Nolo a caldo e comportamento eccentrico
La Cassazione Penale Sez.4, con la sentenza n. 9455 del 7 marzo 2023, ha respinto il ricorso di un soggetto, individuato quale autonomo esecutore di una lavorazione, riguardo un infortunio mortale avvenuto in un cantiere edile dove erano in atto dei lavori di scavo mediante un escavatore cingolato. Durante i lavori si era verificato il cedimento di una parete terrosa interessata da attività di sbancamento e il datore di lavoro di un’impresa esecutrice che si trovava all’interno dello scavo veniva seppellito dal terreno con conseguente morte per soffocamento.
La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 23/11/2021, pur riformando la sentenza del 4/6/2019 del Tribunale di Reggio Calabria in composizione monocratica, rideterminando la pena, previo giudizio di equivalenza tra le già concesse circostanze attenuanti e la contestata aggravante, in anni uno di reclusione, aveva confermato l'affermazione di responsabilità di un soggetto, individuato quale autonomo esecutore di una lavorazione di scavo mediante l’impiego di un escavatore. Questi era stato riconosciuto responsabile del reato di cui all’art. 589 cp con l’aggravante della violazione relativa alla mancata redazione del Piano Operativo di Sicurezza (art. 96 comma 1, lett. g) ed agli artt. 118 comma 5 (Misure di sicurezza per i lavori di splateamento e sbancamento) e 119 comma 1 (Armature di sostegno) del D. Lgs. 81/2008.
Avverso tale provvedimento, questo soggetto aveva proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del difensore, con tre motivazioni.
Tralasciando la prima, non importante ai fini della trattazione, e concentrandoci sulle altre due, il ricorrente affermava di <<non essere il titolare della impresa esecutrice dello scavo ma un mero dipendente del soggetto deceduto>>. Nel caso di specie si sosteneva che, al contrario di quanto affermavano i giudici di merito, che il ricorrente <<si trovava in una posizione non di operatore autonomo ma con un contratto di nolo a caldo e comunque di lavoro subordinato, e dunque che sullo stesso non poteva ricadere alcuna responsabilità dell'evento verificatosi>>.
Sempre secondo la tesi sostenuta in ricorso, questi <<non era titolare di alcuna posizione di garanzia, per cui non aveva alcun obbligo né di fare un Piano Operativo di Sicurezza (POS) né tantomeno di predisporre le barriere protettive della buca eseguita, poiché lo stesso rispondeva alle direttive che gli venivano impartite dallo stesso infortunato>>.
Il ricorrente, inoltre, contestava quanto affermato dai giudici di appello evidenziando che nel caso di noleggio di beni mobili non era richiesto alcun contratto scritto perché l'accordo poteva essere validamente firmato anche verbalmente.
Nel caso di specie, il ricorrente affermava di avere noleggiato il proprio escavatore con l'operatore, che era lui stesso quale titolare dell'azienda e, per questo, non poteva parlarsi di due imprese che avevano eseguito autonomamente dei lavori, come affermato dai giudici.
La terza motivazione riguardava la violazione e la falsa applicazione degli artt. 41 e 589 cp in relazione all'art.118 e 119 d.lgs. 81/2008, visto che, come era emerso dagli atti del dibattimento richiamati nel ricorso, il ricorrente si trovava sui luoghi dell'incidente in virtù di un contratto di “nolo a caldo”.
Il “nolo a caldo”, va ricordato ai lettori (vedi Puntosicuro del 25/01/2019 “ Il nolo a caldo e il rischio sismico nel DVR”), è un istituto contrattuale che ha per oggetto la concessione in uso di una attrezzatura di lavoro e la prestazione lavorativa di un operatore specializzato, indispensabile per la conduzione/utilizzo dell'attrezzatura stessa. In un effettivo nolo a caldo, il noleggiatore non risulta obbligato al raggiungimento di uno scopo specifico in quanto si limita esclusivamente a mettere a disposizione l'attrezzatura di lavoro e l’addetto al suo utilizzo, non riscontrandosi alcuna attività autonoma per l'esecuzione del lavoro la cui organizzazione rimane sempre nelle mani dell'impresa che deve eseguire il lavoro.
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Preso atto del ricorso, la Cassazione Penale ha ritenuto che i profili di doglianza proposti dal ricorrente fossero manifestamente infondati e tendessero a sollecitare la Corte ad una rivalutazione del fatto non consentita in quella sede di legittimità visto, inoltre che gli stessi si sostanziavano nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello.
Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato è apparso, secondo la Suprema Corte, puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e, perciò, a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.
Pertanto, il ricorso proposto è stato dichiarato inammissibile e la Cassazione Penale, nella sua pronuncia, ha spiegato dettagliatamente i motivi per cui ha respinto il ricorso.
Esaminando le motivazioni riguardanti la violazione di legge penale, con riguardo alla affermata responsabilità dell'imputato, la tesi difensiva è che il ricorrente fosse un mero dipendente del deceduto e non già il titolare dell’impresa esecutrice dello scavo.
Per la Suprema Corte, su questo punto, il ricorrente, in concreto, non si è confrontato adeguatamente con la motivazione della Corte di Appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e, pertanto, immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto e, in particolare, hanno ritenuto sussistere in capo al ricorrente, quale titolare della ditta esecutrice dei lavori di allaccio alla rete fognaria di un immobile in costruzione, la responsabilità in relazione all'avvenuto cedimento di una parete terrosa interessata da attività di sbancamento cui seguiva il soffocamento del datore di lavoro dell’impresa esecutrice.
La condotta colposa imputata era stata sia generica che specifica, perché qualificata da imprudenza, imperizia e negligenza nonché dalla violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro di cui all'imputazione. In particolare, era stato contestato al ricorrente, l'avere omesso di elaborare il piano operativo di sicurezza di cui all'articolo 96 comma 1, lett. g) del D. lgs 81/2008 e l'avere omesso di realizzare la protezione della zona superiore allo scavo e della parete di terra mediante idonee armature di sostegno, come prescritto dagli artt. 118 e 119 del citato decreto.
Già il giudice di primo grado aveva motivatamente escluso che il contratto concluso tra il ricorrente e il committente fosse un contratto di nolo a caldo.
Secondo la Suprema Corte, nel nolo a caldo, l'aspetto prevalente è la fornitura del mezzo, mentre la prestazione del conducente è marginale. Mentre, nel caso in esame, né il committente né gli altri coimputati hanno parlato della necessità di noleggiare un escavatore per effettuare i lavori ma di contattare un escavatorista per effettuare lo scavo.
La prestazione lavorativa, sin dal primo grado, era apparsa, quindi, l'elemento predominante del contratto, e la scelta del ricorrente per l‘esecuzione del lavoro era stata una precisa scelta del committente non per le qualità del mezzo ma per la competenza professionale dell’escavatorista.
Non a caso, la Corte d’Appello aveva, successivamente, ribadito che non era riscontrabile alcun contratto di "nolo a caldo" stipulato dall'odierno ricorrente che aveva, di contro, agito in via autonoma nell'esercizio dell'attività lavorativa, per l'esecuzione della quale era stato selezionato dal committente.
Inoltre, le risultanze deponevano nel senso che, per l'attività di scavo, in quanto tale, unico competente in materia, era proprio il ricorrente, opportunamente scelto dal committente non solo in forza del possesso del mezzo ma proprio in vista dell'adempimento del predetto lavoro di escavazione, in relazione al quale aveva assunto, di fatto, assoluta autonomia e, per questo, l'obbligo di eseguire i suddetti lavori, assumendo le opportune e necessarie cautele ma del tutto tralasciate nel caso di specie.
Coerente e logica, pertanto, appare la conclusione che non può affermarsi che il ricorrente stesse manovrando l'escavatore in base alle direttive esclusive dell’infortunato o del committente, né che fosse stato retribuito per l'uso del mezzo.
Pertanto, in ogni caso, non essendo il ricorrente dipendente della ditta dell’infortunato, lo stesso doveva essere considerato esecutore dei lavori di scavo e ciò a prescindere dalla qualificazione civilistica del negozio in base al quale poteva operare nel cantiere.
In difetto di una sua sottoposizione alle direttive ed agli ordini del datore di lavoro della prima impresa esecutrice, indimostrata ed incompatibile con il tipo di chiamata e con la posizione pariordinata del ricorrente, lo stesso è stato correttamente qualificato dai giudici del merito quale "esecutore dei lavori di scavo".
Del resto, già il giudice di primo grado aveva rilevato che <<se anche si dovesse ritenere sussistente un nolo a caldo, nonostante l'assenza di elementi oggettivi che conducano a siffatta conclusione, il ricorrente doveva necessariamente rispettare delle regole di ordinaria prudenza e perizia, che poi sono quelle formalizzate negli artt. 118 e 119 del D. Lgs 81/2008, e cioè predisporre delle protezioni nella zona superiore dello scavo e mettere le pareti in sicurezza mediante idonei sistemi di puntellamento>>.
In altri termini, anche volendo escludere la sua responsabilità nel predisporre il POS, di certo il ricorrente doveva procedere adottando le cautele previste dalle regole dell'arte, che impongono di proteggere i lavoratori dal crollo delle pareti.
La possibilità di crollo era, infatti, prevedibile e prevenibile mediante l'adozione di sistemi di sicurezza ordinari, e l'osservanza di queste precauzioni negli scavi è diretta proprio ad evitare i crolli e gli eventi, quale quello che ha condotto alla morte del datore di lavoro della prima impresa esecutrice.
Secondo la logica motivazione del provvedimento impugnato non è, poi, esatto affermare che la "presenza del nolo a caldo" si evince dal rilievo, per cui l’infortunato aveva richiesto l'intervento dell'escavatorista, laddove il dato vale, semmai, a contrario, a rafforzare la tesi sostenuta dall'accusa ed avallata dai giudici di merito, posto che proprio l'intervento del ricorrente, in qualità di escavatorista/esecutore del lavoro, come scelto dal committente, conferma l'esistenza di un'attività lavorativa assunta in via indipendente dal medesimo che, per ciò solo, ha assunto un'autonoma posizione di garanzia, cui sono sottesi precisi obblighi di protezione in materia.
Ne deriva che, proprio in forza di tale veste, egli non avrebbe dovuto procedere all'escavazione, senza prima approntare le, peraltro specifiche ed intuitive, regole di protezione relative allo scavo, assumendo il preciso obbligo di operare, nell'esercizio della propria attività, con la dovuta prudenza e diligenza, omesse nei casi di specie.
Sempre secondo la Suprema Corte, immuni dalle proposte censure di legittimità appaiono pertanto le conclusioni cui pervengono i giudici di merito nel ritenere evidente la colpa del ricorrente, impegnato nell’esecuzione di uno scavo della profondità di oltre tre metri, in un terreno franoso per il quale era stato necessario in precedenza realizzare un muro di contenimento delle pareti, senza adottare alcuna misura di sicurezza, neanche la più elementare.
La condotta omissiva, rimproverabile al ricorrente, ha contribuito a determinare causalmente il decesso dell’infortunato per soffocamento dovuto al crollo delle pareti dello scavo.
Per i giudici del gravame del merito, il ricorrente è responsabile <<per avere eseguito un'attività di profonda escavazione, in zona franosa, senza prendere visione (né attuare) il piano di sicurezza e coordinamento e senza approntare le minime garanzie di protezione, come la costituzione di muri/barriere di protezione delle pareti, quale esplicazione minima degli obblighi tipici della posizione di garanzia di chi si accinge ad effettuare dei lavori al fine di evitare proprio l'evento letale, del tipo di quello, purtroppo, verificatosi in concreto>>.
Inoltre, essi chiariscono anche che non è esatto affermare che non sarebbero applicabili, nei caso di specie, le disposizioni di cui all'art. 118 e119 D. Lgs. n. 81/2008, sia perché, a rigore, tali norme sono volte a prevenire proprio il rischio di frane, come accaduto nel caso di specie, sia perché proprio l'esercizio dell'attività di escavazione comporta l'obbligo, come detto, di "non agire" in assenza delle opportune protezioni, volte ad evitare il cedimento delle pareti, a causa della specifica attività lavorativa compiuta.
La Corte territoriale aveva evidenziato che il funzionario dell’Ente di Vigilanza incaricato dell’indagine, aveva riferito in dibattimento degli obblighi di garanzia direttamente riconducibili al ricorrente che aveva svolto un lavoro autonomo senza adottare le opportune cautele negando risolutamente, in base alle indagini condotte, l'esistenza di un contratto di "nolo a caldo", di cui, in verità, non si era riscontrata traccia alcuna, sul piano documentale, con ciò giungendo, il predetto teste, a conclusioni simmetriche e collimanti con la tesi accusatoria.
I giudici del gravame del merito, in risposta a quanto obiettato dalla difesa, avevano chiarito anche che non si contestava il luogo di esecuzione dello scavo ma proprio il fatto che il ricorrente nell'accingersi ad operare, nei termini già riferiti, aveva del tutto omesso di assicurare le dovute protezioni e cautele, concorrendo nella realizzazione dell'evento letale avvenuto.
Infine, secondo la Suprema Corte, entrambi i giudici di merito avevano risposto con motivazione corretta in punto di diritto anche alla doglianza secondo cui il comportamento della persona offesa, la quale non avrebbe dovuto calarsi nella buca in assenza delle prescritte protezioni, sarebbe stato talmente "imprevedibile" e posto in essere in totale indipendenza da risultare abnorme, nel senso, giustappunto, di costituire un'autonoma condotta idonea, “ex se”, a causare l'evento, con ciò interrompendo il nesso causale, intercorrente tra le omissioni, riconducibili al ricorrente, e il decesso, concretamente occorso.
Al riguardo, già il giudice di primo grado aveva ritenuto che non potesse escludersi la colpa degli imputati alla luce della manovra certamente azzardata ed imprudente dell’infortunato che si era calato in una buca di tre metri senza protezioni in quanto la presenza dei dispositivi di sicurezza imposti dalla normativa all'epoca vigente, mirava proprio ad impedire eventi del tipo di quello verificatosi in concreto.
Inoltre, la Corte territoriale, nel rispondere allo specifico profilo di doglianza, lo aveva correttamente ritenuto non fondato, nella misura in cui giammai la condotta dell’infortunato poteva definirsi, nel caso di specie, abnorme in senso tecnico, laddove il suo comportamento poteva qualificarsi certamente come imprudente/negligente, ma non tale da risultare imprevedibile ed eccentrico rispetto all'attività lavorativa posta in essere dal medesimo.
In sintesi, l’infortunato non avrebbe dovuto "calarsi nella buca" e compiere i lavori, in assenza delle dovute protezioni personali e dell’armatura dello scavo necessaria al fine di evitare la caduta delle pareti ma tale condotta imprudente è sempre inerente all'attività lavorativa "demandata" al medesimo e, pertanto, non è eccentrica ma rientra nel rischio tipico che i titolari della posizione di garanzia avrebbe dovuto scongiurare, adottando le dovute cautele indicate, cosa non occorsa nel caso di specie.
La sentenza impugnata, pertanto, opera un buon governo della costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui non vale a escludere la responsabilità del titolare della posizione di garanzia il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente.
Non è configurabile, in altri termini, la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro o da chi debba provvedervi presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli.
Ed è stato condivisibilmente ribadito che la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.
Inoltre, ribadendo il concetto di "rischio eccentrico", un’altra recente pronuncia [1] ha puntualizzato che, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante.
Pertanto, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Carmelo G. Catanoso
Ingegnere Consulente di Direzione
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