione della procedura per attuare le misure di sicurezza in fase di smontaggio del sollevatore a forbice, ad adottare adeguate misure tecniche e organizzative e a procedere alla formazione e informazione del lavoratore in ordine ai rischi connessi alle operazioni di smontaggio del sollevatore”.
Al preposto è stato contestato “di non avere controllato che l’uso del macchinario fosse riservato a lavoratori dotati di informazione, formazione e addestramento adeguati.”
In merito alla formazione, la Cassazione precisa che “non poteva dirsi adeguatamente adempiuto l’obbligo di formazione e informazione del lavoratore, il quale, certamente esperto del “bene operare”, anche per merito datoriale, non lo era del “male operare”, avendo affermato che, al momento dei fatti, egli non sapeva che una volta abbassate le losanghe del macchinario, queste potessero, ove non trattenute da ostacoli di sicurezza, ulteriormente abbassarsi a causa del peso del cilindro.”
Riguardo alla responsabilità del preposto, la sentenza giudica “inidonei i richiami verbali, poiché non seguiti dall’adozione di provvedimenti, anche disciplinari.”
Quanto alla responsabilità della Società ai sensi del D.Lgs.231/01, la Cassazione specifica che vi è nel caso specifico un “rapporto di causalità tra la politica aziendale in materia antinfortunistica e il fatto di reato contestato agli imputati”.
Infatti “nel caso di specie, i giudici di merito hanno ricollegato la responsabilità amministrativa dell’ente alla inidoneità del documento di valutazione dei rischi predisposto e alla inadeguatezza dell’attività di formazione e informazione del lavoratore, entrambi causa dell’infortunio, laddove, con riferimento al vantaggio/interesse dell’ente, hanno evidenziato l’incidenza della scorretta prassi aziendale accertata sul rapporto spesa-guadagno.”
La Società viene condannata “incombendo, in ogni caso, sull’ente l’onere - con effetti liberatori - di dimostrare l’idoneità dei modelli di organizzazione e gestione adottati a prevenire reati della specie di quello verificatosi (cfr. Sez.U.n.38343/2014, Thyssen Krupp, Rv. 261112)”; nel caso specifico un “onere che non può certamente considerarsi assolto attraverso la sola circostanza dell’esistenza di un documento, ritenuto inidoneo dai giudici di merito e di meri richiami verbali, ritenuti parimenti inadeguati.”
Cassazione Penale, Sez.IV, 15 novembre 2017 n.52129
Appalti e responsabilità di più datori di lavoro e di una S.p.a. per l’infortunio ad un subappaltatore (autotrasportatore titolare di ditta individuale colpito da un carrello elevatore). Cassazione Penale, Sez.IV, 15 novembre 2017 n.52129
Questa la dinamica dell’infortunio: la T. s.p.a. “si avvaleva per i trasporti - da e per la sede di O. s.p.a.- della ditta S., che subappaltava la commessa a piccole imprese, quale quella della persona offesa del presente procedimento, B.M. (autotrasportatore titolare di ditta individuale), che faceva la spola fra le due aziende con i cassoni in ferro a forma di parallelepipedo destinati ad essere riempiti con particolari lavorati da O. da congegnare a T. Per le movimentazioni di tali contenitori, O. si avvaleva della ditta K., alle cui dipendenze lavorava il carrellista A.S., che, al momento dell’infortunio, stava procedendo alle operazioni di scarico, eseguite inforcando una pila di contenitori alla volta e, quindi, arretrando a bassa velocità con il carrello elevatore prima di ruotare per posizionarsi in parallelo al camion a forche abbassate in modo da consentire ad altro carrellista di prelevare il carico e portarlo alla sua destinazione finale.”
Dunque, “l’infortunio si è verificato durante lo spostamento di tre cassoni vuoti, che erano scivolati dalle forcole del carrello elevatore colpendo l’autista del camion il quale aveva riportato le lesioni di cui alla documentazione medica in atti: l’inchiesta infortuni su cui ha riferito in dibattimento l’ispettore R., ha evidenziato le pessime condizioni dei contenitori collocati sul camion di B.M. da personale T. a pile di tre alla volta, che ha determinato l’instabilità del carico e la sua caduta. Il B.M., escusso, ha ammesso di essersi avvicinato alla sponda del camion per rimettere a posto un piantone e togliere quello successivo, in modo tale che lo scarico delle pile di cassoni potesse proseguire senza soluzione di contiguità e ciò, senza attendere la conclusione della manovra che A.S. stava compiendo.”
Vengono condannati in cooperazione colposa fra loro il datore di lavoro della K., quello della T. e della O. per plurime violazioni inerenti alla mancata valutazione del rischio e all’omessa adozione di misure.
Viene condannata anche la T. S.p.a. ai sensi del D.Lgs. 231/2001 alla sanzione pecuniaria di €.40.000,00 (sanzione ridotta ai sensi dell’art.12 D.Lgs.231/01).
La sentenza sottolinea che se il datore di lavoro della T. S.p.a. “si fosse premurato dì effettuare periodici e seri controlli sullo stato dei contenitori metallici utilizzati per i rifornimenti di particolari lavorati da O. come prescritto dall’art.71 comma 8 D.lgs.81/2008, avrebbe dovuto da tempo rottamarne gran parte, come effettuato in ottemperanza alle prescrizioni dello S.Pre.S.A.L.”.
In particolare, “la responsabilità omissiva dell’imputato appare evidente, tenuto conto della frequenza delle movimentazioni di predetti cassoni che facevano continuamente la spola fra lo stabilimento T. e O., delle ripetute segnalazioni di non conformità effettuate dal responsabile della logistica [della] O., alle analoghe segnalazioni della K., e non potendosi ritenere surrogato il doveroso controllo ai fini della sicurezza il monitoraggio dei contenitori in funzione del Sistema Qualità”.
Dunque, quanto alla responsabilità della persona giuridica T. S.p.a., “la condanna di B.S. [datore di lavoro della T., n.d.r.] per il reato contestatogli costituisce il presupposto per la dichiarazione di responsabilità dell’ente, posto che non si versa nell’ipotesi di cui all’art.5, comma 2, D.Lgs.231/2001, trattandosi di condotta tenuta nell’interesse della società, che avrebbe dovuto affrontare oneri e costi aggiuntivi per adeguare i cassoni, né ricorrono le condizioni di esonero di responsabilità previste dall’art. 6 s.l., dato che non era stato adottato alcun modello organizzativo idoneo a prevenire reati come quello oggetto del presente procedimento”.
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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