La mancata adozione di una misura cautelare individuata “nel senno di poi”
Può imporre il datore di lavoro a un rider, che si reca a bordo di un ciclomotore a consegnare pizze ai suoi clienti, l’utilizzo di un casco integrale al posto di un casco normale regolarmente omologato? E’ sostanzialmente questa la domanda alla quale la Corte di Cassazione è stata chiamata in questa circostanza a dare una risposta per decidere su di un ricorso presentato da un datore di lavoro condannato perché ritenuto responsabile della morte di un fattorino a seguito di un incidente stradale. Il rider nell’incidente era caduto dal ciclomotore e, pur indossando un casco regolare, aveva impattato con il volto contro il bordo di un’isola spartitraffico ed era deceduto.
Assolto dal Tribunale il datore di lavoro è stato invece condannato dalla Corte di Appello che ha considerato il casco utilizzato dal lavoratore non idoneo in quanto aveva lasciato sprotetto il volto del rider e cioè proprio quella parte del capo che aveva impattato con il suolo. La Corte territoriale ha sostenuto che se si fosse, in base ad una valutazione ex ante, osservata una regola cautelare di massima prudenza consistente nel pretendere dal lavoratore l'impiego di un casco integrale, anche tenuto conto della pericolosità dell'attività svolta di condurre un ciclomotore nel traffico cittadino, il lavoratore non sarebbe deceduto o comunque avrebbe subito delle lesioni di minore entità; ha concluso pertanto per la sussistenza di una colpa generica del datore di lavoro causalmente collegata con l'evento fatale.
Di diverso avviso è stata la Corte di Cassazione che ha annullata invece la sentenza impugnata senza rinvio. Secondo la stessa, infatti, i giudici della Corte territoriale avevano ricavata la regola cautelare, ipotizzata violata, sulla base di una valutazione ex post, partendo cioè dall'evento verificatosi, per poi chiedersi quali precauzioni avrebbero potuto impedirlo, dandosi in tal modo una risposta ovvia e cioè che l’uso di un casco integrale avrebbe protetto il volto. La regola cautelare che si assume violata, ha invece osservato la Corte di Cassazione, deve essere preesistente al fatto, nel senso che il comportamento doveroso basato sulla diligenza, prudenza e perizia deve essere desunto in concreto ed "ex ante", giammai "ex post".
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
La Corte di Appello, in riforma della sentenza di proscioglimento di primo grado, ha dichiarato l’amministratore unico di una società cooperativa responsabile del reato di omicidio colposo di un lavoratore dipendente deceduto a seguito di un incidente subito mentre si trovava a bordo di un ciclomotore, intento a trasportare pizze a domicilio. In sede di merito era stato accertato, in particolare, che il lavoratore, durante il trasporto, aveva urtato con la pedana poggiapiedi del ciclomotore il perimetro laterale di un'isola rialzata spartitraffico e, cadendo a terra e impattando con la testa contro il bordo in cemento dell’isola, aveva riportato lesioni gravissime, a seguito delle quali era poi deceduto.
Il Tribunale aveva assolto il datore di lavoro e tutti gli altri imputati coinvolti nel procedimento giudiziario affermando che le condizioni del casco indossato dal lavoratore al momento del sinistro (tipo jet) non avevano inciso sull’accaduto in quanto il casco in questione, benché omologato, non avrebbe potuto impedire in alcun modo l'impatto della fronte con il suolo. La Corte di Appello, invece, pur confermando il proscioglimento di tutti gli altri imputati, aveva ritenuto la responsabilità del datore di lavoro, quale titolare di posizione di garanzia ex art. 2087 c.c., per avere consentito al lavoratore di utilizzare un casco di tipo jet la cui utilizzazione era stata connessa causalmente con l'evento per le sue caratteristiche, in quanto lasciava scoperta la parte frontale del volto, vale a dire proprio quella colpita al momento dell'impatto con il suolo; se il lavoratore avesse indossato un casco integrale, aveva sostenuto in particolare la Corte territoriale, l’incidente mortale non si sarebbe verificato o comunque avrebbe provocato delle lesioni di minore entità. L'evento sarebbe stato concretamente prevedibile ed evitabile, ha sostenuto ancora la stessa Corte di Appello, se, in base ad una valutazione ex ante, si fosse osservata una regola cautelare di massima prudenza, consistente nel pretendere dal lavoratore l'impiego di un casco integrale, anche tenuto conto della pericolosità dell'attività svolta (condurre un ciclomotore nel traffico cittadino). I giudici della Corte territoriale avevano, quindi, concluso per la sussistenza di una colpa generica del datore di lavoro causalmente collegata con l'evento fatale.
Avverso la sentenza della Corte di Appello il datore di lavoro ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei difensori, lamentando una violazione di legge, in quanto l'imputazione originaria gli aveva contestato di avere consentito l'utilizzo di un casco tipo jet non omologato, mentre l'istruttoria aveva chiarito che il casco indossato dal lavoratore era regolarmente omologato, come riconosciuto dalla stessa Corte territoriale. La sentenza impugnata inoltre, ha osservato il ricorrente, gli aveva formulato un ulteriore addebito e cioé la necessita di utilizzare un casco integrale e ciò erroneamente in quanto esula dagli obblighi del datore di lavoro la fornitura del casco al lavoratore che utilizzi un veicolo a due ruote: il datore di lavoro non può imporre l’utilizzo di un casco integrale non trattandosi di un dispositivo di protezione individuale ai sensi della normativa prevenzionistica.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione in quanto gli argomenti offerti dalla sentenza impugnata per fondare la responsabilità del ricorrente sono apparsi illogici ed erronei in diritto. La colpa dell’imputato, infatti, è stata motivata sulla base di un ragionamento viziato, frutto di una tipica logica del "senno del poi", posto che il lavoratore è morto, cadendo dallo scooter sul quale stava trasportando pizze da consegnare a domicilio, per avere battuto la parte frontale del volto contro il bordo in cemento di una pedana spartitraffico per cui l'evento mortale non si sarebbe verificato se la persona offesa avesse indossato un casco di tipo integrale, idoneo a proteggere il volto, e non un casco tipo jet (benché omologato), che invece lascia scoperta quella zona del corpo per cui il datore di lavoro avrebbe dovuto dotare la persona offesa di un casco di tipo integrale, non consentendogli invece di condurre lo scooter con un casco tipo jet.
Premesso che non esiste alcun obbligo di legge che imponga l'uso del casco integrale al lavoratore che guidi di un ciclomotore, ha sottolineato la Corte suprema, bastando allo scopo indossare, secondo le previsioni del vigente codice della strada, un qualsiasi tipo di casco omologato, come quello utilizzato dal lavoratore deceduto, i giudici della Corte territoriale hanno sostanzialmente eluso la questione, ravvisando una colpa generica "aggiuntiva" del ricorrente, muovendo dalla considerazione che l'evento sarebbe stato concretamente prevedibile ed evitabile, se si fosse osservata una regola cautelare di massima prudenza, ovvero si fosse preteso dal lavoratore l'uso di mezzi che garantissero la massima sicurezza, rispetto al tipo di attività lavorativa da svolgere e se la vittima avesse utilizzato il casco integrale, non si sarebbe verificato l'evento mortale derivante dall'impatto con il cordolo dell'isola spartitraffico o comunque le lesioni sarebbero state di minore entità, in virtù della migliore protezione.
Così facendo i giudici, secondo la suprema Corte, hanno ricavato la regola cautelare (che si ipotizza) violata sulla base di una valutazione ex post, partendo cioè dall'evento verificatosi, per poi chiedersi quali precauzioni avrebbero potuto impedirlo, dandosi in tal modo una risposta ovvia e cioè l’uso del casco integrale che avrebbe protetto il volto. La regola cautelare, ha aggiunto la Sez. IV, che si assume violata deve essere preesistente al fatto, nel senso che il comportamento doveroso basato sulla diligenza, prudenza e perizia deve essere desunto in concreto ed "ex ante" e non deve essere frutto di una elaborazione creativa, fondata su una valutazione ricavata "ex post" ad evento avvenuto.
La Corte territoriale in sostanza, ha precisato la Sezione IV, non ha individuato disposizioni che imponessero, ex ante, di dotare il lavoratore di un casco integrale ed ha ancorato la regola di diligenza alla affermazione secondo cui "la protezione integrale del capo costituisce presupposto indefettibile per limitare o escludere rischi per la salute del conducente, derivanti dalle cadute o comunque dagli urti subiti". La stessa ha quindi ribaltato erroneamente il giudizio assolutorio del Tribunale, il quale, fra le altre cose, aveva correttamente evidenziato come l'uso del casco per la conduzione dei veicoli a due ruote sia comunque regolato dal codice stradale, secondo norme che impongono obblighi specifici, aventi anche natura cautelare, fra cui, appunto, quella che impone l'uso di un casco omologato, non necessariamente di tipo integrale.
In definitiva, secondo la Corte di Cassazione, le argomentazioni della sentenza d'appello non hanno superato il ragionamento del primo giudice, avendo fondato l'asse della presunta colpevolezza del prevenuto sulla base della individuazione, nel caso concreto, di una colpa generica, desunta ex post e non ancorata a predeterminate (peraltro neanche indicate) conoscenze tecnico-scientifiche o a riconosciute massime di esperienza, argomentazioni, quindi, intrinsecamente viziate in diritto in quanto frutto di una inaccettabile elaborazione "creativa", mentre in tema di colpa generica, la regola cautelare applicabile al caso concreto deve essere preesistente al fatto e desumibile sulla base di un processo ricognitivo, che tenga conto dei tratti tipici caratterizzanti l'evento e del sapere scientifico, tecnico o esperienziale esistente in quel dato momento storico.
Nell'occorso, quindi, ha così concluso la suprema Corte, era consentito alla persona offesa, secondo il codice della strada, circolare sullo scooter con un casco di tipo jet per cui nessuna colpa specifica era da addebitare al ricorrente. Alla luce quindi delle considerazioni sopra indicate la Corte di Cassazione ha annullata senza rinvio la sentenza impugnata per insussistenza del fatto-reato ed ha di conseguenza revocate le statuizioni civili.
Gerardo Porreca
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Rispondi Autore: Maurizio Venditti - likes: 0 | 03/10/2022 (12:41:32) |
Mi domando, ma nel caso di specie, quantunque regolato dal CdS, il casco non dovrebbe essere considerato un DPI? e quindi non dovrebbe essere il DDL a fornirlo e a fornirlo in relazione alla valutazione dei rischi? Se è così un profilo di responsabilità del DDL sussiste. In un'azienda che seguo al fattorino che effettua consegne con uno scooter è stato fornito il casco integrale. |
Rispondi Autore: michele - likes: 0 | 13/10/2022 (09:10:28) |
sullo stesso ragionamento, allora, dovrebbe essere condannato un DL perchè fornisce un motorino invece di un furgone? E se avviene un incidente mortale anche col furgone gli contesto di non aver fornito un camion? Esiste una norma che definisce il livello accettabile di sicurezza, il CdS in particolare, non ha senso che venga chiesto di andare oltre per ottenere un fantomatico e utopistico "massimo" della sicurezza. |