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La responsabilità del preposto non formato

La responsabilità del preposto non formato
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

10/07/2017

Il soggetto che accetta le funzioni di preposto e di fatto le svolge è responsabile, in concorso con il datore di lavoro, per l’infortunio occorso a un lavoratore dipendente pur in mancanza della specifica formazione prevista dal d. lgs. n. 81/2008.


Ha sostanzialmente per oggetto questa sentenza della Corte di Cassazione l’applicazione dell’art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008 che ha estesa le responsabilità inerenti alla posizione di garanzia relativa al preposto, di cui all’art. 2 dello stesso D. Lgs., ai soggetti che, pur sprovvisti di regolare investitura, esercitano in concreto i poteri giuridici inerenti a tale figura. È responsabile, ha sostenuto infatti nella sentenza la suprema Corte, in concorso con il datore di lavoro, per un infortunio occorso a un dipendente, il soggetto che accetta le funzioni di preposto e di fatto le svolge pur se sprovvisto della specifica formazione prevista dal citato D. Lgs. n. 81/2008.

 

Ove l’imputato, ha sostenuto la stessa Corte riferendosi al caso in esame, non si fosse sentito preparato a svolgere le funzioni affidategli, proprio perché non specificatamente formato, non le avrebbe dovuto assumere. L’esplicare, infatti, le mansioni inerenti a un determinato ruolo, nel contesto dell'attività lavorativa, comporta la capacità di saper riconoscere ed affrontare i rischi e i problemi inerenti a quelle mansioni, secondo lo standard di diligenza, di capacità, di esperienza, di preparazione tecnica richiesto per il corretto svolgimento di quel determinato ruolo, con la correlativa assunzione di responsabilità. Ne consegue, ha concluso la suprema Corte, che chi, non essendo all'altezza del compito assunto, esplichi una certa funzione senza farsi carico di procurarsi tutti i dati tecnici e le conoscenze necessarie per esercitarla adeguatamente, risponde nel caso in cui ne derivino dei danni.

 

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Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione

Il datore di lavoro e il componente anziano dell’ufficio tecnico di un’azienda hanno ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello, chiedendone l’annullamento, con la quale era stata confermata, in punto di responsabilità, la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all'art. 589 cod. pen. perché il datore di lavoro, omettendo l'effettuazione di qualsivoglia attività di formazione e informazione del personale nonché la predisposizione di idonee procedure connesse alle attività da compiere in ambienti sopraelevati, con pericolo di caduta dall'alto, e inoltre di dare adeguate istruzioni e il componente anziano dell'ufficio tecnico omettendo da parte sui controllare l'effettiva consistenza della superficie del tetto e quindi la calpestabilità dello stesso, avevano consentito e comunque non avevano impedito che un lavoratore dipendente, dopo essersi portato, mediante il carrello elevatore, sul tetto di una costruzione vi scendesse e sostasse sul tetto stesso, senza alcun presidio anticaduta, spostandosi su di esso allorquando è precipitato al suolo, a seguito del cedimento di una lastra.

 

Il datore di lavoro nel suo ricorso ha evidenziato una violazione di legge e un vizio di motivazione poiché il lavoratore deceduto era un ingegnere, laureato da oltre 10 anni, con ampia esperienza professionale e quindi in possesso di tutti gli strumenti culturali e tecnici per svolgere l'incarico, con totale autonomia decisionale e con sovraordinazione gerarchica rispetto ai colleghi operanti in sede di sopralluogo. Dal filmato agli atti tra l’altro, ha fatto osservare il ricorrente, era rilevabile come lo stesso si sia mosso sul tetto non camminando ma correndo e saltando, sì da provocare il cedimento della struttura, a causa dell'aumento della pressione esercitata dal peso del corpo in fase di corsa ragion per cui lo stesso aveva tenuto una condotta abnorme e di portata tale da rendere irrilevante qualunque altra causa preesistente.

 

Il componente dell’ufficio tecnico, da parte sua, nel suo ricorso, dopo aver ribadito le censure formulate dal coimputato in merito all'abnormità del comportamento della persona deceduta, ha lamentato una violazione di legge e un vizio di motivazione poiché non aveva ricevuta alcuna adeguata formazione e non era titolare di alcuna posizione di sovraordinazione gerarchica rispetto agli altri colleghi, i quali operavano tutti in totale autonomia. Del resto la persona deceduta, ha sostenuto ancora, aveva conoscenze tecnico-scientifiche ben superiori alle sue che era soltanto un perito industriale e non un ingegnere.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha fatto notare che la Corte territoriale era pervenuta alle sue conclusioni attraverso un itinerario concettuale in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità. La stessa aveva, infatti, evidenziato che il lavoratore infortunato non aveva fatto altro che quello che gli era stato detto e che era stato programmato di eseguire né è risultato che gli sia stata rappresentata in alcun modo la pericolosità della struttura o la necessità di adottare particolari cautele, come quella di camminare solo sulle travi in cemento. Lo stesso era rimasto, invece, a camminare sul tetto del capannone, allo scopo di procedere alle misurazioni, sotto lo sguardo dei presenti, e in particolare del coimputato senza che alcuno gli avesse fatto presente il pericolo o lo avesse richiamato. Anche la persona che stava camminando con lui su quella copertura aveva confermato che entrambi erano sicuri che le onduline potessero sostenere il loro peso e sapevano che il tetto era controsoffittato, così come del resto lo era, tranne che nella zona ove poi è caduto il lavoratore. Di qui la giusta conclusione dei giudici di merito secondo cui il lavoratore aveva subito l'infortunio mentre eseguiva le sue mansioni, conformemente all'incarico ricevuto e senza porre in essere alcuna condotta imprevedibile o esorbitante rispetto alle mansioni affidategli.

 

Tali conclusioni del resto, ha fatto notare la suprema Corte, sono del tutto in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l'interruzione del nesso causale tra la condotta e l’evento è configurabile allorché la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo e del tutto incongruo rispetto al rischio originario e comunque non può ritenersi causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, il comportamento negligente di un soggetto, nella specie il lavoratore, che si riconnetta ad una condotta colposa altrui, nella specie a quella del datore di lavoro e del  preposto di fatto.

 

Con riferimento al ricorso presentato dall’altro imputato la Corte di Cassazione ha messo in evidenza che lo stesso aveva organizzato il sopralluogo durante il quale era accaduto l’infortunio. Era stati lui, infatti, a richiedere la presenza dell'elevatore e a dare ai presenti le direttive necessarie per cui sia l’infortunato che il collega avevano confidato che fosse stato previamente accertato la fattibilità in sicurezza delle operazioni necessarie. Del resto, nemmeno quando li aveva visti camminare sulle onduline, come confermato dalle videoriprese, l’imputato li aveva avvisati di alcunché.

 

Esente da censure ha inoltre ritenuta la Sez. IV l'affermazione formulata dalla Corte territoriale, secondo cui, nel momento in cui il componente dell’ufficio tecnico ha assunto, di fatto, il compito di organizzare e dirigere il sopralluogo, per conto del datore di lavoro, ha altresì assunto anche l'obbligo di garantire la sicurezza dei partecipanti. D'altronde l'omissione di ogni pur minima cautela, prima di consentire ai colleghi di accedere al tetto, aveva reso irrilevante, ai fini della sussistenza del reato, il fatto che l’imputato stesso non avesse ricevuto alcuna specifica formazione in merito ai rischi inerenti alle operazioni da svolgere. Tale asserto, del resto, si inserisce perfettamente nell'ottica delineata dall'art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008, che estende le responsabilità inerenti alla posizione di garanzia relativa al preposto, di cui all'art. 2 del D. Lgs citato, ai soggetti che, pur sprovvisti di regolare investitura, esercitino in concreto i poteri giuridici inerenti a quest'ultima figura.

 

Ove l’imputato, ha aggiunto la suprema Corte, non si fosse sentito preparato a svolgere tali funzioni, proprio perché non specificamente formato, non avrebbe dovuto assumerle. In tali casi, infatti, l'addebito di colpa consiste proprio nell'aver intrapreso un'attività che non si è in grado di svolgere adeguatamente, non avendo le conoscenze o le capacità necessarie (c.d. colpa per assunzione). Infatti, ha così concluso la Sez. IV, “l'esplicare le mansioni inerenti a un determinato ruolo, nel contesto dell'attività lavorativa, comporta la capacità di saper riconoscere ed affrontare i rischi e i problemi inerenti a quelle mansioni, secondo lo standard di diligenza, di capacità, di esperienza, di preparazione tecnica richiesto per il corretto svolgimento di quel determinato ruolo, con la correlativa assunzione di responsabilità. Ne deriva che chi, non essendo all'altezza del compito assunto, esplichi una certa funzione senza farsi carico di procurarsi tutti i dati tecnici e le conoscenze necessarie per esercitarla adeguatamente, nel caso in cui ne derivino dei danni, risponde di questi ultimi”.

 

Entrambi i ricorsi sono stati pertanto rigettati dalla Corte di Cassazione con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 18090 del 10 aprile 2017 (u. p. 12 gennaio 2017) -  Pres. Romis – Est. Di Salvo – Ric. T.B. e A.G.. - Il soggetto che accetta le funzioni di preposto e di fatto le svolge è responsabile, in concorso con il datore di lavoro, per l’infortunio occorso a un lavoratore dipendente pur in mancanza della specifica formazione prevista dal d. lgs. n. 81/2008.

 



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Rispondi Autore: Giampaolo Ceci - likes: 0
10/07/2017 (15:03:23)
x Ing Porreca
Leggo: il soggetto che accetta le funzioni di preposto...." Vuole dire che la funzione di preposto può anche essere rifiutata?
Io sapevo che spettava al datore di lavoro scegliere la persona adatta (vizio in eligendum) non al dipendente accettare o meno l'assunzione della funzione.
Un datore di lavoro che cosa potrebbe fare se nessun dipendente accettasse di assumere la scomoda funzione perché si dichiarano incapaci di assolverla magari pretestuosamente al solo fine di evitare guai?
Io sapevo che le cariche sulla sicurezza conferite dal DdL non potevano essere rifiutate.
Se la corte dice che non è così, la mia confusione progredisce in scala logaritmica.
Evidentemente é tempo di aggiornarmi.
Rispondi Autore: matteo - likes: 0
11/07/2017 (09:16:44)
condivido le perplessità
Rispondi Autore: Massimo Tedone - likes: 1
11/07/2017 (10:13:53)
Capisco le perplessità. ma che io sappia, qualora un datore di lavoro scelga di promuovere un dipendente a responsabile di qualcuno, ovvero anche se il dipendente partecipa e vince una selezione interna, è un suo diritto rifiutare la promozione.
E' chiaro che nel momento in cui accetta un ruolo di comando e il conseguente beneficio economico, deve assumersi anche l'onere delle responsabilità e gli obblighi che gli competono.
Rispondi Autore: Giampaolo Ceci - likes: 0
11/07/2017 (10:48:56)
La questione della impossibilità di rifiutare un incarico si pone soprattutto per i pubblici dipendenti dove "PER LEGGE" ad esempio, il RUP, diventa automaticamente anche il Responsabile dei lavori.
L'assunzione di queste funzioni non implica alcun aumento retributivo, ma al contrario implicano l'assunzione di responsabilità PENALI che come noto sono individuali.
Anche per i dipendenti privati é la stessa cosa. La assunzione di responsabilità per la sicurezza non è vista mai come una gratificazione, ma come una responsabilità in più, anche perchè di retribuirla non se parla neppure.
Il datore di lavoro di solito individua il soggetto più adatto a svolgere la funzione (sia nel pubblico che nel privato) e gli comunica che lo ha adibito a svolgere mansione. in ragione al suo rapporto di subordinazione, obbligandolo a frequentare il corso specifico previsto dalla legge.
Se il DIPENDENTE si rifiuta o dopo aver seguito il corso dichiara la sua incompetenza? a me risulta che il datore di lavoro possa licenziarlo, rientrano la motivazione tra quelle ammesse per giusta causa!!!
Si perché, a parte la insubordinazione, il dipendente non possiederebbe le caratteristiche che servono alla azienda che per tale ragione deve ricorrere necessariamente ad altri che le possiedono.
E' come un autista che dichiara di non saper o voler guidare un nuovo modello di TIR sebbene gli sia stato fatto seguire un apposto corso di formazione.
Alla luce di queste valutazione come interpretare l'autorevole sentenza della corte che parla di possibilità di rifiutare l'incarico di preposto affidato dal Datore di lavoro ad un suo dipendente che evidentemente ritiene capace di assolvere alla funzione?
Rispondi Autore: Massimo Tedone - likes: 1
11/07/2017 (11:01:59)
L'importanza di dare la possibilità a tutti di esprimere le proprie opinioni, sempre nel rispetto dei ruoli e delle persone, è una delle condizioni principali per poter adottare molte, se non tutte, le procedure atte al miglioramento del mondo del lavoro.
E' fuori discussione che se un capo è anche RUP ( che per chi no lo sapesse non è direttamente collegato alla sicurezza ma è un ruolo dettato dall'ANAC in materia di appalti ed è Responsabile Unico del Procedimento), non ha alcun beneficio economico; ma se a un operaio o impiegato, comunque un dipendente che non ha ruoli e compiti di comando, viene proposto un avanzamento di carriera importante, se accetta tale nuovo ruolo deve accettarne anche le responsabilità che ne derivano, civili o penali che esse siano.
Ecco, volevo solo dire questo
Rispondi Autore: Luca - likes: 1
26/07/2017 (17:07:50)
In molte realtà il preposto non è necessariamente una persona che ha accettato un ruolo "superiore" ma potrebbe, ad esempio in una squadra di manutentori, essere quello con maggior esperienza o, talvolta, quello più fedele al DL.
E' pericoloso questo concetto di dire "se non te la senti, rifiuti" perchè il mondo del lavoro oggi costringe anche a scelte obbligate per poter mantenere la propria famiglia...quindi, se il DL ti impone di fare il preposto (o il dirigente, o il RSPP) senza magari riconoscerti nulla, che fai? ti licenzi?
Mi sembra che stiamo andando verso una prospettiva dove i lavoratori sono gli elementi colpiti da entrambi i fronti

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