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La nozione di “cantiere” e di “luogo di lavoro” secondo la Cassazione

La nozione di “cantiere” e di “luogo di lavoro” secondo la Cassazione
Carmelo G. Catanoso

Autore: Carmelo G. Catanoso

Categoria: Sentenze commentate

27/01/2023

La Cassazione si è espressa riguardo un ricorso presentato in merito a un infortunio mortale avvenuto durante i lavori di sostituzione del solaio del capannone fornendo anche un’interpretazione riguardo la nozione di cantiere e di luogo di lavoro.

Il fatto

La Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale cittadino, con la quale il datore di lavoro di una Società a responsabilità limitata e il datore di lavoro di fatto, erano stati condannati per il reato di omicidio colposo ai danni di un lavoratore a seguito di un infortunio avvenuto a Roma il 2 gennaio 2015 durante i lavori di ristrutturazione della copertura di un capannone industriale della citata società, aveva rideterminato la pena confermando nel resto l'appellata sentenza.

 

Nella specie, in base alla ricostruzione operata dal Tribunale e recepita dai giudici d'appello alla stregua delle evidenze raccolte riguardo la dinamica degli eventi, il lavoratore infortunato si era trovato sul cantiere insieme ad un collega; quest'ultimo aveva sentito un soggetto, poi individuato come “datore di lavoro di fatto”, rivolgersi alla vittima chiedendogli di prendere le misure onde verificare l'estensione del cestello elevatore ( PLE) per eseguire i lavori sul tetto del capannone.

 

Il datore di lavoro di fatto era presente e aveva visto i due operai usare il carrello elevatore, senza che fosse stata loro fornita alcuna misura di sicurezza o alcuna formazione per eseguire i lavori di sostituzione del solaio del capannone.

 

L'infortunio era avvenuto mentre gli operai stavano movimentando le lamiere, spostandole dal basso verso l'alto con l’infortunato intento a posizionarle sulla copertura, servendosi di una piattaforma noleggiata.

 

Da quanto emerso nelle indagini, il datore di lavoro di fatto, il giorno dell'infortunio, aveva chiesto all’infortunato di andare nel cantiere, chiedendogli di verificare l'idoneità della PLE prima dell'inizio del noleggio, senza dargli i necessari dispositivi di sicurezza, nella consapevolezza della mancanza di un POS e di una corretta ed esaustiva formazione del lavoratore; il lavoratore, nel corso dell'attività, cadeva da di circa 8 metri all'interno del capannone, riportando lesioni che ne causavano il decesso il successivo 7 gennaio 2015.

 

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Il ricorso

Gli imputati, con la stessa difesa, avevano proposto separati ricorsi di analogo contenuto, formulando tre motivi.

Con il primo motivo, denunciavano l’insussistenza di un "cantiere temporaneo o mobile" rilevante ai fini della operatività delle norme contenute nel D. Lgs. n. 81/2008. Secondo la prospettazione difensiva, i lavori di rifacimento del tetto del capannone avrebbero dovuto avere inizio il 7/1/2015 mentre il giorno dell'infortunio (2/1/2015) si dovevano svolgere solo operazioni preliminari aventi a oggetto la fattibilità dei lavori e la idoneità del mezzo noleggiato tant’è che i dipendenti del noleggiatore si erano recati presso il capannone per dare supporto ai due operai dell’impresa incaricata di eseguire i lavori. La stessa Corte d'appello aveva riconosciuto che il datore di lavoro di fatto, il giorno dell'infortunio, aveva ordinato all’infortunato di effettuare delle verifiche circa la compatibilità della PLE noleggiata, senza procedere alla sostituzione dei pannelli.

Quindi secondo la difesa nessuna delle attività espletate il giorno dell'evento poteva essere ricondotta tra quelle che l'art. 89 comma 1, lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008 individua come necessarie per definire un "cantiere temporaneo o mobile", tale non potendosi considerare il luogo nel quale si svolgevano attività preliminari rispetto a quelle indicate, se non in forza di una inammissibile interpretazione in malam partem.

 

Né poteva valere il richiamo alla presenza di tre operai sul posto il giorno dell'infortunio o della PLE che sarebbe stata impiegata per la lavorazione ed il cui contratto di noleggio sarebbe iniziato a decorrere alcuni giorni dopo il fatto.

 

Quale conseguenza di tale ragionamento, in ipotesi di lavori in economia, come nella specie, sarebbero dunque applicabili solo le disposizioni che regolano la figura del datore di lavoro, come stabilisce la circolare ministeriale n. 30 del 5/371998 (esplicativa della disciplina contenuta nel D. Lgs. n. 494/1996, con conseguente operatività del D. Lgs. n. 626/1994 e delle disposizioni di settore di volta in volta applicabili) e non, quindi, degli obblighi di cui al Titolo IV del D. Lgs. n. 81/2008.

 

Con un secondo motivo, erano stati dedotti analoghi vizi, questa volta con riferimento al nesso di causalità e alla valutazione dell'effetto interruttivo che la difesa ricollegava a un comportamento abnorme del lavoratore deceduto, a suo parere comprovato dal fatto che l’infortunato aveva iniziato l'esecuzione dei lavori, sebbene il 2/1/2015 dovessero solo svolgersi attività preparatorie, così introducendo un rischio nuovo e imprevedibile. La condotta della vittima, secondo la difesa, avrebbe ecceduto le mansioni, gli ordini e le direttive impartite ed era stata imprevedibile proprio per difetto di indicazioni che la autorizzassero. A ciò si aggiunga che il lavoratore stava operando con uno stato di alcolemia pari al 1,1 g/I, circostanza che la Corte di merito avrebbe superato erroneamente escludendone ricadute sull'evento verificatosi.

 

Quanto, poi, alle omissioni riguardanti la formazione e la informazione dei lavoratori, la difesa rilevava che entrambi i lavoratori avevano partecipato a specifici corsi nel 2009 e nel 2010, cosicché, all'epoca dei fatti, non era ancora scaduto il quinquennio di validità di essi, come stabilito dall'Accordo n. 221/ESR in vigore il 26/1/2012. In ogni caso, anche a voler considerare violati tali obblighi, ad esito del giudizio controfattuale, non potrebbe affermarsi che l’infortunato, lavoratore esperto con mansioni di capo cantiere, fosse caduto a causa della violazione di quelle regole cautelari, essendo palese la pericolosità della sua condotta, immediatamente percepibile come tale da chiunque, a prescindere dalla partecipazione a specifici corsi di formazione, avendo egli agito di sua spontanea volontà.

 

Il terzo motivo, infine, con il quale erano stati dedotti analoghi vizi, era parzialmente diverso rispetto ai due imputati.

Entrambi i ricorrenti avevano sindacato la correttezza del ragionamento svolto dai giudici del gravame in ordine alla verifica della prevedibilità e evitabilità dell'evento.

 

Per il datore di lavoro, si era rilevato però che l'affermazione della penale responsabilità sarebbe stata conseguenza del ruolo ricoperto, non essendo esigibile il comportamento alternativo lecito; quanto al coimputato, invece, si era affermato che non sarebbe stato dimostrato che l'imputato avesse svolto funzioni di “datore di lavoro di fatto”, essendosi trovato solo occasionalmente sul luogo dell'incidente e non essendo in ogni caso possibile, anche a voler ritenere che avesse assunto qualche funzione nell'esecuzione dei lavori del 2 gennaio 2015, estenderla oltre il perimetro delle attività programmate per quel giorno, vale a dire la verifica della idoneità dei mezzi affittati, a partire dal 7 gennaio 2015, per effettuare le opere di sostituzione del tetto del capannone, per le quali non era necessario approntare dotazioni di sicurezza.

 

Le decisioni della Cassazione

La Cassazione, esaminati i ricorsi, li ha dichiarati inammissibili.

 

La Suprema Corte ha premesso che i temi devoluti dai ricorrenti, in maniera sovrapponibile, eccezion fatta per un distinguo che riguarda il profilo della prevedibilità e evitabilità dell'evento, riguardano:

  • la definizione di "cantiere temporaneo o mobile", contestata dalla difesa, e la conseguente operatività delle norme di cui al D. Lgs. n. 81/2008;
  • il comportamento della vittima che la difesa assume abnorme e imprevedibile e, quindi, interruttivo del nesso causale;
  • la prevedibilità e evitabilità dell'evento in capo agli imputati.

 

Il primo motivo di entrambi i ricorsi è manifestamente infondato.

La Corte d’appello aveva ritenuto che le evidenze raccolte avessero dimostrato che, sia pur di fatto, il cantiere fosse stato operativo già il 2 gennaio 2015. A tal fine, aveva valorizzato la presenza di ben tre operai e delle attrezzature di lavoro noleggiate, sebbene il relativo contratto dovesse iniziare cinque giorni dopo. Del resto, lo stesso Tribunale, nella sentenza appellata, aveva precisato che l'attività da svolgersi quel giorno, secondo quanto riferito dal collega dell’infortunato, consisteva nella verifica della idoneità delle macchine, ossia della sufficiente estensione del cestello, implicando al contempo di raggiungere il tetto e di utilizzare la PLE. Il datore di lavoro di fatto era stato ben consapevole di ciò in quanto presente in cantiere, tanto da avere raccomandato all’infortunato di stare attento, pur non avendo fornito ai lavoratori alcun presidio di sicurezza, compresi i DPI.

 

Pertanto, secondo la ricostruzione fattuale contenuta nelle due sentenze di merito, conformi in ordine alla affermazione di responsabilità ai fini d'interesse, il giorno dell'infortunio in quel luogo si era svolta attività edilizia, implicante lavoro in quota, pur se preliminare alla sostituzione del tetto del capannone.

 

Tale argomentare, peraltro, è perfettamente coerente con quanto già chiarito da questa Corte di legittimità: nella nozione di "luogo di lavoro", rilevante ai fini della sussistenza dell'obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra infatti ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa e ogni luogo nel quale il lavoratore deve o può recarsi per provvedere ad incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività. In tale ampia nozione rientra per l'appunto l'area di lavoro nella quale insisteva il capannone che costituiva oggetto dell'intervento edile svolto in economia dall’impresa: la vittima, direttamente incaricata dal datore di lavoro di fatto, avrebbe dovuto eseguire un'attività propedeutica alla successiva sostituzione della copertura, verificando, mediante uso della PLE e accesso sulla copertura stessa, la sufficiente capacità di estensione dell’attrezzatura di lavoro già consegnata al cantiere, sebbene in forza di un contratto di noleggio che avrebbe avuto inizio giorni dopo.

 

Peraltro, nel caso in esame, era stato accertato (e la giustificazione fornita dai giudici del merito era esente da censure, siccome congrua, coerente con le evidenze acquisite e non contraddittoria) che la lavorazione (e, quindi, anche l'attività ad essa propedeutica) era pertinente a un capannone di proprietà della stessa società da cui dipendevano i due lavoratori tra cui l’infortunato e l'incarico, evidentemente funzionale all'attività lavorativa svolta da quella società, era stato affidato proprio dall'imputato, datore di lavoro di fatto, alla vittima. In tal modo, il legale rappresentante della società e il datore di lavoro di fatto avevano certamente assunto la gestione dei rischi relativi all’area di lavoro, peraltro collocata in quota, stanti le caratteristiche del manufatto della cui copertura si trattava e del mezzo da impiegarsi per eseguire l'opera da rimuovere. Gli stessi strumenti erano stati messi a disposizione dal datore di lavoro e, tra questi, la PLE noleggiata, a prescindere dalla decorrenza del relativo contratto, stante la disponibilità di esso il giorno dell'infortunio.

 

Per quanto riguarda il secondo motivo anche questo è stato ritenuto manifestamente infondato.

Con specifico riferimento alla condotta della vittima, vanno sì confermati i principi ai quali da tempo si attiene la Cassazione Penale nel valutare gli obblighi di protezione che gravano sugli stessi lavoratori. Infatti, in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, si è certamente passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facciano un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), a un modello "collaborativo", in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (art. 20 D. Lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia. In altri termini, si è passati, a seguito dell'introduzione del D. Lgs. n. 626/94 e, poi, del D. Lgs. n. 81/2008, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva.

 

Tuttavia, e ciò va fermamente ribadito anche in questa sede, è sempre valido il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore. All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo ove sia:

  • tale da attivarne uno eccentrico o esorbitante dalla sfera governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia oppure
  • stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.

 

Nella specie, la Corte di merito aveva correttamente evidenziato, sulla scorta degli elementi probatori valutati con un ragionamento non censurabile, che il lavoratore era stato incaricato proprio dal datore di lavoro di fatto di effettuare le verifiche della idoneità della PLE fornita da terzi, verifiche da effettuarsi mediante l'impiego di essa, l'elevazione in quota dell'incaricato senza presidi individuali e l'accesso alla copertura dalla quale poi sarebbe caduto, tanto che lo stesso imputato si era sentito in dovere di raccomandare all’infortunato di essere prudente. Pertanto, nessun rischio eccentrico può dirsi imprevedibilmente introdotto dall’infortunato visto che la sua condotta si poneva quale diretta e prevedibile conseguenza delle condotte colpose addebitate agli imputati.

 

Infine, anche il terzo ricorso è stato respinto.

Per la Suprema Corte anche la terza censura formulata con due ricorsi, oltre che generica, è parimenti manifestamente infondata.

La difesa si era limitata ad assumere il difetto dell'elemento soggettivo in capo ai due gestori del rischio, ai quali sono stati mossi gli addebiti colposi, adducendo, per il datore di lavoro legale rappresentante, la imprevedibilità del comportamento della vittima, tuttavia insussistente per quanto già sopra chiarito e richiamando la tesi della sua mancata ingerenza nella gestione della società.

 

La Corte d’appello, sul punto specifico, aveva rilevato che l'imputata non aveva delegato a terzi la sicurezza dei lavoratori della società, per la quale, a suo dire, la stessa si limitava a svolgere compiti di natura amministrativa. E, tuttavia, era proprio la legale rappresentante a disporre delle risorse economiche per garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro e ad essere tenuta per legge a predisporre il POS, magari delegandolo a terzi soggetti competenti, ciò che, nella specie, era difettato.

 

La posizione della imputata, dunque, lungi dal costituire quella di un soggetto solo formalmente investito degli obblighi di tutela e sicurezza, chiamato dunque a rispondere oggettivamente dell'evento occorso al lavoratore dipendente, era stata ricondotta dai giudici del merito a quella di chi, pur essendo titolare dei relativi poteri decisori ed economici, aveva agito in totale incuria e dispregio delle regole di sicurezza dell'ambiente di lavoro, rispetto a un rischio generico, quale quello della caduta dall'alto.

 

Trattasi di ragionamento che si salda con quanto argomentato dal primo giudice, il quale aveva già stigmatizzato il fatto che l'imputata, a prestar fede alle sue stesse dichiarazioni, era stata gravemente negligente e imprudente nel limitarsi a firmare senza leggere atti relativi alla società di capitali rappresentata, senza occuparsi della sicurezza sul lavoro, omettendo di attivarsi per garantire idonea formazione ai lavoratori, non dotandoli neppure dei presidi di protezione e, in definitiva, non delegando neppure tali incombenze a terze persone.

 

Sul punto, peraltro, pare sufficiente ricordare che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la previsione dell'art. 299 D.Lgs. n. 81/2008, elevando a garante colui che di fatto assume ed esercita i poteri del datore di lavoro, amplia il novero dei soggetti investiti della posizione di garanzia, senza tuttavia escludere, in assenza di delega dei poteri relativi agli obblighi prevenzionistici in favore di un soggetto specifico, la responsabilità del datore di lavoro, che di tali poteri è investito ex lege e che, nelle società di capitali, si identifica nella totalità dei componenti del consiglio di amministrazione.

 

Quanto, invece, all'imputato datore di lavoro di fatto, oltre a ribadirsi che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, va rilevato che la manifesta infondatezza della relativa doglianza poggia anche sulla pretesa difensiva di offrire una diversa lettura delle risultanze probatorie, in base alla quale si assume la mera occasionalità della presenza di questo soggetto in cantiere, il giorno dell'infortunio, contraddetta però dalle prove valutate conformemente dai giudici del doppio grado.

 

Riguardo la definizione di “Luogo di Lavoro” nel settore agricolo, la seconda pronuncia (Cassazione Penale Sez. 3, 29 dicembre 2022, n. 49459), necessita di una profonda riflessione.

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti aveva proposto appello avverso una sentenza del medesimo tribunale che aveva assolto il datore di lavoro di un’azienda agricola dal reato di cui agli artt. 64, comma 1, lett. a), Allegato IV, punto 1.8, e 68, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 81 del 2008, perché il fatto non sussiste.

 

La motivazione era relativa all'erronea applicazione degli artt. 62 e 64 del D.Lgs. n. 81/2008, sotto il profilo dell'errata interpretazione del termine "terreno" richiamato, a fini derogatori, dall'art. 62, comma 2, lett. d-bis, del citato decreto.

 

In questo caso la Cassazione Penale ha accolto il ricorso della Procura, annullando la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Asti in diversa composizione fisica.

Prima di esaminare le motivazioni della sentenza, è opportuno ricordare che, per "luogo di lavoro" s’intende ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa e ogni luogo nel quale il lavoratore deve o può recarsi per provvedere ad incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività.

 

Questa nozione se da una parte è condivisibile per la stragrande maggioranza di attività, merita, proprio per un settore particolare e cioè quello “agricolo”, un approfondimento soprattutto alla luce della citata sentenza.

 

Secondo la Suprema Corte costituiscono "luoghi di lavoro" le aree di immediata pertinenza della sede dell’azienda agricola (principale, secondaria, operativa, magazzino, deposito, ecc. ecc.) adibite ad attività non strettamente agricole (come, per esempio, deposito, carico/scarico merci, movimento mezzi) e/o quelle ad esse connesse previste dal terzo comma dell'art. 2135 cod. civ. Secondo questo articolo <<1. È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. 2 Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. 3. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animai, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge>>.

 

Nella citata sentenza la Corte di Cassazione ritiene che i terreni indicati dall'art. 62, D.Lgs. n. 81/2008, siano quelli esterni all'area edificata dell'azienda nei quali viene esercitata una delle attività indicate nei primi due commi dell'art. 2135 cod. civ. (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali) con esclusione delle attività connesse (come descritte dal terzo comma della medesima norma) normalmente disimpegnate in luoghi chiusi. Per "altri terreni" devono intendersi, quindi, quelli, esterni al fabbricato, nei quali viene concretamente disimpegnata l'attività di coltivazione del fondo facendo così, di conseguenza, rientrare nella nozione di “luoghi di lavoro” le aree di immediata pertinenza della sede aziendale adibite ad attività non strettamente agricole (come, per esempio, deposito, carico/scarico merci, movimento mezzi) e/o quelle ad esse connesse previste dal terzo comma dell'art. 2135 cod. civ..

Questa pronuncia della Cassazione, a parere di chi scrive, non tiene adeguatamente in conto, le particolarità del settore agricolo.

 

Per spiegare quanto detto, è necessario, innanzi tutto, definire bene cosa s’intenda per “Luogo di Lavoro”. La definizione la troviamo all’art. 62 comma 1, Titolo II  del D. Lgs. n. 81/2008:

<<1. Ferme restando le disposizioni di cui al titolo I, si intendono per luoghi di lavoro, unicamente ai fini della applicazione del presente titolo, i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro>>.

 

Il successivo comma 2 dello stesso articolo esclude dal campo di applicazione del Titolo II, i mezzi di trasporto, i cantieri temporanei o mobili, le industrie estrattive, i pescherecci e, per quanto di nostro interesse (lett. d-bis), i campi, i boschi e gli altri terreni facenti parte di un’azienda agricola o forestale.

 

Quest’ultima lettera è stata aggiunta dall’art. 38 del D. Lgs. n. 106/2009 e cioè dal provvedimento correttivo resosi necessario per correggere le diverse inesattezze ed errori presenti nel testo di legge originario.

 

Le motivazioni che hanno portato a questa correzione sono ben spiegate nella <<Relazione di accompagnamento alle “disposizioni integrative e correttive”, ex articolo 1, comma 6, della legge 3 agosto 2007, n. 123, al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81>>.

 

Infatti, a pag. 18, terzo capo rigo, si legge:

<<Le proposte relative all’articolo 62 sono dirette a porre rimedio all’erronea indicazione dei campi, boschi e altri terreni nell’ambito di un titolo (il II) relativo esclusivamente a luoghi di lavoro confinati, per i quali operano disposizioni tecniche relative a requisiti tipici di strutture immobiliari (altezza, cubatura, vie ed uscite di emergenza…), come da specifica richiesta formulata in sede di “avviso comune>>.

 

Premesso che il termine “confinati” non deve erroneamente rimandare alle norme riguardanti gli “ambienti sospetti d’inquinamento o confinati” di cui al D.P.R. n. 177/2011, è palese che il legislatore, con questa modifica, abbia voluto effettuare una netta separazione tra i luoghi di lavoro all’interno di una struttura (soggetta a specifici requisiti autorizzativi) di un’azienda agricola e tutto ciò che rimane al di fuori degli stessi.

 

Pertanto, è palese che l’intero Titolo II non è applicabile a tutto ciò che rimane al di fuori delle strutture di un’azienda agricola.

 

Inoltre, per i luoghi di lavoro all’interno delle strutture delle aziende agricole, lo stesso legislatore ha dedicato nell’allegato IV lo specifico par. 6 “Disposizioni relative alle aziende agricole

 

Questa modifica si era resa necessaria perché la “fonte primaria” e cioè la Direttiva 89/654/CEE - Prescrizioni minime di sicurezza e di salute per i luoghi di lavoro (prima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE), all’art. 1 comma 2, prevedeva espressamente l’esclusione della sua applicazione:

<<lett. e) ai campi, boschi e altri terreni facenti parte di un'impresa agricola o forestale, ma situati fuori dell'area edificata dell'impresa>>.

Per questo motivo, il legislatore è intervenuto espressamente introducendo la modifica all’art. 62 del D. Lgs. n. 81/2008 con la lettera d-bis).

 

Del resto, sia la previsione della direttiva che la modifica apportata con il D. Lgs. n° 106/2009, sono condivisibili visto che, ad esempio, in un’azienda agricola un capannone, adibito, ad esempio, al ricovero delle balle di fieno, dei mezzi impiegati o delle sementi da utilizzare, potrebbe trovarsi circondato da campi terrazzati con dislivelli anche significativi.

Se tutto ciò che c’è intorno al capannone non coltivato dovesse essere considerato pertinenza e, quindi, “luogo di lavoro” soggetto all’applicazione del Titolo II con i rimandi all’Allegato IV, allora, tutti i dislivelli che espongono al rischio di caduta di persone o ribaltamento per qualunque attrezzatura di lavoro adibita alla movimentazione dei materiali/prodotti esistenti nel capannone e nelle immediate vicinanze, dovrebbero essere dotati di parapetti (per le persone) e barriere in grado di resistere ad un trattore o qualunque altro mezzo di sollevamento e trasporto e cioè barriere tipo i new jersey in cemento armato utilizzati nei lavori stradali.

 

Cosa che, oltre ad essere difficilmente realizzabile, non garantirebbe con certezza dal rischio di sfondamento e ribaltamento giù per il pendio da parte del mezzo e potrebbe provocare, visto il dislivello citato nell’esempio, un franamento del pendio e del soprastante piano visto il sovraccarico sul terreno da parte del new jersey.

 

In conclusione, se questo orientamento della Cassazione venisse generalizzato, allora tutte le pertinenze delle strutture edificate su terrazzamenti coltivati con dislivelli non trascurabili dovrebbero essere dotate di parapetti/barriere in quanto “luoghi di lavoro” e soggetti all’applicazione del Titolo II con tutte le previsioni come, ad esempio, quelle del p. 1.8 dell’Allegato IV al D. Lgs. n° 81/2008.

 

Pertanto, sarebbe auspicabile arrivare ad una pronuncia della Cassazione a “Sezioni Unite” che tenga conto delle specificità del settore in quanto, a parere di chi scrive, si è di fronte ad una questione di importanza rilevante per il settore agricolo su cui è necessario fare chiarezza senza incorrere in ulteriori derive che portino ad una estensione ingiustificata di ciò che deve essere considerato “luogo di lavoro”, ai sensi del Titolo II D. Lgs. n° 81/2008, nel settore agricolo e che già la fonte primaria, cioè la direttiva 89/654/CEE, aveva ben definito.

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione


Scarica la sentenza di riferimento:

Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 44654 del 24 novembre 2022 (u.p. 22 settembre 2022) - Pres. Ciampi – Est. Cappello - P.M. Odello - Ric. M.C. e M.A. - Nella nozione di "luogo di lavoro", ai fini dell'applicazione delle misure antinfortunistiche, rientra ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività lavorativa indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi.

Corte di Cassazione Penale Sez. 3 – Sentenza n. 49459 del 29 dicembre 2022 - Nozione di "Luogo di lavoro" in caso di azienda agricola




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Rispondi Autore: Paolo Giuseppe - likes: 0
27/01/2023 (08:29:15)
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